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Sette / Corriere Della Sera

Dalle Alpi ad Agrigento, lungo le strade delle Vigne Green … Vini biologici e biodinamici. Elettricità dalle vinacce o con il solo “catturato” tra i filari. Barricaie refrigerate con la geotermia o scaldate con i moderni falò delle potature. Le aziende vitivinicole scoprono virtù e business della conversione verde. Abbiamo visitato cinque casi modello… Nel borgo non regna il silenzio. È
una pace piena di suoni. Cinguettii, miagolio sui muretti del castello, l’abbaiata di un cane solitario che arranca dietro la padrona, una delle 36 anime (“e soltanto 27 parrocchiani”, tuona don Luciano, prete e grande cacciatore) che abitano l’antico feudo di casa Ginori, abbarbicato sulla collina sopra Querceto, vai di Cecina. Al tramonto si sorseggia all’aperto l’ultimo nato della tenuta: Virgola, un vermentino/viognier molto aromatico, intenso. Luigi Malenchini, discendente di quel Carlo Ginori che nel Settecento importò l’arte della porcellana da Vienna alla Toscana, spiega texture e virtù della sua produzione, qualche decina di migliaia di bottiglie fra bianchi, rossi e un rosé. A una manciata di chilometri, giù fra i campi coltivati a cereali, due grandi cisterne borbottano 24 ore su 24 ore. Dentro, una moltitudine di batteri rumina il raccolto: soia, mais, triticale, ma anche residui organici della lavorazione dell’uva, vinacce e raspi, e delle olive, la sansa. Digerendo producono bio-metano che darà elettricità da immettere in rete, 700 kW/ora, e il gestore nazionale la paga bene perché “pulita”. 11 marchese la butta in poesia: “Coltivo energia e riduco le emissioni”. A 1.200 chilometri da qui, sui dolci pendii di Melfi, si alternano filari di Grecanico e pannelli solari. Alcuni li hanno installati nei campi i soci della cooperativa Settesoli, la più grande impresa vitivinicola siciliana, la maggioranza sfavillano sui tetti dello stabilimento: 1.500 pannelli, pari a 370.000 kWh di elettricità l’anno, il più grande “impianto fotovoltaico del vino” in Italia.

Impianti a biogas, a biomasse, pale eoliche e pannelli solari, ma anche vini biologici e biodinamici. 11 verde assume mille sfumature nei vigneti moderni. E da un capo all’altro d’Italia si moltiplicano le “conversioni ecologiche” di tenute che si tramandano da generazioni. Gli eredi, giovani e curiosi, iniziano a comprendere che green spesso fa rima con business, o quantomeno con il benessere delle vigne. Abbiamo scelto cinque storie eco-sostenibili, percorrendo la penisola dalla testa altoatesina alla punta siciliana. Eccole.

Michael Goëss-Enzenberg “Tenuta Manincor” Caldaro (Alto Adige)

È cresciuto in Austria, in un castello della Carinzia circondato dai boschi e dagli animali del maso agricolo. “Non ho mai vissuto in città, a parte tre mesi a Firenze per imparare l’italiano. A diciotto anni lo zio mi ha chiesto se volevo seguire la sua azienda in Alto Adige...”. Ed eccolo qui, 32 anni dopo, a capo di un’azienda vitivinicola di 50 ettari all’avanguardia nella coltivazione biodinamica. Ovvero, l’agricoltura secondo i principi antroposofici di Rudolf Steiner: il suolo e la vita dentro e sopra di esso appartengono a un unico ecosistema che l’uomo deve gestire seguendo le leggi di natura, le fasi della Luna e l’omeopatia, “come fa mia moglie Sophia con noi in famiglia: l’ortica o la camomilla fanno bene agli uomini come alle piante”.

All’inizio i dipendenti erano restii a cambiare i vitigni (“qui era quasi tutto Schiava”) e a sposare quelle strane teorie. I vecchi, soprattutto: “Ma conte, volete far andare tutto in malora, mi disse uno di loro che a ottant’anni non manca mai un giorno in azienda. Dopo il primo raccolto, nel 2006, ha commentato, in dialetto tirolese: “So hammas friia a g’mocht”, “Così facevamo una volta!”. Quando aveva 14 anni la terra si lavorava ancora così, senza aggredirla”. Ai piedi delle Dolomiti c’è tanta acqua potabile, un clima e un terroir che fa crescere forti e sani anche vitigni internazionali come Chardonnay e Sauvignon. La ricetta biodinamica, a detta del conte, migliora ancora di più il prodotto finale: rafforza il sistema immunitario delle viti e dei meli, con un terreno sano che nutre le piante e le rende capaci di difendersi da sole dalle aggressioni, senza prodotti chimici. Presupposto essenziale è la vitalità del terreno. Il sovescio tra i filari - cioè la semina di vegetali per concimare la terra - permette la crescita di una gran varietà di piante e fiori, che a sua volta favorisce la varietà degli insetti, impedendo che ne resti uno solo, il più dannoso; il terreno è arricchito con compost miscelato a stallatico e humus; pecore e galline portano “lo spirito animale” tra i vigneti. E l’approccio green arriva fino alla cantina, scavata sotto i vigneti e quindi protetta termicamente dal terreno: per scaldare o raffrescare gli ambienti si utilizza la geotermia e il riscaldamento viene integrato con un impianto a biomassa a base di trinciati provenienti dal bosco e dal legno di meli e viti. Alla tenuta Manincor, fanno sapere con orgoglio, non si usano né petrolio né gas naturali. E la forza di gravità sostituisce pompe e filtraggio: il vino si sposta così sui tre piani della cantina, dalla fermentazione giù fino alla barricaia, per la maturazione. Sarà un effetto del terroir altoatesino o della cultura ambientalista che si respira quassù ma anche il vicino Alois Lageder di Magré (50 ettari di proprietà, altri 100 conferiti da viticoltori della zona) ha scelto la coltivazione biodinamica: “È il modo più coerente di coltivare il vigneto, poiché rispetta le leggi della natura e consente alla vite di vivere in equilibrio col terreno su cui cresce e con l’intero universo di cui fa parte”, sostiene convinto.

Luigi Malenchini “Marchesi Ginori Lisci” Castello Ginori, Querceto (Toscana)

Dopo un po’ traspare che la sua non è stata proprio una scelta spontanea. Avrebbe preferito fare altro, forse, il marchese Malenchini, ma la famiglia aveva già deciso che toccava a lui prendere in mano le redini dell’azienda agricola dello zio, privo di discendenti diretti, il marchese Lionardo Ginori Lisci. Così ha studiato scienze agrarie, ha assunto un enologo nippo-franco-italiano, Ken Lenzi - con originale accento toscano-bordolese - e si è rimboccato le maniche per far rinascere la fattoria come azienda vitivinicola. “Speriamo...”, borbotta una delle “anziane” del borgo a pochi chilometri da Volterra, un bastione eretto intorno all’anno 1000, che domina 2.000 ettari tra boschi, seminativi, olivi e vigneti. Mais, sorgo e triticale fanno la parte del leone. “Si raccoglie, si trincia e si insila in deposito, quand’è stagione ci aggiungiamo gli scarti organici delle vigne e degli oliveti: così “coltiviamo” energia”. Dopo il giro del castello, delle camere per i turisti (rigorosamente con stufa a legna), del granaio diventato sala per convegni, delle cantine e dei vigneti che cominciano a germogliare, siamo scesi giù, in pianura, fino al protagonista della svolta eco-sostenibile della famiglia Conti Ginori.

L’impianto a biogas emana un forte odore, “odore di campagna”, sorride il marchese. Il suo cuore sono due cisterne cilindriche dove lavorano senza tregua i cosiddetti “batteri digestori”: nella prima quelli “ignoranti”, che in assenza di ossigeno e alla temperatura costante di 42° fanno il grosso del lavoro, nel fermentatore secondario i batteri metanigeri più specializzati, che degradano molecole più piccole. il marchese mostra attraverso un oblò le bolle di gas che il loro metabolismo va formando, poi il tubo che manda il biogas verso il motore al quale è collegato il generatore di elettricità e poi il terzo silos che raccoglie il materiale “digestato” (lo scarto) che sarà utilizzato come concime, ottimo e senza nulla di chimico, per le coltivazioni, viti comprese. Oltre 5 milioni di kW all’anno di energia pulita vengono immessi in rete così, pari al fabbisogno di 1.281 famiglie e con un forte risparmio in emissioni di CO2. Ma Malenchini non è ancora soddisfatto di come viene usata la sua mini centrale da 3 milioni di euro, completamente computerizzata: “La biomassa è composta all’80% da cereali coltivati apposta per alimentare l’impianto e il 20% dai residui delle coltivazione. Vorrei arrivare almeno a un 50-50, trasformando anche le vinacce di altre cantine. E utilizzare il “ritorno termico”: l’acqua usata per raffreddare il generatore può, per esempio, riscaldare le serre”. In vigna, poi, è iniziato il processo di conversione al biologico. “Saremo pronti nel 2013”.

Chiara Lungarotti “Cantina Lungarotti” Torgiano (Umbria)

“Come ha potuto permettere che venissero tagliati quei tre alberi, la mia famiglia li aveva donati alla città, erano sani...”. Il sindaco di Torgiano (Perugia) non sa come placare l’indignazione della signora Maria Grazia. Lei, dall’alto dei suoi 84 anni portati alla grandissima, ignora l’imbarazzo del primo cittadino che s’è staccato dalla marcia comunale per porgerle gli omaggi. Si gira verso i presenti, inclemente: “Ma vi pare possibile, buttan solo cemento...”. È la matriarca di un’azienda al femminile. Mamma e due sorelle (demi-soeur, da parte di madre): “Nella nostra famiglia le donne son di terra e i maschi son di legge. Mio fratello è magistrato, quando papà è mancato ho lasciato perdere il master e son venuta a lavorare in azienda dove mia sorella Teresa (una delle prime donne enologo italiane, ndz aveva già anni di esperienza”, spiega Chiara Lungarotti, amministratore unico, sicura e veloce, nella guida come nella parlantina. Nelle sue botti invecchiano vini classici e ben conosciuti, in zona come all’estero - Sagrantino, Sangiovese, Merlot, Rosso di Montefalco... - la novità semmai è venuta dal côté energetico che quest’anno è valso all’azienda il Premio Bioenergy Migliori Pratiche istituito da Anci, Legambiente e CremonaFiere. Tra i filari delle vigne s’ammucchiano le rotoballe di trinciato. In epoca cristiana, per la festa di San Giorgio, il 23 aprile, i sarmenti della potatura si bruciavano in falò propiziatori che in realtà servivano a eliminare i possibili focolai di infezioni, le spore delle malattie fungine o le larve degli insetti. Al massimo, oggi, di falò se ne fanno un paio, per tradizione. Ciò che avanza, dalle Lungarotti, finisce in una caldaia da 400 kWche fornisce 720 MWh bruciando quelle 200 tonnellate di biomassa che la vigna di oltre 270 ettari “produce” ogni anno. Questo assicura energia sufficiente a soddisfare il 40% del fabbisogno aziendale. “Un giorno il professor Cotana del Centro ricerca sulle biomasse dell’Università di Perugia mi ha proposto questo progetto pilota, il primo in Europa. “Fantastico, facciamolo” ho risposto. Era il 2008. Oggi così risparmiamo 100 tonnellate l’anno di CO2, otteniamo acqua calda per il riscaldamento invernale, acqua fredda per il condizionamento estivo,
vapore a 95° per sterilizzare la macchina imbottigliatrice (che sforna ogni anno circa 3 milioni di bottiglie), acqua refrigerata per controllare la temperatura di fermentazione e di stoccaggio dei vini, e produciamo 80 kW di energia elettrica”. Non finisce qui: accanto alla piscina del resort di famiglia - “Le tre Vaselle” nel centro del borgo medievale tra Perugia e Assisi - sono stati installati pannelli fotovoltaici e da “tantissimo tempo” in azienda usano soltanto fertilizzanti organici, “quando è possibile” letame da vacche di razza chianina. Dall’anno scorso, poi, è partita la sperimentazione per ottenere vino biologico: “Sono sempre stata molto scettica ma i fatti mi hanno dato torto: in un anno difficile e piovoso come il 2010 abbiamo ottenuto un ottimo raccolto di Sangiovese”.

Franco D’Eusanio “Azienda Chiusa Grande” Nocciano (Abruzzo)

Lo chiamano il vinosofo d’Abruzzo e lui, si vede, ne va fiero. Franco D’Eusanio, fondatore dell’azienda agricola Chiusa Grande, 30 ettari tra le colline verdissime sotto la Maiella e il Gran Sasso, tempo fa ha portato la sua filosofia del piacere fino in Giappone con una degustazione multisensoriale di musica, cibo e il suo amatissimo Perla nera, un Montepulciano d’Abruzzo Doc, frutto di antiche selezioni provenienti da un vigneto coltivato secondo i principi dell’agricoltura biologica: “Ho visto emozionarsi italiani e inglesi ma quelli che si son commossi di più sono stati gli asiatici. Hanno scoperto dietro il prodotto un qualcosa in più che fa sognare. Il grande vino è quello che “si fa bere”, che fa scattare un’attrazione fatale, non quello che centellina il sommelier per chiudere le sue qualità organolettiche dentro una scheda”. Dietro queste parole ci sono una serie di scelte tecniche chiare e molto ortodosse. Il vino è raccolto al massimo della sua curva di matti- razione per ottenere composti meno azotati, meno acidità, profumi e gusto più evoluti. Nella fase della trasformazione dell’uva, per i vini bianchi si ricorre all’iperossigenazione e non alla riduzione: si fanno ossidare tutti i componenti possibili prima della fermentazione e ne deriva un vino che esalta le proprie caratteristiche con il trascorrere dei minuti, sorso dopo sorso. Tutti i vini (600.000 bottiglie prodotte), sia quelli autoctoni o “della saggezza”, come il Pecorino o il Trebbiano, sia quelli internazionali o “della follia”, come lo chardonnay, sono biologici. E per ridurre al minimo l’uso di componenti chimici è stata creata anche una linea divini privi di solfiti: i vini Natura. “Non si può essere biologici a metà. È una scelta di vita. L’agricoltura convenzionale ha grossi limiti perché a volte la chimica si avvita su se stessa, aumenta i dosaggi di continuo, cerca nuovi principi attivi, ma le resistenze genetiche si adeguano ancora più velocemente e alla fine si entra in un tunnel senza uscita. Nell’agricoltura biologica, invece, c’è sempre un equilibrio e nelle prove sperimentali emerge in maniera netta che i vini biologici sono più ricchi di vitamine e antiossidanti rispetto ai tradizionali”.

Salvatore Lipetri “Cantine Settesoli” Menfi (Sicilia)

“Nel 2008 abbiamo installato 1.500 pannelli sui tetti degli stabilimenti per un potenziale energetico di 250 kWp; poi anche alcuni dei nostri soci hanno messo i pannelli intorno alle proprie vigne. Abbiamo abbattuto il nostro fabbisogno di energia elettrica del 15% circa e ogni anno evitiamo l’immissione in atmosfera di 200 tonnellate di CO2”. È il più grande impianto fotovoltaico impiegato nel settore vitivinicolo in Italia ma Salvatore LiPetri, direttore delle Cantine Settesoli di Menfi, ci tiene a sottolineare che è solo un tassello di una strategia ben più ampia: “Da tempo i cartoni e le etichette sono prodotti utilizzando carta riciclata e da qualche anno abbiamo adottato sistemi di consumo critico dell’energia, con un’analisi attenta dei consumi, soprattutto per la refrigerazione delle cantine”. Uno staff di agronomi lavora day by day con i 2.300 soci della cooperativa, consigliando le tecniche più eco-sostenibili di viticoltura e i più corretti metodi d’irrigazione, perché anche l’acqua, bene primario, da queste parti è “un consumo critico”. È il più grande vigneto d’Europa, 6.000 ettari e una produzione di 22 milioni di bottiglie l’anno (il marchio Settesoli per la grande distribuzione, il Mandrarossa per il canale delle enoteche), a due passi dalla Valle dei Templi di Agrigento e dei templi di Selinunte. Un grande giardino che digrada dolcemente vero il mare, in faccia all’Africa, scenario anche del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. “Con la sua attività clorofilliana assorbe CO2 nell’ambiente come fanno gli alberi di un bosco”. LiPetri appartiene a una famiglia coinvolta da sette generazioni nella viticoltura, gente che ha sempre vissuto a contatto della terra e del sole. Rispettano la natura, e non temono le nuove tecnologie. “Quando ho detto a mio zio, “ma tu lo sai che in questo momento invece di bruciare petrolio sto facendo le stesse cose con il sole?”, lui ha capito subito che era una cosa positiva”.

Vigneti Verdi In Cifre

43.614 ettari

Superfici coltivate a biologico per produrre vite da vino nel 2009: di questi 16.206 ettari erano in fase di conversione (processo che dura tre anni) e 27.408 già certificati. Dati Sinab

720 MWh

L’energia prodotta in un anno da 150 t di biomassa (scarti solidi) delle vigne: acqua calda sanitaria e per riscaldamento, fredda per il condizionamento, refrigerata per la vinificazione, vapore per sterilizzare le bottiglie

640 m3/t

Il quantitativo di biogas prodotto a partire dal silomais, la coltivazione cerealicola che ha maggiore potere metanigero. Viene mischiata a sorgo, triticale, vinacce, raspi e sansa

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