L’Italia ribolle, laghi e fiumi sono sotto i livelli di guardia, l’agricoltura teme perdite del raccolto di cereali, riso, frutta e verdura tra il -30% ed il -70%, e il Governo, salvo clamorose sorprese, a giorni dichiarerà lo stato di emergenza come chiedono le Regioni, soprattutto quelle del Nord, che sono più in difficoltà. Le ipotesi sul tavolo sono il razionamento dell’acqua, con prevalenza al consumo umano e agricolo, mentre si pensa allo stop al riempimento delle piscine, per esempio, o a limitazioni per la produzione di energia idroelettica, tema non semplice da affrontare, però, soprattutto di questi tempi con i costi energetici già alle stelle e la Russia che tagli le forniture di gas. In ogni caso, la situazione emergenziale di questi giorni, con tanti territori che arrivano al primo giorno d’estate senza aver visto pioggia da 3-4 mesi, è figlia di un cambiamenti climatico che non è fenomeno di oggi, e con cui si dovranno fare i conti per il futuro. E dovrà farli anche la viticoltura. E se alla data di oggi, 21 giugno, molti dicono che la situazione tra i vigneti, salvo casi sporadici, non è ancora drammatica, a preoccupare è il domani. Ed in questo senso, già nei giorni scorsi, sono arrivati i primi allarmi lanciati dal Consorzio della Barbera d’Asti e dei Vini del Monferrato, guidato da Filippo Mobrici, che “copre” un terzo del vigneto piemontese, ma anche dal Veneto, altra Regione locomotiva del vino italiano, come emerso oggi nel primo focus del Trittico Vitivinicolo Veneto 2022 di Regione Veneto, Veneto Agricoltura, Arpav e Uvive. Perchè se non piove nei prossimi giorni la situazione, in vista della vendemmia, protrebbe farsi davvero drammatica, ma anche il futuro più lontano, che, molto probabilmente, imporrà dei cambiamenti importanti anche nel vigneto Italia, sia sul fronte strutturale (invasi, laghetti, infrastrutture), che su quello agronomico, con tecniche più adatte a quella che sarà sempre più una arido-viticoltura, da gestire anche attraverso la ricerca genetica su portinnesti e nuove varietà capaci di gestire al meglio una scarsità d’acqua che pare destinata a diventare una costante. Partendo dal chiarire un equivoco “narrativo”: non è vero che la vite, sotto stress idrico, produce più qualità. Almeno, è la sintesi che si può trarre dalle testimonianze di enologi, agronomi ed accademici raccolte da WineNews, con voci autorevoli come quelle di Attilio Scienza e Leonardo Valenti, docenti all’Università di Milano, Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi, e di Andrea Lonardi, agronomo e Chief Operations Officier di Angelini Wines & Estates (in predicato, a breve, di essere il prossimo Master of Wine italiano).
“Siamo in grande difficoltà - dice Andrea Lonardi a WineNews - e non è vero che la vite resiste bene alla siccità, o meglio, è vero che la siccità ha influenze dal punto di vista qualitativo, soprattutto su alcune varietà, e la prima che mi viene in mente è il Sangiovese. Stiamo vedendo cose che non avevamo mai visto, il cambiamento climatico fino agli anni 2000 ha avuto effetti positivi, ci sono territori che si sono trasformati dal punto di vista qualitativo. Oggi la situazione è completamente cambiata, e vedo alcune Regioni in grande difficoltà, una situazione che fa molto preoccupare”. Ovviamente, le cose cambiano da zona a zona. “L’Italia è divisibile i tre areali: quello mediterraneo, legato al mare - spiega Leonardi - che soffre meno questo fenomeno perchè già abituato ad una viticoltura caldo-arida, un’area del Nord che soffre meno perchè solitamente c’è abbondanza di acqua, e poi c’è un’area centrale fatta da Toscana, Umbria e Marche che per me è di fronte ad una situazione drammatica. Bisogna intervenire al livello aziendale, con pratiche di breve periodo, ma la cosa fondamentale è che l’Italia, come Paese, deve mettere su un tavolo di lavoro come fatto da altri Paesi, per fare scelte di medio lungo periodo. Per capire, anche attraverso la genetica, cosa fare nei prossimi 20 anni se, come ci dicono i dati, questo cambiamento porterà ad un clima ancora più caldo e arido. Ci sono alcuni territori, come Montalcino o altri di Toscana, dove siamo con Angelini Wines & Estates (come il Chianti Classico e Montepulciano, ndr), dove credo si debba fare qualcosa a livello di comunità. Come costruire dei bacini e laghetti, perchè l’acqua è un elemento fondamentale per poter almeno nel breve periodo affrontare questo rischio, non possiamo pensare che le viti più soffrono più danno qualità, è il contrario. Ma di sicuro, nel lungo periodo, la ricerca genetica è quella che potrà darci di più”.
“Ancora in vigna la siccità non è estremamente preoccupante - aggiunge il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella - salvo alcune zone, con terreni ricchi di scheletro, calcarei, ma sono casi sporadici. Alla data di oggi non c’è questa grande preoccupazione, c’è una vegetazione quasi normale. Da ora in poi, però, inizia il momento di maggior fabbisogno di acqua, perchè si va verso l’ingrossamento degli acini, e se mancherà ancora acqua sarà un problema. Speriamo nelle piogge, anche perchè alla vigna non serve chissà quanta acqua. Bastano 40-50 millimetri un paio di volte nei momenti giusti, per assicurare le riserve idriche alla pianta. Anche se c’è da dire che ad oggi la produzione di uva, quest’anno, sembra molto generosa e servirà più acqua che in passato”. E sul futuro, Cotarella commenta: “l’acqua cade dal cielo, non possiamo produrla, e quindi servono infrastrutture, condutture che non portino sprechi, soprattutto per uso domestico. Per l’uso agricolo servono invasi che possono contenere le acque piovane e dello scioglimento delle nevi, da usare in maniera intelligente, a goccia, quando serve”. “Se guardiamo alla situazione di oggi, ancora, non è una situazione drammatica - aggiunte il professor Leonardo Valenti (Università di Milano) - ma se continua così per un altro mese o due non so cosa succederà. Sull’acqua va fatto un ragionamento, ampio: per me va usata per salvaguardare la vita della pianta, ma non per gestire la produzione. Bisogna ricordare che l’acqua è un bene primario, e va usata in maniera più che razionale, e solo quando è strettamente necessario. Piuttosto, bisogna andare verso la ricerca di portinnesti e di tecniche agronomiche in cui l’irrigazione sia solo di soccorso. Quando parliamo di vocazionalità e ci sta anche questo. Di certo è un ragionamento che vale solo se si tratta di produrre meno uva e vino qualche anno ogni tanto. Se diventa una situazione strutturale, allora, vanno ripensate molte più cose, per reimpostare in maniera più ampia la nostra viticoltura”. Che, in estrema sintesi, è la strada indicata dal professor Attilio Scienza. “La narrazione della vite specie che tollera la siccità, purtroppo, è stata fortemente smentita in questi anni - spiega il professor Attilio Scienza a WineNews - quando le disponibilità idriche sono venute a mancare. La vite è una specie che si adatta a condizioni di scarsa presenza d’acqua, lei sopravvive, ma non produce o produce molto poco. Se vogliamo che sia una pianta produttiva, che dia uva in quantità e qualità come si vuole, deve avere una corretta alimentazione idrica, e se, come in questi anni, le cose non sono state così favorevoli, servono dei rimedi”. Che, però, non son semplici. “Dal punto di vista agronomico - sottolinea Scienza - si pensa che l’irrigazione sia la soluzione del problema, ma bisogna pensare che l’acqua non è più disponibile come in passato, e che soprattutto la viticoltura di collina, che è quella che ha più bisogno di acqua, è la più difficile da irrigare, sia per la difficoltà di portare acqua in collina, che richiede tanta energia, e perchè poi la convenienza economica è molto ridotta, e bisogna pensare a delle alternative. La prima è quella relativa ai portinnesti, su questo abbiamo perso troppo tempo, ci siamo affidati a quelli dei primi anni della post fillossera, per i quali il problema è proprio la mancanza di acqua. Abbiamo di fatto concluso la ricerca sul tema alla fine del Novecento, pensando che bastasse che i portinnesti fossero resistenti a fillossera e calcare, senza pensare alla gestione dell’acqua in modo serio. E c’è un vizio di fondo: si utilizzano pochissime fonti genetiche, pochi genitori, e questo non ha favorito la creazione di varietà realmente resistenti. Negli anni Novanta del Novecento l’Università di Milano ha iniziato questo progetto dei nuovi “portinnesti M”, e due di questi si rivelano interessanti sul fronte della gestione della siccità, ma la strada è appena iniziata.
Dobbiamo usare l’enorme riserva genetica presente negli Stati americani più siccitosi, penso ai deserti dell’Arizona, del Nuovo Messico, del Texas, dove ci sono popolazioni di individui selvatici capaci di resistere a temperature molto elevate e disponibilità d’acqua molto basse. Da lì deve partire un grande progetto di ricerca sul tema dei portinnesti. Ma questo non basta, perchè i tempi sono lunghi e dobbiamo reagire ora. In questo senso - puntualizza Attilio Scienza - salta all’occhio, in questi anni, lo spostamento della viticoltura, dalle zone di collina alla pianura, spesso, in territori che non erano coltivati a vite, facendo imponenti opere di bonifica pedologica, per creare vigneti meccanizzati facilmente accessibili. Per farlo, si sono spostate grandi quantità di terra, e questo ha determinato un cambiamento sostanziale delle caratteristiche della tettonica del suolo. Questo viene spesso sottovalutato, ma è fondamentale. I nostri suoli sono frutto di fenomeni che hanno centinaia di migliaia di anni, la stratificazione è un processo lunghissimo, che parte dalla roccia madre per arrivare fino alla terra agricola, creando strati molto diversi. E la pianta sviluppa diversi tipi di radice, superficiali e profonde, che hanno ruoli diversi, e questo le consente di gestire bene sia la funzione idrica che quella minerale. Ora, è facile immaginare che usando macchine che spostano insieme grandi quantità di terra, si sconvolga questa tettonica, e quindi abbiamo un profilo poliforme, senza strati, e la radice della vite fa fatica ad adattarsi perchè non riconosce più i diversi strati, i diversi orizzonti, per localizzare in modo differenziato le radici con diverse funzioni. E questo si vede dal fatto che gli impianti più giovani: sono tutti stressati, e la produzione di anno in anno cala. Dobbiamo ricostruire una cultura del suolo, con lavorazioni profondi, cambiando la tecnica agronomica pensando ad un arido-viticoltura, in cui le distanze tra filare devono aumentare, in cui i portinnesti devono assolutamente essere solo quelli adatti alle condizioni di stress, allargare i filari per evitare che l’energia dell’infrarossi si concentri, interventi che non sono facili da fare ovviamente, e che possono riguardare solo i nuovi impianti”. E, secondo Scienza, c’è anche un tema di varietà di vite, da affrontare. “I vitigni utilizzati nelle varie epoche, più calde o più fredde, sono sempre stati figli dell’adattamento, scelti dall’uomo che ha eliminato quelli che non erano adatti a quella fase. Ecco, noi oggi questo non siamo capaci di farlo, siamo troppo rigidi, troppo legati ai disciplinari, a questo concetto di vitigno autoctono legato al territorio, ormai raccontiamo così il vino, e quindi cambiare vitigni è una operazione difficile. Ma necessaria. Il futuro, con il cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature, esige che siano fatte nuove varietà, sia per i vini bianchi che per i vini rossi. Anche perchè questo eliminerebbe tutta una serie di inconvenienti, dal grado alcolico troppo alto agli effetti negativi dell’energia solare sulla maturazione, a conseguenze negative sulla vitalità e produttività delle piante. In poche parole, dobbiamo ripensare due cose. La prima è la vocazionalità dei suoli e degli ambienti: alcuni sono vocati, altri no, e non si può forzare la natura solo perchè c’è domanda impellente di un certo prodotto. Dobbiamo tornare ad un concetto più rigido di vocazionalità, che vuol dire non solo produrre in quantità e in qualità, ma anche a basso costo. E teniamo contro quella che serve per l’irrigazione è una delle energie più costose. E poi c’è la genetica: serve un progetto di miglioramento genetico sui portinnesti che possono gestire meglio la siccità, e su varietà capaci di adattarsi al clima che cambia costantemente”.
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