“La Sicilia, grazie alla sua privilegiata posizione e alle sue caratteristiche pedoclimatiche e geopedologiche, dimostra di poter governare le conseguenze del cambiamento climatico. La capacità dei produttori e del territorio siciliano di adattarsi negli anni a determinate condizioni estreme - dalla scarsità idrica alle elevate temperature - hanno permesso di acquisire conoscenze che oggi sono alla base di un modello siciliano di vitivinicultura sostenibile, oltre che la sua chiave di successo. A giocare un ruolo fondamentale nel futuro vitivinicolo siciliano sono le variabili come la biodiversità, le buone pratiche tradizionali, le tecniche agronomiche attuali e sostenibili, le varietà autoctone. Tutti elementi che insieme alla ricerca, lo studio, le sperimentazioni, la qualità della produzione, fanno della Sicilia un laboratorio vitivinicolo unico e una guida nella gestione sostenibile dei cambiamenti climatici”. È, in sintesi, usando le parole del presidente Assovini Sicilia, Laurent Bernard de la Gatinais, il leitmotiv che accompagna “Sicilia en primeur” n. 18, il più importante evento enologico siciliano che culmina in questi giorni ad Erice nel Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana (con il convegno - moderato dal giornalista Massimo Giletti - e i banchi di assaggio delle etichette dell’isola, in anteprima).
La scelta di Erice stessa non è stata casuale. Borgo arroccato sul Monte San Giuliano che guarda su Trapani, ha origini antichissime, che paiono risalire addirittura all’epoca degli esuli troiani. Fu in seguito conquistata dai Romani nel 244 a.C. e divenne il loro centro di rilievo per venerare la Venere “Ericina”, la prima dea della mitologia romana a somiglianza della dea greca Afrodite. L’occupazione araba e la dominazione spagnola, non tolsero ai liberi cittadini di Erice la capacità di riscattare sempre il proprio paese, rendendosi indipendenti anche dal re Umberto I. Una storia di orgoglio e benessere - legata alla vita monastica e alle famiglie abbienti che l’hanno arricchita di palazzi signorili - che ha trovato nuovo slancio nel Novecento grazie al Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana. Questa istituzione, fondata nel 1963 dal professor Antonino Zichichi, ha reso Erice famosa nel mondo come “città della scienza”, perché richiama gli studiosi più qualificati del mondo per la trattazione scientifica di problemi attuali in diversi settori accademici. Oggi comprendono anche quelli strettamente legati al cambiamento climatico, tramite il “Laboratorio Internazionale di Ingegneria scientifica e tecnologia avanzata”, che ha il preciso mandato di studiare le diverse emergenze planetarie che affliggono il pianeta.
Un laboratorio di idee che, attingendo dal patrimonio passato, vuole consegnare al futuro un’idea di interazione uomo-natura sostenibile. Partendo innanzitutto dal territorio regionale. “La Sicilia possiede il più grande vigneto d’Italia (o, andando oltre confine, pari a tre volte quello neozelandese ed equivalente al vigneto tedesco), ben 98.000 ettari; è pure il più grande vigneto biologico nazionale (due volte quello pugliese e toscano, tre volte quello veneto) con poco più di 26.000 ettari (il 30% della superficie vitata italiana) che aumentano a 42.000 se si comprendono quelli a produzione integrata (è comunque la regione con superficie biologica agricola totale maggiore d’Italia, con oltre 370.000 ettari di suolo dedicato). Sempre la Sicilia - precisa Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia - contiene una estrema varietà di suoli ed una impareggiabile ricchezza in vitis vinifera autoctone e reliquie, che - insieme all’eterogeneità di microclimi - porta a toccare i 100 giorni di raccolto in periodo di vendemmia”.
Partendo da questo Dna biologico, Assovini Sicilia, Doc Sicilia e la Fondazione Sostain portano in eredità l’esperienza pluri-decennale di oltre il 94% del settore vitivinicolo siciliano. Assovini Sicilia, in particolare - nata nel 1998 con l’obiettivo di promuovere il brand Sicilia nel mondo - oggi rappresenta 90 aziende, 16.000 ettari vitati di cui quasi un terzo a biologico. Produce oltre 68.000 bottiglie, superando i 300 milioni di fatturato grazie a più di 900 etichette immesse per la maggior parte sul mercato estero (davanti a tutti Europa col 45%, poi Stati Uniti al 31%, Asia al 16%, infine Oceania al 6% e Africa al 2%, con il Brasile, la Cina e il Sud-Est Asiatico a fare capolino come mercati emergenti). La Doc Sicilia, invece - nata nel 2011 e promossa dal Consorzio per vigilare sulla qualità del vino siciliano - dal 2021 può contare su 7.902 viticoltori e 530 imbottigliatori iscritti, 24.683 ettari di superficie rivendicata e 96.255.770 bottiglie certificate, registrando un aumento del 6% sul 2020. Gli incrementi si riferiscono anche all’aumento di produzione di Grillo e Nero d’Avola, i vitigni su cui negli ultimi anni hanno puntato le aziende per le loro caratteristiche qualitative. La vendemmia 2021 di Grillo, nello specifico, ha prodotto 21.010.284 milioni di bottiglie: un +26% rispetto ai 16.707.274 del 2020, distribuiti sia sui mercati nazionali che su quelli internazionali.
A fare da direttore d’orchestra a queste due importanti istituzioni-pilastro della viticoltura siciliana, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, c’è la Fondazione Sostain, oggi capitanata dal presidente Alberto Tasca (guida della griffe Tasca d’Almerita) e concentrata nell'accompagnare i suoi soci lungo percorsi estesi, intensi e costantemente misurati di sviluppo etico ed eco-sostenibile. Sono 26 ad oggi le aziende associate (che coprono oltre 28.000 ettari di superficie vitata) distribuite in tutta la regione, che devono aderire ad una decina di requisiti minimi del disciplinare (dal divieto di diserbo chimico alla salvaguardia della biodiversità; dall’utilizzo di materie prime locali alla trasparenza della comunicazione, fino all’uso di tecnologie energeticamente efficienti). “Parola chiave del progetto è la condivisione delle buone pratiche – illustra Alberto Tasca - che le cantine (sia private che cooperative, caso raro in Italia) mano a mano costruiscono, anche grazie all’aiuto di un comitato scientifico indipendente, che analizza sia macro-temi generali che micro-temi aziendali”. Secondo una pubblicazione di Billie Lie Thurner dell’Arizona Univeristy, infatti, “il cambiamento ambientale globale include sia i cambiamenti sistemici che operano a livello globale attraverso le principali strutture della geosfera-biosfera, sia i cambiamenti cumulativi, che rappresentano l’accumulo globale di cambiamenti localizzati. Una comprensione delle dimensioni umane del cambiamento richiede un’attenzione per entrambe le tipologie di cambiamenti, attraverso la ricerca che integra i risultati di scale spaziali, che vanno dal globale al locale: un focus regionale rappresenta, quindi, una via di approccio particolarmente promettente”.
Dal punto di vista macro-tematico, l’intervento del professor Marco Moriondo dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze, tratteggia il quadro generale dentro cui si devono concentrare gli sforzi nel trovare soluzioni compatibili con i cambiamenti in atto. Spiega, infatti, come la produzione di vini di qualità sia innescata dall’interazione - stabilitasi in base all’esperienza dell’uomo nel corso del tempo - fra suolo-clima e vitigno; e come una minima variazione in uno di questi fattori sia destinata ad alterare la tipicità delle produzioni viti-vinicole, con conseguenze misurabili anche su un mercato divenuto ormai globale. “Le evidenze scientifiche hanno già dimostrato come l’incremento delle temperature osservate negli ultimi 50 anni abbia cambiato i ritmi stagionali di sviluppo e crescita della vite nelle più importanti aree di coltivazione nel mondo - precisa Moriondo - determinando, a seconda dell’area geografica, incrementi drastici di produzione (come in nord Europa) o forti riduzioni (come in sud Europa e Australia), con alterazione delle caratteristiche qualitative dell’uva”. Le proiezioni climatiche per il futuro indicano che il bacino del Mediterraneo sarà un’area geografica particolarmente esposta all’aumento delle temperature, con impatti negativi generalizzati su tutta l’area.
A partire da uno scenario così preoccupante, la Sicilia propone di usare il cambiamento climatico a favore di tutti, attraverso le caratteristiche naturali dell’isola e le pratiche del passato, che hanno consentito ai vitivinicoltori di adattarsi per secoli a climi estremi e, oggi, di trasformare la capacità di adattamento in abilità tecnologiche, che portano a nuove frontiere della vitivinicoltura del secondo millennio. Se il Mediterraneo sarà il centro di questo enorme cambiamento, la Sicilia è pronta a fare la sua parte, col suo patrimonio di esperienze, “mettendo al centro la vite, il suo studio, la sua evoluzione e la sua capacità di adattamento, oltre alle variabili che permettono la coltivazione della pianta, come il suolo, l’acqua, la fertilità, la biodiversità e le tecniche agronomiche, dove il fattore umano - inteso come scienza, conoscenza ed esperienza - è fondamentale in una produzione consapevole della vite: “buone conoscenze per buone scelte”, puntualizza con ottimismo Laurent Bernard de la Gatinais.
Mattia Filippi, enologo e co-fondatore di Uva Sapiens, illustra nello specifico (ecco quindi il “promettente focus regionale”) come oggi la Sicilia si trovi in una condizione di privilegio rispetto ai cambiamenti climatici europei e globali, sotto forma di preoccupanti dinamiche meteo-climatiche lente, che però fanno i conti con fenomeni meteorici sempre più estremi. L’isola si trova, infatti, in una condizione di assetto viticolo talmente legato alla tradizione che oggi, una serie di variabili produttive ad essa connesse, risultano essere estremamente attuali nei confronti dei cambiamenti climatici. Le varietà autoctone giocano un ruolo chiave anche in tal senso. La Sicilia è stata ed è un grande laboratorio vitivinicolo e godrà di un’attenzione speciale per i prossimi decenni da parte di altri importanti territori viticoli che fanno già i conti seriamente con i cambiamenti climatici, dalla California all’Australia.
In conclusione, a legare in modo curioso ma inesorabile il vino - quindi “Sicilia en primeur” - a tutta la scienza, anche quella che apparentemente ne è lontanissima come la fisica quantistica - quindi il Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana ad Erice - ci pensa il professor Pierluigi Campana dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, raccontando di un aneddoto avvenuto del 2005, che ha dato il via ad una stretta collaborazione fra gli istituti anti-frode del vino e laboratori in possesso di macchinari sofisticati, che rilevano la radioattività dei materiali. L’episodio in questione coinvolge 4 bottiglie da collezionismo di Lafitte & Branne Mouton del 1780 circa, appartenute al presidente americano Thomas Jefferson e acquistate per 500,000 dollari da un grande collezionista di nome William Koch. Durante una sua esposizione di pezzi d’arte al Boston Museum for Fine Arts, che comprendeva le quattro bottiglie, di fronte al dubbio di autenticità espressa dalla Jefferson Foundation (che non trovava Documenti del presidente che ne attestassero l’esistenza), Koch decide di rivolgersi ad un ex-agente dell’Fbi, tale Elliot, che sottopone le bottiglie ad un’analisi non -distruttiva, per rilevare la presenza di una particella chiamata Cs137.
Questa particella non esiste in natura e se ne riscontra la presenza solo a partire dai test nucleari del secondo dopoguerra, che le hanno emesse: quindi, se un qualsiasi materiale, vino compreso, contiene questa particella, di certo è stata prodotto dopo il 1945. “Le bottiglie superarono il test, non contenendo tracce di Cs137, ma non furono comunque capaci di rivelare l’esatta età del vino, quindi la sua reale autenticità. Fu invece l’incisione sul vetro della bottiglia - reputata troppo precisa da Elliot e sottoposta ad una successiva analisi effettuata nei laboratori dell’Fbi a Quantico - a rivelare che i segni erano stati effettuati da un trapano da dentista (di certo non esistente ai tempi di Jefferson) e a smascherare la frode. Questa storia - termina il professor Campana - ci insegna come sia possibile, che i risultati della cosiddetta ricerca fondamentale siano applicabili in campi che subito non prevediamo. Ad esempio la teoria di Einstein sulla gravitazione ci fa funzionare i cellulari, la diagnostica per immagini deriva dai raggi-X, gli acceleratori di particelle curano i tumori...tornando ai neutrini, ipotizzati da Pauli e Fermi nel 1930, osservati da Cowan e Reines nel 1956, nel 2005 sono riusciti a smascherare le frodi del vino nel 2005”. Le influenze, interazioni e applicazioni, insomma, sono infinite e imprevedibili: un buon motivo per affrontare i cambiamenti climatici con cauto ottimismo, guardando alla scienza.
Focus - Studio UniCredit-Nomisma: la Sicilia al top in Italia per i vini di qualità
La Sicilia registra il 15% degli ettari vitati e l’8% della produzione di vino rispetto all’Italia. È uno dei dati che emergono dallo studio UniCredit-Nomisma “Competitività e scenari evolutivi per il vino italiano e siciliano secondo l’Agri4Index Nomisma-UniCredit”. La Sicilia si colloca al primo posto in Italia per superficie dedicata alla coltivazione biologica della vite: in Regione, infatti, la superficie di vigne a coltivazione biologica è pari a 26.241 ettari (il dato nazionale è pari a 117.378 ettari), pari al 27% della superficie di vigne in Sicilia. Sul fronte della qualità i vini della Sicilia si confermano anche per il 2021: l’incidenza dei vini Dop è sostanzialmente in linea con la media nazionale (40% Sicilia; 43 % Italia), l’incidenza dei vini Igp è più alta in Sicilia rispetto al dato nazionale (34% Sicilia; 26% Italia). L’export regionale ha registrato un forte rimbalzo (+16,8%) rispetto al crollo del 2020 e registra un aumento del 20,7% rispetto al 2016. I principali mercati di riferimento dell’export del vino siciliano sono: gli Stati Uniti (21%); la Germania (12,7%); il Regno Unito (8,7%), il Canada (7%). Rispetto ai dati del 2016 il maggiore incremento si è registrato con il Canada (93,1%), la Corea del Sud (64,3%), la Svezia (52,9%) e gli Stati Uniti (40,3%). Nell’export i rossi Dop Sicilia registrano un incremento del 2% rispetto al 2019 e i bianchi Dop Sicilia hanno avuto un incremento del 32% rispetto al 2019.
Riguardo al trend nelle vendite di vini nella Distribuzione Moderna in Italia (Iper e supermercati) nel 2021 rispetto al dato del 2019, i vini fermi siciliani sono cresciuti complessivamente dell’8,7% nei valori e del 2,5% nei volumi; buone le performance per i vini Dop siciliani le cui vendite sono aumentate del 21,5% nei valori e del 15,8% nei volumi.
Focus - Percezione e prospettive della Doc Sicilia in Italia e Stati Uniti
Secondo l’analisi “Immagine, percepito e prospettive del Doc Sicilia in Italia”, commissionata dal Consorzio a GPF Inspiring Research, azienda leader nelle ricerche di mercato e presentata dal presidente del Consorzio di Tutela Doc Sicilia, in un campione composto da individui che possono definirsi“conoscitori di vino”, il 74,8% tra questi ha affermato di conoscere il vino siciliano. Il dato è ancora più positivo in riferimento a un cluster di giovani di età compresa tra i 24 e il 29 anni, attestandosi al 79,4%. I vini siciliani sono dunque tra i più conosciuti e la Sicilia è la prima aerea in cui si registra un incremento così importante della fascia più giovane. Rispetto al consumo: tra coloro che sono buoni conoscitori del vino siciliano, l’83% lo beve anche.
Da questi dati si evince dunque un più che soddisfacente grado di conoscenza dei vini Doc Sicilia da parte del consumatore finale e un ottimo, e per nulla ovvio, livello di conversione dalla conoscenza al consumo. Nella fase qualitativa dell’analisi, la Doc Sicilia emerge come un Brand con un’identità forte e molteplice. Sul campione totale, viene percepito come un prodotto di eccellenza e “di carattere”, associato al biologico, in grado di rappresentare l’Italia nel mondo e la Sicilia con tutte le sue diversità. Il vino siciliano viene vissuto come un vino "importante" ma non eccessivamente sontuoso, con numerosi attributi organolettici e legati alla sua Terra: un vino deciso, innovativo, ma che al contempo può essere fresco, fruttato e ambasciatore della sua anima eterogenea e delle sue ricchezze anche all’estero. Apprezzato anche lo storytelling, perché fa capire al consumatore tutto ciò che sta dietro alla bottiglia di vino. “Chiaramente il brand più forte è Italia, poi viene la Toscana, ma il terzo è Sicilia: è un ottimo risultato” il commento del presidente Antonio Rallo.
Anima eterogenea sempre più apprezzata anche nel mercato americano: secondo il report prodotto da Wine Intelligence, relativo al monitoraggio dei vini Doc Sicilia negli Usa, riferito a consumatori abituali di vino, la Sicilia si classifica tra le prime 10 regioni per conoscenza del brand (davanti ai brand Chianti, Prosecco e Piemonte): la consapevolezza del brand negli Stati Uniti è rimasta stabile, anche attraverso la pandemia, mentre i consumatori di Grillo sono aumentati significativamente dal 2020 al 2021 così come i consumatori Nero D’Avola. “Nel 1993, quando iniziai a lavorare, nel primo studio effettuato il percepito della Sicilia all’estero era bassissimo dal punto di vista del vino: un altro mondo questo di oggi”, il commento di Alberto Tasca.
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