Momento fondamentale di business come ogni fiera deve essere, tanto più in una fase di mercato complessa come quella che il vino da qualche anno sta vivendo, ma anche strumento di riflessione su temi importanti come la partità di genere, lo spopolamento delle aree interne e non solo: tutto questo sarà la Slow Wine Fair 2026, di scena a BolognaFiere dal 22 al 24 febbraio, nuovamente in sinergia con Sana Food (e che consolida il ruolo della fiera bolognese come hub del vino, insieme ad eventi come la Champagne Experience di Excellence Sidi, che riunisce i maggiori distributori di vini di pregio in Italia, ed il Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti della Fivi, ndr), e che sarà focalizzata anche “sull’impatto positivo che il vino può avere su territori e comunità, come motore di sviluppo e inclusione sociale”.
Oltre 1.000 gli espositori attesi per la quinta edizione della Slow Wine Fair che, come hanno spiegato oggi Gianpiero Calzolari, presidente BolognaFiere, e Giancarlo Gariglio, coordinatore Slow Wine Coalition, apre un nuovo fronte di riflessione e confronto: quello del vino giusto, approfondendo la dimensione sociale della filiera vitivinicola. “Dopo aver indagato la salute del suolo, il packaging e la logistica come elementi chiave della sostenibilità, l’edizione 2026 amplia ulteriormente lo sguardo, mettendo al centro non solo la qualità organolettica e ambientale del vino, ma anche il suo impatto sulle persone e sulle comunità. Un vino davvero buono e pulito, secondo la visione di Slow Food, deve essere anche giusto: prodotto senza sfruttare lavoratori e territori, capace di generare valore condiviso, lavoro dignitoso, inclusione e nuove opportunità”.
È su questi temi che la Slow Wine Fair 2026 diventa terreno di dialogo tra produttori, esperti, ricercatori, consorzi, istituzioni, buyer e professionisti dell’Horeca. Attraverso conferenze e incontri - sia online a partire da gennaio sia in fiera - l’evento invita a riflettere sul “ruolo sociale del vino come strumento di integrazione dei lavoratori stranieri, di promozione dell’imprenditoria femminile e giovanile, e di rigenerazione delle Terre Alte, spesso marginalizzate, ma ricche di potenzialità. Una sfida complessa, che non ha risposte univoche, ma richiede visione, alleanze e scelte produttive coraggiose”.
“Slow Wine Fair si conferma una piattaforma che unisce valore culturale, visione internazionale - ha detto Gianpiero Calzolari, presidente BolognaFiere - e una filiera sempre più attenta alla sostenibilità. Il tema del vino giusto amplia lo sguardo sulla dimensione sociale del settore, mettendo al centro lavoro dignitoso, inclusione e responsabilità verso i territori. Per BolognaFiere, Slow Wine Fair e Sana Food rappresentano appuntamenti chiave dedicati al canale Horeca e alla qualità dei consumi fuori casa, ambiti nei quali vogliamo generare contenuti, connessioni e nuove opportunità di business. La sinergia con Slow Food rafforza questo percorso per la costruzione di un ecosistema che promuove competenze, responsabilità e una cultura del cibo e del vino capace di creare valore per l’intera filiera”.
“Con l’edizione 2026 della Slow Wine Fair vogliamo affermare con chiarezza - ha aggiunto Federico Varazi, vicepresidente Slow Food Italia - che la qualità del vino non può essere separata dalla qualità del lavoro. Parlare di un vino “buono, pulito e giusto” significa assumersi una responsabilità politica verso i territori e le persone che li abitano. Oggi, in un sistema economico che premia la competizione al ribasso, non è accettabile che proprio l’agricoltura e la ristorazione, settori simbolo della nostra identità culturale, siano tra i più esposti allo sfruttamento lavorativo e al caporalato. Difendere il lavoro agricolo significa difendere le comunità rurali, garantire dignità ai lavoratori migranti, creare opportunità per i giovani e per le donne che vogliono costruire impresa nelle aree interne e nelle Terre Alte. Significa anche rivendicare un modello diverso di sviluppo, capace di generare ricchezza diffusa e non profitti concentrati in poche aziende. Ogni bottiglia di vino racconta tutto questo: il modo in cui si coltiva la vigna, le relazioni tra chi produce e chi lavora, la cura o l’abbandono dei territori. Per questo chiediamo a chi beve vino di compiere una scelta politica e culturale, non solo gastronomica. Perché giustizia sociale e ambientale non sono un elemento accessorio del vino: sono la sua sostanza”.
“Alla quinta edizione della Slow Wine Fair, possiamo fare un primo punto sull’identità che la fiera sta assumendo. Per prima cosa - ha sottolineato Giancarlo Gariglio, coordinatore Slow Wine Coalition - la qualità altissima delle cantine coinvolte, selezionate sia dal punto di vista dei vini sia per le pratiche agricole ed enologiche impiegate. Altrettanto distintiva è la percentuale di realtà certificate biologiche, biodinamiche o in conversione, che oltrepassa il 60%. Questa grandissima omogeneità degli espositori fa sì che la Fair attiri ormai un parterre di operatori dell’Horeca italiana di alto livello - anche in forza del “Premio Carta Vini Terroir e Spirito Slow” che riscuote un successo sempre crescente sia come numero di candidati sia come premiati - e che sia sempre più in crescita anche l’interesse da parte degli operatori stranieri che hanno compreso come stia accadendo qualcosa di importante a Bologna. Ma la Fair non è solo vino. Anche per le altre filiere - ricorda Gariglio - il nostro impegno è volto all’eccellenza, come per la selezione di amari, per i roaster che portano alla Slow Wine Fair alcuni dei migliori caffè italiani e non solo, per l’offerta sia dei sidri sia degli spirits, in crescita anche quest’anno. Accanto all’unicità dei prodotti presentati, la Slow Wine Fair si distingue perché avvia il dibattito sui temi legati alla sostenibilità ambientale, alla tutela del paesaggio e alla giustizia sociale in ambito agricolo. E inoltre, avvicina un pubblico di appassionati giovani, proprio quel segmento di consumatori per pare essere meno vicino al consumo di vino, ma che forse ha solo bisogno di conoscere il prodotto da un punto di vista più affine alle loro idee”.
Ma la fiera resta comunque un momento di mercato, come sottolineato da Brunella Saccone, dirigente Ice - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, che ha rimarcato “l’avanguardia di temi e tendenze che fa emergere la Slow Wine Fair. Nelle quattro edizioni precedenti è cresciuta a livello di interesse internazionale, con un’attenzione da parte dei buyer sempre più significativa, perché a Bologna davvero si creano le condizioni per un momento di conoscenza concreto di piccole realtà che possiamo definire eroiche: piccolissime aziende, a cui la fiera di Bologna dà la possibilità di creare nuove connessioni commerciali”.
E come detto, Slow Wine Fair si svolge anche quest’anno in contemporanea con Sana Food, il format professionale sull’alimentazione sana, sostenibile e di qualità rivolto al canale Horeca e al retail specializzato. L’edizione 2026 segna un ulteriore passo avanti nella collaborazione tra BolognaFiere e Slow Food: per la prima volta, infatti, Slow Food Promozione entra ufficialmente nel Padiglione di Sana Food, portando produttori delle reti Slow Food, appuntamenti formativi, degustazioni e momenti di confronto sulle principali sfide del settore agroalimentare. Grazie a un unico biglietto, padiglioni adiacenti e una matrice valoriale condivisa, la sinergia tra Slow Wine Fair e Sana Food dà vita a una piattaforma integrata che unisce cibo e vino, business e cultura, con l’obiettivo di offrire agli operatori professionali strumenti concreti per rispondere alla crescente domanda di responsabilità, trasparenza e sostenibilità.
Venendo al vino, saranno oltre 1.000 le cantine espositrici dall’Italia e dall’estero, con i vignaioli e vignerons presenti a Slow Wine Fair che “condividono l’impegno del “Manifesto per il vino buono, pulito e giusto”, mettendo in pratica principi di sostenibilità ambientale, rispetto del paesaggio e del terroir, valorizzazione delle comunità agricole e tutela della biodiversità”. Tra le novità, una nuova area dedicata alle vecchie annate, messe a disposizione dalla Banca del Vino di Pollenzo dopo 20 anni di attività, con bottiglie rare e millesimi introvabili, spesso assenti persino nelle cantine di origine. “La Slow Wine Fair diventa, così, l’occasione per degustare questi vini accompagnati da racconti sul loro percorso. L’esperienza prevede due modalità: la rotazione quotidiana di etichette nella Wine Emotion e i Temporary Tastings, occasioni più raccolte e programmate”. Presenti anche selezioni di amari, spirits, sidri e caffè, mentre torneranno, come detto, anche il “Premio Carta Vini Terroir e Spirito Slow”.
Focus - Cosa racconta un calice di vino giusto? Il lavoro equo, il futuro per le Terre Alte, l’intraprendenza delle donne e le nuove opportunità per i giovani, secondo Slow Wine
Slow Wine Fair non è soltanto la fiera in cui incontrare produttori selezionati da Slow Food secondo i criteri del “Manifesto del vino buono, pulito e giusto” - che prevedono, tra gli altri, uve di proprietà, pratiche agricole e di cantina sostenibili ed escludono l’uso di diserbo chimico - ma è anche un’occasione unica per confrontarsi sugli aspetti sociali del lavoro vitivinicolo, elementi centrali in un panorama sempre più denso di eventi enologici. Proprio per questo la Slow Wine Fair rappresenta uno stimolo per tutto il settore vitivinicolo, che può farsi apripista di nuove scelte di produzione e distribuzione utili a tutto il settore agricolo. Nell’edizione 2026 il tema centrale è la giustizia sociale nel mondo del vino, con una particolare attenzione alla dimensione lavorativa: rapporti di lavoro equi tra vitivinicoltori e dipendenti, un’occupazione che garantisca a tutti i lavoratori dignità, diritti e sicurezza, oltre a un compenso proporzionato alla quantità e qualità dell’attività svolta. Un tema cruciale in un settore, quello agricolo, dove la piaga dello sfruttamento è ancora diffusa. Accanto a questo argomento, si discute anche della difficoltà dei giovani di accedere ai vigneti a causa dell’aumento del costo dei terreni, del percorso che deve essere ancora fatto per raggiungere le pari opportunità anche in questo settore e dell’importanza della viticoltura nella strategia sul futuro delle Terre Alte, centrale nella visione di Slow Food.
Il lavoro, spiega Slow, “non deve essere trattato alla stregua di una merce, ma deve avere l’obiettivo di promuovere e garantire i diritti umani, senza discriminazioni basate sul sesso, l’etnia, la nazionalità o sullo status giuridico. Una meta in molte parti del mondo ancora lontana da raggiungere e anche in Italia, in questo momento storico, le garanzie si sono allentate dando spazio a situazioni in cui i diritti acquisiti dopo lunghe lotte vengono a volte traditi. L’agricoltura è uno dei settori più colpiti, insieme a quello edile e dei servizi per la ristorazione. Per questo Slow Wine Fair - in collaborazione con realtà sindacali, associazioni del terzo settore che si occupano di accoglienza e inclusione, e con i produttori - mette al centro del dibattito il lavoro, per denunciare tutte le forme di sfruttamento palese, come il caporalato, o occulto, come avviene tramite talune cooperative. Il caporalato e lo sfruttamento non sono problemi che riguardano solo alcune regioni d’Italia o alcune produzioni: purtroppo si trovano, in modo non sporadico, anche nei distretti di eccellenza dell’agroalimentare, vino compreso. Infatti, tra i mutamenti importanti che si sono registrati in questo secolo nel campo della viticoltura, c’è sicuramente il cambio della manodopera, dove forze lavoro locali e pensionati hanno lasciato spazio a lavoratori immigrati. Spesso con una vulnerabilità lavorativa e sociale (permessi di soggiorno brevi, scarsa conoscenza della lingua e dipendenza dagli intermediari) che li rende più facilmente ricattabili”.
Ma proprio dalla viticoltura arrivano esempi positivi di integrazione lavorativa e inclusione, come quello che viene da Salina, territorio affascinante ma fragile, dove l’economia si regge sul turismo stagionale, che richiede nei mesi estivi molta manodopera per i capperi e la vite. Qui Antonino Caravaglio coltiva le sue vigne: i suoi vini furono tra i primi a essere certificati biologici da una società francese perché in Italia non c’erano ancora enti simili, questo per far capire la sua filosofia produttiva che ha salde radici: “per far fronte alla mancanza di lavoro in campagna, che bloccava la crescita aziendale, mi sono rivolto ai centri di accoglienza e in particolare a quello di Piazza Armerina (Enna). Vinta la diffidenza iniziale dei responsabili del centro a mandare dei ragazzi su una piccola isola, a Salina arrivarono tre giovani, con lo status di rifugiati politici, che ho assunto. I ragazzi vivono sull’isola tutto l’anno. Dopo un primo periodo di soggiorno nella casa che mi ha messo a disposizione un mio collega, ho sistemato una parte della cascina creando tre unità abitative confortevoli, così da garantire loro uno spazio privato, dopo tutte le peripezie affrontate. Sono soddisfatto del loro percorso, li ho formati per circa un anno e ora lavorano sia in vigna sia in cantina. Ho assunto anche due ragazzi con il decreto flussi. Oggi la squadra è composta da persone provenienti da Nigeria, Maghreb, Romania e altri paesi, culture diverse che vivono in piena armonia. Questo funziona grazie a un principio semplice: il trattamento equo per tutti, che permette loro di sentirsi gratificati. Siamo riusciti a rinnovare il contratto per due anni e stiamo cercando di favorire il ricongiungimento familiare. Questa esperienza ha fatto strada: altre strutture, del settore agricolo e turistico, hanno seguito il mio esempio. L’immigrazione è una risorsa per il nostro paese e i lavoratori stranieri sono vitali per la nostra economia”.
Altro tema è quello della parità di genere, in un settore che vede già tante cantine governate da donne. “Nonostante gli stereotipi di genere continuino a esistere, grandi passi sono stati fatti nel mondo del vino. Se pensiamo a figure storiche come Barbe-Nicole Clicquot e alle difficoltà incontrate nell’Ottocento a capo della famosa maison champenoise, oggi la situazione è molto diversa e il vino è sempre più in grado di valorizzare il ruolo della donna. Si assiste a una crescente trasformazione, con una maggiore presenza femminile nel settore: produttrici, sommelier, influencer e ambasciatrici del vino, che con il loro lavoro contribuiscono a superare pregiudizi storici e sociali. Una delle capostipiti della viticoltura al femminile è sicuramente Elisabetta Fagiuoli della cantina Montenidoli, a San Gimignano, terra che l’ha accolta 53 vendemmie fa. Una terra che ha valorizzato grazie alla sua tenacia ed eleganza, amore e dedizione, una vita spesa per questo territorio, per custodirlo e promuoverlo, coniugando bellezza, rispetto per l’ambiente e qualità. Ha saputo dare nuova forza a uno dei suoi frutti principi, che ha sempre lavorato senza rincorrere guadagni facili, ma credendo in questo prodotto, tanto da meritarsi l’appellativo Signora della Vernaccia. Ha costruito una cantina negli anni ‘70 quando il vino era quasi esclusivamente al maschile e molto maschilista: “come in tutti gli inizi ci sono stati dei problemi, che la bellezza di questo luogo ha aiutato a stemperare. Mi sono buttata in questo progetto con tutta me stessa - spiega Elisabetta Fagiuoli - mi sono infilata pantaloni e scarpe da lavoro per andare in giro per la vigna. Perché è dal suolo che parte tutto. Perché un viticoltore deve saper guardare la terra e parlare con le viti”. Ma il suo progetto non si ferma. Ha dato vita alla Fondazione Sergio Il Patriarca Onlus: “la fondazione accoglie chi non si trova nel mondo dell’efficienza - spiega Elisabetta Fagiuoli - quelli che la lasciano in quanto anziani e quelli che la aspettano perché giovani. Gli anziani possono così tramandare le loro esperienze e ne sono felici. Le nuove generazioni possono aprire un po’ la mente, perché purtroppo spesso sono condannate a sapere tutto di niente, incanalate in un tunnel di lavoro troppo specializzato e univoco”. Quello del vignaiolo è un mestiere che effettivamente affascina molti giovani che amano il vino e la natura. Giovani che hanno idee nuove per affrontare questo mestiere secolare, ma si scontrano con parecchie difficoltà, come la piena comprensione di cosa vuol dire gestione del terreno e della vite o peggio ancora la barriera economica per l’acquisto o l’affitto dei terreni. Quindi la scarsa accessibilità a livello di costi, o meglio, la mancanza di un’offerta mirata e attrattiva per le loro tasche, li tiene lontani. E se guardiamo al mondo dei vini pregiati, l’ingresso per i giovani diventa una chimera: i prezzi rendono il mercato accessibile solo a una fascia di consumatori più adulta e facoltosa o, peggio, a fondi comuni. Questi sono alcuni spunti che saranno approfonditi alla Slow Wine Fair, perché non va dimenticato che il sociale, l’ambiente, il modo di lavorare in vigna, il rapporto con i dipendenti si riflettono nel bicchiere. Per questo, assaggiando il vino, non ci si può né ci si deve limitare alla sola analisi gustativa”.
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