Dopo anni di crescita, di maggior visibilità nei mezzi di informazione, il settore vitivinicolo sente la necessità di riflettere profondamente sulle proprie modalità comunicative: la necessità di interrogarsi su quale sia il racconto del vino che si vuole narrare. Promosso dal piccolo paese di Cembra, patria del Muller Thurgau (e sede di una delle più belle ed importanti realtà cooperative d’Italia, la Cantina La Vis e Val di Cembra, ndr), che ogni anno si raccoglie intorno al vitigno inventato dallo scienziato svizzero Hermann Muller (originario di Thurgau) ed ormai un “vitigno europeo” per l’essere in produzione in Germania, Svizzera e nell’Europea Centrale, il dibattito su “Fascino del vino: quali linguaggi per comunicare la modernità” (moderato dalla giornalista Paola Saluzzi), ha permesso di analizzare, forse meglio dire iniziare, la lettura di uno dei argomenti più importanti del settore.
L’analisi è iniziata dal professor Attilio Scienza, che è partito dall’annosa questione sull’opportunità di insistere più sul vitigno o sul territorio: “il territorio non è la panacea che abbiamo creduto. Può essere uno strumento formidabile, ma non può risolvere tutti i problemi di commercializzazione del vino. Il futuro è nella genetica. L’Istituto agrario di San Michele all’Adige ha uno dei maggiori patrimoni di conoscenza della genetica del vino e quindi può lavorare in tal senso. Non parlo di Ogm; a me la tecnica tradizionale dell’incrocio va benissimo, ma si deve lavorare in questa direzione. Creare dei nuovi vitigni e con questi andare all’attacco dei mercati”. “Quanto al territorio, dobbiamo lavorare di più sulla politica del marchio. Noi abbiamo sempre fatto un discorso di territorio, ma dobbiamo ricordare che l’Asia non sa nulla dei miti del Mediterraneo, non sa nulla dei nostri territori. Come fare quindi a spiegare dove la Valle di Cembra? La comunicazione deve raccontare una storia: dobbiamo vedere il vino come un romanzo. Dobbiamo scrivere le infinite storie della viticoltura italiana”.
Dopo un divertente ma efficace intermezzo sui difetti di una comunicazione enologica spesso troppo oscura, paludata e tecnica ad opera di Federico Quaranta e Nicola Prudente (L’Inutile Tinto), i conduttori della trasmissione di Rai 2 “Decanter”, Alessandro Regoli, direttore di www.winenews.it, si è soffermato sulle frontiere della comunicazione aperte dalla rete auspicando “che, anche grazie alle nuove tecnologie, i produttori si riapproprino della paternità della promozione, riscoprendo il marketing diretto” e li ha poi invitati a volgersi “con maggior convinzione verso mercati marginali che potrebbero rivelarsi vincenti in un prossimo futuro, utilizzando al meglio risorse private e pubbliche e scartando anche tanti eventi e iniziative inutili del mondo del vino”.
Il giornalista Lamberto Sposini ha criticato le strategie comunicative del settore: “perché ritengo che la comunicazione del vino sia in parte da rifare? Perché mi sembra sia troppo autoreferenziale, troppo tecnica. Gli appassionati dobbiamo mantenerli, non conquistarli. Dobbiamo, invece, conquistare quelli che non conoscono il vino”. Lamberto Frescobaldi della Marchesi de’ Frescobaldi, ha riportato il discorso sull’importanza del territorio: “nessuno dei vini toscani importanti è chiamato col nome del vitigno. Segno che il territorio, nel suo complesso, è fondamentale per comunicare un vino (e viceversa)”.
La wine writer Michelle Shah e la docente dei corsi dell’Associazione Italiana Sommelier (Ais) Adua Villa hanno insistito “sull’opportunità dei produttori di muoversi maggiormente sul mercato estero”, “sulla necessità di poter disporre di una società di marketing, di natura privata, che si dedichi alla promozione complessiva del comparto vitivinicolo italiano” e sull’importante figura del “wine educator”.
La docente di sociologia dell’Università di Trento Giovanna Gadotti si è invece interrogata sul consumo del vino, “bevanda dal grande fascino”, da parte di un consumatore post-moderno, ma ha ricordato come sia importante l’educazione nelle giovani generazioni, insieme alla costruzione di un linguaggio del vino meno tecnico ed attento a dissertare su marche e territori d’eccellenza; il vino ha bisogno di marketing e comunicazione per uscire dalla marginalità di comunicazione.
Il giornalista Davide di Corato, direttore responsabile della rivista “Horeca Magazine”, ha concentrato la sua analisi sulla promozione, ricordando le esperienze negative di grandi campagne di marketing condotte all’estero e in Italia da parte di soggetti rilevanti, che poi non sono riusciti a raccogliere un risultato soddisfacente. “La difficoltà di lettura del mondo del vino - ha detto Di Corato - deve far prevalere un’azione mirata, meno ambiziosa, più accorta”. Di Corato ha quindi valutato con favore il crescente successo dagli italiani sul mercato estero, un risultato sul quale sarà determinante insistere nei prossimi anni.
wnar
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