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SU UN FATTO QUASI TUTTI CONCORDANO: LA LIBERALIZZAZIONE TOTALE DEI DIRITTI DI IMPIANTO NELL’UNIONE EUROPEA, COSÌ COME È PREVISTA, NON PIACE. MA SU COME CAMBIARE QUANTO PREVISTO PER IL 2015, L’ACCORDO EUROPEO NON È ANCORA COSÌ VICINO ...

Su un fatto quasi tutti concordano: la liberalizzazione totale dei diritti di impianto nell’Unione Europea, così come è prevista, non piace. Prima hanno detto no i Paesi produttori più importanti, Italia, Francia e Spagna (ma non solo) in primis, poi è arrivato il Parlamento Europeo, seguito dal cambio di rotta del Commissario all’Agricoltura Dacian Ciolos, e del direttore generale della Commissione Agricoltura, José Manuel Silva Rodriguez, che ha escluso una liberalizzazione tout court dei diritti, auspicando una nuova regolamentazione, magari più leggera. Ma dire che siamo vicini ad un punto di incontro è forse troppo ottimistico. Lo spiega a WineNews il professor Davide Gaeta, che ha presentato la sua relazione sull’impatto della liberalizzazione al Centro Studi di Politica Europa a Bruxelles. Tre sono le esigenze da conciliare: quelle della Commissione Europea, quella di 15 Paesi Membri che dicono un netto no (come l’Italia) alla liberalizzazione, e altri Paesi coinvolti in maniera minore nella produzione di vino. “A qualcuno lo status quo piace e ha validi argomenti per sostenerlo, ad altri piacerebbe rivoluzionare ed aprire. Io insisto per ribadire che è un’eccezionale e favorevole occasione per ragionare su un nuovo sistema di controllo dell’offerta, e ho la speranza che questa opportunità riguardi tutta la tematica dei prodotti tipici, se non dell’intera Pac. Secondo me una regolamentazione diversa, lasciata libera alla solidarietà, con la decisione affidata alla filiera di ciascun Stato membro, sarebbe la soluzione ideale”. Soluzione che, stando ai rumors, assomiglia a quella preferita dalla Commissione che, in alternativa, propone un doppio binario dove la liberalizzazione valga solo per i Paesi la cui produzione enoica è da considerarsi marginale, e non per tutti gli altri. Tra chi di liberalizzazione non vuole assolutamente parlarne, invece c’è Federdoc, che con il direttore generale Pasquale De Meo ha ribadito i rischi a cui porterebbe, prima tra tutte l’aumento incontrollato dei volumi di produzione. Pensiero in linea con quello dell’Efow (European Federation of Origin Wines), secondo la quale la liberalizzazione “devasterebbe un sistema di tutela che, fino ad ora, ha protetto soprattutto i piccoli viticoltori”. Diverso il punto di vista del Comité Européen des Entreprises Vins che, come ha spiegato il segretario generale Josè Ramon Fernandez, è contrario a “qualsiasi plafond comunitario sui diritti di impianto: è un’anomalia che va annullata una volta per tutte”. Chi vincerà?

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