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NATALE E CAPODANNO

Sulla tavola di WineNews, i piatti degli chef stellati. Tra pandemia e fornelli

Dai ristoranti legati al vino e ai suoi territori, Crippa (Piazza Duomo), Pavan (Venissa), Francone (Castello Banfi) e Ceraudo (Dattilo)

Per tanta ristorazione italiana, le vacanze di Natale valgono, letteralmente, una bella fetta del bilancio di fine anno. In molti, invece, approfittano dell’inverno per ricaricare le pile, riposare e pensare alla nuova stagione. Quest’anno, le pandemia ha stravolto i piani - a volte dettando un’agenda diversa dal solito - di un settore che paga il conto più salato della crisi. E poco cambia che si tratti di un’osteria o uno stellato, le difficoltà ci sono per tutti, così come la voglia di ripartire, ben radicata nei quattro chef che WineNews ha scelto per raccontare il momento, dal punto di vista di chi sta ai fornelli delle tavole stellate con “vista” sui vigneti: Enrico Crippa, tre stelle Michelin con il Piazza Duomo di Alba, della famiglia Ceretto, Chiara Pavan, una stella condivisa con Francesco Brutto, nella cucina di Venissa, il progetto firmato Bisol sull’Isola di Mazzorbo a Venezia, Domenico Francone, che ha riportato dopo anni la stella tra i filari del Brunello di Montalcino, al Ristorante La Sala dei Grappoli di Castello Banfi, e Caterina Ceraudo, enologa e chef del Dattilo, il ristorante stellato dell’azienda agricola di famiglia, in Calabria. Attenzione però, perché il cambiamento paventato da tanti, potrebbe restare solo sulla carta, perché in cucina, come altrove, c’è voglia di normalità, quella interrotta a febbraio, e di riprendere un percorso che, in termini di ricerca, qualità e sostenibilità, era già quello giusto. Almeno nella ristorazione, con un occhio fisso rivolto alla tradizione, fulcro emotivo e tecnico nella carriera di ogni chef, come raccontano le loro storie e i piatti che amano portare a tavola, a casa e al ristorante.
Enrico Crippa riparte da La Piola, il locale al piano terra del Piazza Duomo ispirato alle trattorie di Langa.
“Saremo aperti anche a Natale, al contrario del solito, ma difficile capire in che modo riaccendere i fuochi. Da una parte c’è la tristezza per il momento, dall’altra c’è tanta voglia di rimettersi con le mani in pasta e l’adrenalina di sempre. La ristorazione italiana negli ultimi anni ha vissuto un bellissimo momento, quando avremo superato questa pandemia penso che vivremo una bella esplosione di gioia ed euforia, come alla fine di una guerra. Qualche graffio - sottolinea Crippa - rimarrà, dovremo fare i conti con l’impatto economico che tutta la filiera sta patendo, dagli agricoltori ai ristoratori ai commercianti, specie i più piccoli. Non dobbiamo nasconderci che il secondo lockdown è stato devastante, ma io faccio il cuoco, e quello che ho visto e che mi è piaciuto molto, la scorsa estate, è stata la gioia ritrovata di stare a tavola, il piacere di prendersi il proprio tempo in compagnia. Socialmente il ristorante ha dato una mano a tutti nel riconnettersi con il Paese, è stato il luogo della sicurezza e della serenità”.
In cui recuperare anche il piacere per le piccole cose e le tradizioni gastronomiche, care anche e chef Enrico Crippa. “Dobbiamo ritirar fuori il nostro lato contadino, le verdure, la cucina della terra, una caratteristica tutta italiana, abbiamo una biodiversità incredibile da Nord a Sud: vedere crescere un germoglio è appagante e rilassante, ci dà energia vedere una vita nascere. Ricominceremo da capo a parlare di terroir, terra e territorio, non solo legato alla materia prima, ma anche alla gente che ci vive. Le Langhe sono fantastiche sotto tutti i punti di vista, dal vino alla carne, dalle nocciole al cioccolato, e raccontarle sulla tavola è bellissimo. Non è un territorio per tutti, va rispettato, approcciato con umiltà e curiosità, parlando con gli anziani. La Langa - continua lo chef del Piazza Duomo - è il luogo in cui la gente prima fa e poi racconta cosa ha fatto”.
E allora, perché non portare le Langhe in tavola a Natale, sentendoci un po’ più vicini alla cucina di Enrico Crippa? “Nelle tavole piemontesi non possono mai mancare gli antipasti, un vero orgoglio, dai peperoni arrostiti in bagnacaoda o messi in conserva in salamoia con i raspi dell’uva e leggermente fermentati, all’insalata russa, dai paté al vitello tonnato, e poi gli insaccati, dal cotechino con la lenticchia alla fetta di carne all’albese, magari con qualche lamella di tartufo, una formaggetta di capra e qualche nocciola spezzettata. E poi, gli agnolotti di cappone in brodo e il brasato al Barolo, con una polenta o con delle carote saltate. Per finire, il Monte Bianco, o il classico zabaione con il panettone glassato alla piemontese. Una cucina legata al momento, perché il Piemonte tira fuori il suo meglio in inverno”. Nel calice, invece, la scelta è scontata, “dall’Alta Langa all’Arneis, dal Dolcetto al Barolo e al Barbaresco, ma anche un Barolo Chinato a fine pasto, e davanti a un mazzo di carte: il territorio offre tutto”. Un buon modo per chiudere un anno nefasto, che ha rallentato progetti, programmi e tarpato le ali a nuovi piatti che, chiosa Enrico Crippa, “nascono ai fornelli del ristorante, nell’adrenalina di tutti i giorni, nel confronto con gli altri. In questi mesi ho studiato tantissimo la storia delle Langhe, è importante oggi che i fuochi sono spenti, e verrà utile di sicuro, anche per tornare a dare il giusto peso, e il giusto senso, alle cose e agli affetti, ricordandoci il valore del tempo e dello scambio”.
Dalle Langhe, voliamo idealmente sulla laguna di Venezia, planando sull’Isola di Mazzorbo, cornice di Venissa, il progetto di Bisol nato dal recupero di uno storico vitigno veneziano, la Dorona, e diventato poi gioiello dell’ospitalità e della gastronomia, con il ristorante stellato guidato da Francesco Brutto e Chiara Pavan, chiuso, come sempre, nei mesi invernali. “In questo momento - racconta Chiara Pavan - c’è tanta agitazione e sofferenza. Non è stato il nostro caso, perché abbiamo lavorato molto e quando è arrivato il secondo lockdown stavamo già chiudendo per la stagione. Paradossalmente, abbiamo lavorato più degli altri anni. In molti, però, stanno soffrendo, immagino che saranno in molti a chiudere,  ma quando tutto questo sarà finito assisteremo anche a tante nuove aperture. Non credo che cambieranno molte cose, nonostante il fermento che si vede sui media. Di certo, il nostro è il settore più colpito, insieme a quello del turismo, e quello che io spero, da sempre, è che alla fine la ristorazione rimanga solo di chi fa qualità, e non di chi pensa solo al business facile. Specie perché in Italia si sono raggiunti livelli molto alti, con chef che dedicano anni allo studio e all’esperienza tra i fornelli”.
Ma c’è un’altra motivazione per cui la ristorazione dovrebbe essere appannaggio di chi ha un approccio qualitativo, che ha molto a che fare con la sostenibilità e l’ambiente, come spiega ancora la giovane chef di Venissa. “Chi sa davvero fare ristorazione ha molta più attenzione per i prodotti e per l’ambiente, il tema caldo di questa generazione insieme alla sostenibilità. E chi non sa fare ristorazione difficilmente si sa prendere cura dell’ambiente”. Ecco, come dovrebbe essere la cucina di domani, quella post-pandemia: attenta, sostenibile, capace di riconnetterci alla terra e all’ambiente. “Temi passati in secondo piano in questi mesi a causa della pandemia, anche se sono convinta che siano intimamente connessi. Tutto è legato al modo di trattare il pianeta: deforestiamo per urbanizzare, per foraggiare gli allevamenti intensivi, e tutto quello che succede, compresa la facilità di diffusione dei virus, ne sono una conseguenza. Bisogna ripensare il nostro sistema alimentare, perché quello che abbiamo non è sostenibile. La ristorazione di qualità, come già fanno in molti, dovrebbe farsi portavoce di questo cambiamento, anche in termini di energia, auto produzione, evitando di rifornirsi dalla grande industria. Gli chef, anche per la visibilità che hanno, dovrebbero farsi portavoce di questa lotta”.
Che, fino a qualche decennio fa, nessuno combatteva, anche perché il modo di mangiare era ben diverso, connesso al mondo contadino e alla campagna. Un passato da cui arriva uno dei pochi ricordi “gastronomici” di Chiara Pavan, cresciuta in città, a Verona, e finita ai fornelli per una passione del tutto personale e non, come succede spesso, come eredità familiare: “una torta di pane secco, cacao e uova che facevamo sempre e mangiavamo per colazione”. E allora, la tavola della Vigilia di Natale, è fatta di piatti originali, connessi al territorio, ma tutti di pesce, come vuole la tradizione. “Iniziamo con un antipasto di radicchio di Treviso e cavolo nero fritto, con una crema montata all’olio di porri, con una spolverata di spezie (cannella e chiodo di garofano). Come primo dei ravioli ripieni di battuto di pesce - gallinella, ombrina, mazzancolla - in brodo di pesce, fatto con le carcasse, conditi con un olio allo zenzero per ultimare il piatto. Come secondo, una rana pescatrice con una salsa verde alle alghe, carciofi e una julienne di verdure crude - carote, sedano e cavolo cappuccio - da servire con la rana pescatrice rosolata e cotta in forno”. Nel bicchiere, però, è bello anche concedersi uno strappo al territorio, e andare in Francia, “prima di tutto con uno Champagne, il Rupert Leroy Brut Nature Pinot Noir, quindi si va in Jura, con l’Arbois Blanc Savagnin 2014 di Bruyere-Houillon, e poi andrei in Loira, con uno Chenin Blanc di Jérôme Lambert, e, in Italia, mi butterei su una delle bottiglie che amo di Massa Vecchia”, conclude Chiara Pavan, che a primavera 2021, con Francesco Brutto, tornerà ai fornelli di Venissa, con una certa dose di ottimismo, per riprendere da dove avevano lasciato.
Anche tra i filari di Sangiovese, le porte del Ristorante La Sala dei Grappoli, la tavola gourmet di Castello Banfi, che ha riportato dopo anni la stella Michelin nel territorio del Brunello di Montalcino,
“resteranno chiuse, come sempre in questo periodo”, ricorda Domenico Francone, lo chef pugliese, trapiantato da anni in Toscana, artefice della stella, che da marzo tornerà ai fornelli, “ma solo tre giorni a settimana, almeno fino a quando non riaprirà il Borgo (il relais di lusso di Castello Banfi, ndr), speriamo a fine marzo”. In sostanza, a dettare l’agenda è la pandemia, perché “mettere in moto una macchina come la nostra, senza ospiti, sarebbe uno sforzo del tutto inutile. Il 2020, però, non lascia solo macerie e ferite. Ci ha dato il tempo per riflettere e capire che stavamo andando troppo in fretta, specie se pensiamo al turismo di massa, dando troppo poco valore alla qualità di ciò che facciamo e mangiamo”. Nel complesso, però, non stravolgerà il mondo della ristorazione. “Citando Gennaro Esposito, credo anch’io che questa pandemia non avrà effetti devastanti sull’alta ristorazione, abituata a lavorare in un certo modo. L’onda, invece, si abbatterà sulla ristorazione di massa, perché fin quando non ripartirà davvero il turismo, ne risentirà. Restando sul nostro caso, anche solo con il turismo locale, non ci è andata male, ma tanti progetti sono restati nel cassetto. Ogni anno viaggio un mese all’estero per portare la nostra cucina in giro per il mondo, negli eventi aziendali, specie in Estremo Oriente, è un momento di formazione fondamentale, a cui quest’anno ho dovuto rinunciare”.
Piccole scosse alla normalità, ma lo stravolgimento di usi e costumi, che in tanti paventano e predicono, secondo chef Francone, non ci sarà. “La cartina tornasole è l’estate: sembrava tutto uguale a prima, come se il Covid non ci fosse mai stato. Sono sicuro che sarà così, una volta superata la pandemia tornerà tutto come prima. Certo, dovremo far fronte con un certo impoverimento, e nel 2021 ci sarà ancora da stringere i denti”.
Andando invece a tavola, quella della tradizione e delle feste, nei ricordi di Domenico Francone c’è “un’infanzia passata in campagna, dove si coltivava l’orto e il grano e si faceva l’olio. Ecco, il ricordo che conservo è quello di mio nonno, che aiutavo da ragazzino, e dell’amore che aveva e che mi ha tramandato per la terra e i suoi prodotti. Quei giorni d’estate me li porto ancora dietro. E poi la Vigilia di Natale a Bari, dove le pescherie restano aperte fino a notte fonda, un altro ricordo fondamentale, che in un piatto si traduce nel crudo di pesce, che amo molto”. E che, seguendo, le indicazioni e consigli di chef Francone, potremmo portare a tavola per Natale, per un menu stellato ma alla portata di tutti. “Come antipasto prendiamo dei gamberi rossi o degli scampi, li puliamo e li battiamo. Facciamo una tartare e la condiamo con buccia di mandarino olio extravergine d’oliva, sale e pepe, che serviamo con stracciatella di burrata, pomodoro e maionese al basilico. Un piatto fresco per iniziare. Come primo piatto, andrei sui ricci di mare, per un classico della cucina pugliese: uno spaghettone grosso, da cucinare al dente, condito semplicemente con i ricci di mare. Di secondo, ancora pesce, come si fa al Sud. Un branzino, sfilettato e spellato, leggermente battuto, riempito con foglie di bietola e patate schiacciate condite con l’olio e arrotolato, cotto scottato dalla parte del rotolo e servito con una crema di zucca. Infine, come dessert, una mousse alla vaniglia con del panettone tagliato a cubetti all’interno, messo in uno stampo e servito su una ganache al cioccolato”. E per brindare? “La Cuvée Aurora 100 mesi, l’Alta Langa di Banfi, davvero eccezionale”.
Il nostro viaggio finisce al Sud, in un’altra grande terra, la Calabria, che da qualche anno ha imboccato la strada della qualità anche in cantina. Come Ceraudo, a Contrada Dattilo, in provincia di Crotone, toponimo che dà il nome al ristorante dell’azienda, Dattilo, una stella Michelin. Guidato ai fornelli da Caterina Ceraudo, chef laureata in enologia, all’Università di Pisa, nel 2011. E che, di fronte alla seconda ondata della pandemia, ha stravolto i suoi piani abituali.
“Di solito - racconta Caterina Ceraudo - a Natale e Capodanno rimaniamo chiusi, ma quest’anno abbiamo pensato di puntare sul delivery, proponendo un menu per il cenone del 24 e per il pranzo del 25, perché molta gente non avrà la possibilità e lo spirito di preparare qualcosa di importante”.
E chiudere, con un sorriso, questo tragico 2020, “che ci ha fatto rendere conto di fare parte di una categoria un po’ più fragile delle altre, ma allo stesso tempo non dobbiamo perderci d’animo, e continuare con la passione di sempre, che contraddistingue il nostro lavoro. È stato un anno difficile, ma voglio continuare a fare questo lavoro, ecco perché la scelta del delivery, anche se ci troviamo in una piccola provincia. Voglio essere ottimista, ma bisogna ringraziare chi ancora ci permette di lavorare, chi sceglie i produttori locali agli acquisti su internet, chi contribuisce alla costruzione di un’economia sana”. Chi riuscirà a riemergere dalla palude della pandemia, secondo Caterina Ceraudo, “è chi ha sempre fatto una ristorazione di qualità, che ha fidelizzato la propria clientela, costruendo un rapporto solido tra cuochi, fornitori ed ospiti. Mi spiace per le nuove realtà, che non hanno avuto modo di farsi conoscere, loro avranno qualche difficoltà in più, ed è un peccato per molti giovani”.
Sulla tavola di Natale, nei ricordi della chef del Dattilo ci sono “due ricette, legati alle persone che le preparano ogni anno. Uno è il quadaro, una zuppa di pesce che viene preparato da mio cognato alla cena di Natale, l’altro è il baccalà, patate e peperoncino che prepara da sempre mia zia Mariuccia da che ho memoria, a cui sono molto legata”. Su quella dei wine lover, invece, piatti semplici da fare a casa, all’insegna della tradizione e dei sapori netti, ma non solo. “Prima di tutto, una pasta in guazzetto di pesce povero, gustosa e che raramente si trova al ristorante. In alternativa, una pasta con alici e mollica profumata, un piatto alla portata di tutti, e che si mangia a Natale. E poi, polpette di baccalà, cotto nel latte, bella grande, da servire anche come aperitivo a centro tavola. Di secondo, un pesce al forno con le patate, perché il Natale a casa va vissuto così, mangiando piatti che ci ricordano la famiglia, non necessariamente piatti gourmet”.
Pescando tra le ricette del Dattilo, un piatto che possiamo replicare è “lo spaghettone quadrato con il pesto di finocchietto, mandorle e pistacchi e gamberi rossi, a pezzettoni, crudi, sopra al nido di pasta”. Per antipasto, invece, “da amante del crudo dico la ceviche di dentice, marinato nel succo di bergamotto, 7 minuti per lato, quindi salato e a parte viene condito con un battuto di senape selvatica, miele alla cipolla di tropea e pepe rosa, un piatto molto fresco che possiamo rifare anche a casa”. In abbinamento, i vini di Ceraudo, rigorosamente da vitigni autoctoni. “Il Grayasusi Etichetta Rame, un rosato da sole uve di Gaglioppo, con lo spaghetto, mentre il dentice lo abbiniamo con il Grisara, un Pecorello in purezza, che ha una nota salmastra e agrumata che si sposa benissimo con il ceviche”, chiosa la chef-enologa del Dattilo. Che, simbolicamente, conclude il breve giro d’Italia di WineNews tra alcune della tavole stellate delle aziende del vino del Belpaese, dove la cucina abbraccia, un po’ più che altrove, il territorio, riconnettendosi alla tradizione e al giusto ritmo della vita. Che a Natale viaggerà a ritmi blandi, pronta a tornare a correre una volta superata la pandemia.
Credit: per la foto di copertina dell’articolo, si ringrazia la “Langosteria” di Milano, uno dei locali di riferimento dei gourmand meneghini.

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