La campagna elettorale non fermi gli interventi necessari per garantire la sopravvivenza delle imprese agricole, gli investimenti per ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare a imprese e cittadini la possibilità di produrre e consumare prodotti alimentari al giusto prezzo. E’ l’appello, lanciato dal presidente Coldiretti Ettore Prandini all’Assemblea Coldiretti nel denunciare il rischio di perdere 35 miliardi di fondi europei per l’agricoltura italiana nei prossimi 5 anni, ma anche la necessità di attuare al più presto le misure previste dal Pnrr. Sul tavolo, ci sono tanti temi: dal progetto invasi contro la siccità al nuovo Piano Strategico Nazionale che servirà ad attuare la Pac che entrerà in vigore nel 2023, il contrasto all’aumento dei costi di produzione, esplosi in un settore, quello agricolo, che oggi, nel complesso, vale il 25% del Pil italiano. Ma c’è anche la semplificazione delle norme sul lavoro, la gestione dell’emergenza ungulati, la salvaguardia della biodiversità, la lotta al nutriscore e non solo. Il tutto per governare un settore, l’agricoltura, che, come detto oggi dal premier dimissionario Mario Draghi in un messaggio a Coldiretti, “è essenziale per la crescita del nostro Paese, la salvaguardia dei territori, la tutela dell’ambiente. Un settore la cui storia si intreccia con la storia d’Italia, ne segna lo sviluppo, è parte integrante della nostra identità collettiva. La ricchezza della terra, la qualità del cibo sono tratti essenziali dell’immagine dell’Italia nel mondo. Voi agricoltori avete saputo costruire sulla base di una tradizione solida e reinventare le vostre aziende verso il futuro. In questo periodo di crisi, il Governo, ha continuato Draghi, è vicino al vostro settore. Siamo impegnati a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti più drammatici, come la siccità. Continuiamo ad aiutare imprese e famiglie ad affrontare le difficoltà dovute agli aumenti dei prezzi, soprattutto dell’energia. Investiamo in un’Italia più moderna e solidale, che riduca i divari tra le Regioni, ponga al centro le esigenze delle sue comunità. Vogliamo mettere le aziende in condizione di poter lavorare e programmare il futuro con fiducia. Il Governo intende fare la sua parte”.
Governo che sarà quello che si formerà dopo le prossime elezioni del 25 settembre. E allora, abbiamo chiesto ai leader e agli esponenti di alcuni dei prinicipali partiti, cosa intenderanno fare per l’agricoltura, se toccherà a loro guidare il paese - in audio le parole di Antonio Tajani (Forza Italia), Carlo Calenda (Azione), Luigi di Maio (Insieme per il Futuro), Paolo de Castro (Partito Democratico), Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia) e Stefano Patuanelli, Ministro delle Politiche Agricole (Movimento 5 stelle). Intanto, secondo Coldiretti, “sulla Politica Agricola Comune occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale - spiega il presidente Prandini - senza il quale non sarà possibile far partire la nuova programmazione dal 1 gennaio 2023. Stiamo parlando di una dotazione finanziaria di 35 miliardi per sostenere l’impegno degli agricoltori italiani verso l’innovazione, la sostenibilità e il miglioramento delle rese produttive, tanto più vitali in un momento dove la guerra in Ucraina ha mostrato tutta la strategicità del cibo e la necessità per il Paese di assicurarsi la sovranità alimentare. Lo sforzo di modernizzazione e la digitalizzazione dell’agricoltura italiana e dell’intero Paese - continua Prandini - non può fare a meno del Pnrr, dove serve il massimo impegno di tutti per non rischiare di perdere quella che è un’occasione irripetibile. Dopo la pubblicazione del bando filiere serve accelerare anche su quello del fotovoltaico, che apre alla possibilità di installare pannelli fotovoltaici sui tetti di 20.000 stalle e cascine senza consumo di suolo, contribuendo alla transizione green e riducendo la dipendenza energetica del Paese. Allo stesso modo, il bando sulla logistica è fondamentale per agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo, superando il gap che ci separa dagli altri Paesi”. In coerenza con gli impegni del Pnrr, la prossima legge di bilancio, osserva Coldiretti, dovrà sostenere il ruolo dell’agroalimentare nazionale, che oggi rappresenta il 25% del Pil ed è diventata la prima ricchezza del Paese, con misure per tutelare il reddito delle aziende agricole, anche a livello di tassazione. Misure indispensabili anche per fronteggiare il drammatico aumento dei costi, con punte del +250%. Uno tsunami che si è abbattuto sulle aziende agricole con aumenti dei costi che vanno dal +95% dei mangimi al +110% per il gasolio, al +250% dei concimi dove per sfuggire al ricatto della Russia che è un grande produttore occorre cogliere l’opportunità del digestato made in Italy che consentirebbe agli agricoltori italiani di poter disporre di una sostanza fertilizzante 100% naturale e che deriva dalla lavorazione dei reflui, in un’ottica di economia circolare.
“Ma in questo momento storico particolare è necessario sostenere le famiglie e i consumi interni - afferma il presidente Prandini - e in tale ottica risulta fondamentale la riduzione del costo del lavoro in agricoltura con il taglio del cuneo fiscale girando la cifra direttamente in busta paga ai dipendenti garantendo loro una maggiore capacità di spesa. Sul fronte del lavoro e dell’occupazione è strategico superare al più presto i vincoli burocratici che rallentano l’assunzione dei lavoratori stagionali per salvare i raccolti sopravvissuti alla siccità dalla frutta alla verdura, dalle olive alla vendemmia. Non è possibile che per colpa della burocrazia le imprese perdano il lavoro di una intera annata agraria. Si tratta di assicurare i nulla osta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall’estero, ma occorre anche introdurre un contratto di lavoro occasionale per consentire anche ai percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani di poter collaborare temporaneamente alle attività nei campi per questo sono importanti sia un piano per la formazione professionale che misure per ridurre la burocrazia”.
Ma, al prossimo Governo, sottolinea Prandini, “chiederemo anche un decreto legge urgentissimo per modificare l’articolo 19 della legge 157 del 1992, ampliare il periodo di caccia al cinghiale e dare la possibilità alle Regioni di effettuare piani di controllo e selezione nelle aree protette. E’ paradossale esser qui a rinnovare una richiesta che avrebbe dovuto essere oggetto di un decreto promesso qualche mese fa e rimasto lettera morta, ma siamo davvero fuori tempo massimo per dare risposte alle decine di migliaia di aziende che vedono ogni giorno il proprio lavoro cancellato dai 2,3 milioni di cinghiali proliferati senza alcun controllo e che rappresentano un pericolo per la salute e la sicurezza dei cittadini”.
Un flagello per i campi e per le tavole con la siccità che - sostiene Coldiretti - ha ulteriormente ad aggravato il deficit alimentare dell’Italia che produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento. Una situazione determinata soprattutto dai bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.
In Europa occorre anche portare avanti la battaglia contro il Nutriscore, i sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo che alcuni Paesi stanno applicando su diversi alimenti sulla base dei contenuti in grassi, zuccheri o sale. Sistemi fuorvianti, discriminatori ed incompleti che finiscono paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. Ma una minaccia letale per l’agricoltura italiana e la salute dei consumatori viene anche dal cibo sintetico, dalla bistecca fatta nel bioreattore al latte senza mucche. Un attacco alle stalle italiane e all’intero made in Italy a tavola portato dalle multinazionali del cibo che - ricorda Prandini -, dietro belle parole come “salviamo il pianeta” e “sostenibilità, nasconde l’obiettivo di arrivare a produrre alimenti facendo progressivamente a meno degli animali, dei campi coltivati, degli agricoltori stessi. Non possiamo accettarlo.
Così come va sempre ribadito il principio di reciprocità negli accordi commerciali e non si può accettare il trattato Ue-Mercosur, che rischia di aprire le porte a prodotti che utilizzano più di 200 pesticidi non autorizzati da noi e ad aumentare la deforestazione e l’inquinamento, mettendo in ginocchio le imprese agricole europee. Coldiretti - conclude il presidente Prandini - chiede all’Europa coraggio per la transizione ecologica, con il via libera alla ricerca in campo delle new breeding techniques, da distinguere dagli Ogm transgenici e alle politiche di sostenibilità per rendere l’agroalimentare sempre più competitivo.
Focus - Siccità: 250.000 aziende agricole italiane a rischio
Sono quasi 250.000 le aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), che si trovano oggi costrette a produrre in perdita a causa dei rincari scatenati dalla guerra in Ucraina e della siccità. A dirlo la Coldiretti, sulla base di dati Crea, che evidenzia anche come più di un agricoltore su 10 (13%) sia addirittura in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. Con la siccità che è andata ad aggravare gli effetti del conflitto in Ucraina, sull’agricoltura italiana si è scatenata una tempesta perfetta - sottolinea Coldiretti - con il taglio dei raccolti in media di un terzo. Secondo una stima Coldiretti se l’attuale situazione climatica dovesse perdurare ancora a lungo i danni da siccità potrebbero arrivare a 6 miliardi di euro, “bruciando” il 10% del valore della produzione agricola nazionale.
Con le piogge praticamente dimezzate nel 2022 e più di ¼ del territorio nazionale (28%) a rischio desertificazione, la produzione di grano in Italia è stimata quest’anno in calo del 30% per effetto della siccità che ha tagliato le rese dal Nord a Sud del Paese, secondo Coldiretti. Ma ad essere in sofferenza sono anche girasole, mais, con percentuali che al Nord arrivano al -45%, e gli altri cereali ma anche i pascoli ormai secchi per l’alimentazione animale.
Per ortaggi e frutta in alcuni territori si arriva al -70% con danni alle ciliegie in Puglia ed Emilia Romagna, angurie e meloni e scottati dal caldo in Veneto, pere e albicocche rovinate nel Ferrarese, barbatelle bruciate che perdono le foglie nei vigneti toscani attorno a Firenze, pesche soffocate dalla calura che cadono dai rami prima di riuscire a svilupparsi completamente e giovani ulivi in stress idrico. A cambiare nelle campagne sono state anche le scelte di coltivazione con - evidenzia la Coldiretti - un calo stimato di diecimila ettari delle semine di riso, che a causa della siccità potrebbero anche perdere un terzo del raccolto. E soffrire il caldo sono anche gli animali nelle fattorie dove le mucche con le alte temperature stanno producendo per lo stress fino al 20% di latte in meno. Problemi anche per gli impianti di acquacoltura, soprattutto nella zona del Delta del Po dove è già andato perso il 20% della produzione di vongole, ma si segnalano danni anche per quella di cozze.
“Occorre intervenire nell’immediato con misure di emergenza per salvare i raccolti e il futuro di aziende e stalle in grave difficoltà” afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “la devastante siccità che stiamo affrontando ha evidenziato ancora una volta che l’Italia ha bisogno di nuovi invasi per raccogliere l’acqua a servizio dei cittadini e delle attività economiche, come quella agricola che, in presenza di acqua, potrebbe moltiplicare la capacità produttiva in un momento in cui a causa degli effetti della guerra in Ucraina abbiamo bisogno di tutto il nostro potenziale per garantire cibo ai cittadini e ridurre la dipendenza dall’estero”
“Con l’Anbi, l’Associazione nazionale delle bonifiche, abbiamo elaborato - conclude Prandini - un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di bacini di accumulo (veri e propri laghetti) per arrivare a raccogliere il 50% dell’acqua dalla pioggia. I laghetti sarebbero realizzati senza cemento, con pietra locale e con le stesse terre di scavo con cui sono stati preparati, per raccogliere l’acqua piovana e utilizzarla in caso di necessità”
La crisi idrica in Valle d’Aosta sta generando criticità in particolare sul foraggio, in calo dal 30 al 50%. La diminuzione del fieno, unita ad una riduzione della produzione di latte, dovuta al caldo anomalo, mette a rischio la produzione della Fontina Dop, e costringe a lasciare gli alpeggi. Ma la siccità colpisce anche frutteti e vigneti, portati avanti in territori eroici. In Piemonte stanno crescendo a dismisura i danni con una diminuzione dei raccolti fino al 50% del mais, fino al 30% del grano, dal 30 al 100% del riso, in particolare nella zona di Novara dove la mancanza d’acqua è pressoché totale, e dei foraggi per il bestiame. Secondo la Coldiretti regionale provoca, inoltre, un calo del 20-30% della produzione di latte, tipico durante l’estate ma non di questa entità.
In Lombardia in diverse zone si trincia un mese prima il mais da foraggio non ancora maturo. Negli alpeggi i pascoli e le pozze usate come abbeveratoi per gli animali sono sempre più secchi. Frutta e verdura sono ustionate dalle alte temperature ed è praticamente azzerato il raccolto della patata di Oreno, tipicità brianzola. A oggi si stimano cali di circa un terzo per orzo, frumento e riso, mentre le perdite per i foraggi si avvicinano al 50%, così come il calo stimato per le rese del mais. Previsti cali del 30% anche per le olive, osservati speciali i vigneti.
In Liguria la produzione di foraggio è di 1/3 rispetto a quella necessaria e si registra una forte mancanza d’acqua per abbeverare il bestiame, situazione che fa vivere alla zootecnia una grave difficoltà. Ad essere colpiti dalla siccità anche l’olivicoltura, con le piante in evidente stress idrico, ed il basilico per il classico pesto alla genovese, che ha bisogno della continuità dell’irrigazione per crescere. Faticano anche gli altri comparti.
In Friuli Venezia Giulia le precipitazioni di fatto dimezzate rispetto alla media degli ultimi trent’anni hanno messo in ginocchio in particolare le colture di mais e soia per quanto riguarda i seminativi, oltre che l’erba medica. Nelle aree senza irrigazione le perdite arrivano fino al 100%. Sotto osservazione è anche la vite, con ipotesi di perdita in alcune zone che sono del 30%.
Il Veneto è nella morsa del caldo con alternate avversità atmosferiche che fanno aumentare i danni e le perdite per l’agricoltura regionale. La stima delle perdite riferite alla sola produzione vegetale è del 25%. Un calcolo che non tiene conto dei fortunali
In Trentino Alto Adige il settore maggiormente colpito è quello zootecnico: i foraggi e le coltivazioni di mais sono sprovviste di impianti di irrigazione e questo rappresenta un serio problema. Il primo taglio non sarà abbondante, e il secondo sicuramente compromesso. Si stima il 30-40% di raccolto compromesso.
In Emilia Romagna la prima vittima della mancanza di piogge è stato il grano, in particolare tenero, che si è presentato con taglia ridotta e spiga più piccola del solito, con produzioni ridotte dal 15 al 40% a seconda delle aree e delle varietà. Le difficoltà ad irrigare a causa dell’abbassamento dei livelli dei corsi d’acqua, a partire dal fiume Po, ha compromesso anche il mais, con danno dal 50 al 100%, e la soia con danno dal 20 al 70%, mentre per i foraggi si perderà dal 20 al 50%. Raccolti in ribasso del 25% anche per la frutta estiva.
La siccità taglierà il 30% della produzione agricola della Toscana tra rese inferiori, prodotti danneggiati e mancati raccolti. Tutti i settori sono stati colpiti, da quell’olivicolo, con stime anche dimezzate, a quello cerealicolo con il 30% in meno di raccolto, fino al florovivaismo e all’orticoltura. Per i pomodori si stima una perdita, se pur a macchia di leopardo, tra il 20% e 50%. Molto inferiore alle aspettative anche la raccolta dei foraggi con una riduzione fino al 50%, mentre il latte cala del 20% e le uova intorno al 10%.
Marche a secco d’acqua e a farne le spese sono oliveti e vigneti e soprattutto chi ha allestito nuovi impianti è costretto a irrigazioni di salvataggio. Critica la situazione negli orti e nei frutteti come anche c’è grande preoccupazione per le barbabietole da zucchero. L’assenza di precipitazioni, dopo aver colpito il raccolto del grano, in calo del 10%, ha ridotto anche girasole mentre molti coltivatori stanno rinunciando a seminare le coltivazioni autunnali, come gli spinaci. Si prevede un calo produttivo con picchi del -30%/-40%
In Umbria le alte temperature stanno causando un calo del 30% per grano ed orzo. In sofferenza anche frutta e verdura, tra le ustioni a causa del caldo e le difficoltà ad irrigare. Ma è preoccupante anche la situazione per uliveti e vigneti, dove la siccità ha mandato in stress idrico le piante, con una probabile diminuzione dei raccolti che potrà essere quantificata selle prossime settimane.
Nel Lazio la siccità ha colpito un po’ tutte le produzioni, dall’olio al vino, dal grano, all’ortofrutta, fino al foraggio, aggiungendosi all’aggravio di costi subito dalle aziende agricole.
La siccità in Campania ha colpito soprattutto i cereali, grano tenero e grano duro. Le temperature hanno anticipato il processo di maturazione ed essiccazione, costringendo le piantine di grano ad arrivare prima alla maturazione e quindi riducendo la capacità di accrescimento dei chicchi. Questo significa che siamo passati da una produzione di 50 quintali per ettaro alla metà, in alcuni casi sotto i 20 quintali per ettaro, ossia un terzo.
In Abruzzo la siccità sta creando difficoltà e preoccupazione con particolare riferimento alla produzione di cereali, latte e ortaggi. Per quanto riguarda il grano, rese in calo di almeno il 15%-20% ma in difficoltà ci sono girasole, mais e altri cereali, i foraggi per l’alimentazione degli animali. Un calo del 20% anche nella produzione del latte e non va meglio per il miele. Nel Fucino, è a rischio la raccolta degli orticoli principali, in particolare gli ortaggi a foglia (insalate e radicchio) e le patate.
In Molise per cereali, leguminose e coriandolo c’è stata una perdita minima del 40% con punte fino al 60-70%. Sulle altre colture ancora in campo, ovvero girasole, pomodoro e orticole, si ipotizzano cali del 40%.che salgono al 60% per i foraggi. Problemi anche sulla fioritura degli oliveti con acini che tendono a seccarsi e cadere. Riguardo gli allevamenti, in particolare i bovini da latte, si segnala che questi a causa dell’afa vanno in sofferenza e di conseguenza diminuiscono la produzione di latte di oltre il 20%.
A causa della siccità i campi sono allo stremo in Puglia e hanno già perso in media il 30% delle produzioni dalla frutta al grano, dal foraggio per alimentare gli animali al latte, fino alle olive e alle cozze, con gli effetti anche sull’annata prossima, mentre gli invasi registrano un calo progressivo dell’acqua. Ma ci sono anche aree dove l’acqua non arriva e gli agricoltori sono costretti ad abbandonare le colture, dopo i costi stellari sostenuti. Cali del 45% per i foraggi che servono all’alimentazione degli animali, del 20% per il latte nelle stalle, del 35-40% per il grano duro per la pasta, di oltre il 15% della frutta ustionata da temperature di 40 gradi, del 20% delle cozze e del 35% della produzione di miele.
In Basilicata la raccolta cerealicola, deludente sotto il profilo della quantità di produzione calata del 40 per cento, volge ormai al termine. Ulteriore aggravio di questa già deficitaria situazione è poi la generale penuria di frutti sulle piante di olivo, le quali hanno particolarmente sofferto la prolungata siccità e che porteranno ad un calo della produzione del 90%.
La siccità inCalabria ad oggi ha fatto registrate una cascola di fiori e frutti relativamente alle colture olivicole, con una media regionale del danno che si attesta al 30%; la costa jonica a tratti raggiunge picchi di cascole che superano il 60%. Ma si teme anche per gli agrumi, con un’elevata cascola nel periodo di fioritura, e le orticole.
Il 30% in meno delle rese di grano, costi per le irrigazioni di soccorso triplicati e la solita ormai infinita questione consorzi di bonifica fotografano la Sicilia dell’estate 2022. Anche quest’anno i problemi per gli agricoltori riguardano principalmente le strutture che portano l’acqua in campagna. Nell’area interna dell’isola, tutti i prodotti stanno soffrendo un pesante stress idrico dai vigneti ai frutteti così come gli ortaggi. Invasi ok, invece, in Sardegna.
Focus - Siccità: Coldiretti, a rischio 5450 tesori del gusto, sos turismo
Dall’Arrappata di San Chirico Raparo alla Slinzega, dai Testaroli alla Porcaloca, sono 5450 i tesori made in Italy a tavola messi a rischio dalla siccità che sta colpendo le produzioni agroalimentari da nord a sud del Paese prosciugando un bacino strategico di ricchezza enogastronomica che è anche fra i principali motori del turismo nazionale ed estero in Italia. Emerge dal nuovo Censimento 2022, presentato da Coldiretti, delle specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni.
L’emergenza idrica - spiega Coldiretti - non risparmia neppure le tipicità più rare e, trattandosi di piccole produzioni con quantità ridotte, il rischio è che vengano letteralmente cancellate. Con gli alpeggi secchi per la mancanza di erba e di acqua le mucche e le pecore - rileva Coldiretti - producono meno latte che è alla base dei formaggi “d’alta quota” più apprezzati, ma c’è anche il sole a ustionare le varietà di frutta e verdura più particolari, salvate dall’impegno degli agricoltori. Il calo del raccolto di cereali antichi impatta, inoltre, anche sulla preparazione di pani e dolci tipici, ma anche per alcune varietà di olio extravergine si attende con ansia la pioggia.
Una mappa dei sapori, della tradizione e della cultura della tavola made in Italy che per quanto le tipologie vede nei primi tre posti del podio la squadra di pane, paste e dolci (1616), quella di frutta, verdura e ortaggi (1.577) e il gruppo delle specialità a base di carne (822), seguiti dai formaggi (524) e dai prodotti della gastronomia (320), ma non mancano bevande analcoliche, distillati, liquori e birre, i mieli, i prodotti della pesca e i condimenti dagli olii al burro, in un viaggio del gusto che tocca anche gli angoli più nascosti del Paese. Non è infatti un caso che nei piccoli borghi - sottolinea la Coldiretti - nasca il 92% delle produzioni tipiche nazionali secondo l’indagine Coldiretti/Symbola, una ricchezza conservata nel tempo dalle imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture storiche. Un patrimonio che spinge a tavola 1/3 della spesa turistica alla scoperta di un Paese come l’Italia che è l’unico al mondo che può contare sui primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare.
La classifica dei prodotti a tavola - spiega Coldiretti - vede la Campania al primo posto con ben 580 specialità davanti a Toscana (464) e Lazio (456), a seguire - sottolinea Coldiretti - si posizionano l’Emilia-Romagna (398) e il Veneto (387), davanti al Piemonte con 342 specialità e alla Liguria che può contare su 300 prodotti. A ruota tutte le altre Regioni: la Puglia con 329 prodotti tipici censiti, la Calabria (269), la Lombardia (268), la Sicilia (269), la Sardegna (222), il Trentino Alto Adige (207), il Friuli-Venezia Giulia (181), il Molise (159), le Marche (154), l’Abruzzo (148), la Basilicata con 211, l’Umbria con 69 e la Val d’Aosta con 36. Ricca e curiosa la lista delle specialità nazionali. In Basilicata nel piccolo borgo di San Chirico Raparo, in provincia di Potenza, dalle pieghe della cultura popolare e della tradizione gastronomica della tavola contadina si trova l’Arrappata, una zuppa di legumi e cereali, dai fagioli ai ceci, dal grano al farro, mentre nel Lazio - continua Coldiretti - c’è la Roncoletta Labicana una varietà di pisello che si caratterizza per la forma particolarmente incurvata del baccello che viene coltivata nella zona di Labico, e in Toscana la cucina povera vede in primo piano i Testaroli della Lunigiana, una pasta fatta di farina e acqua, i friulani vanno fieri della Porcaloca, un’oca intera disossata farcita con filetto di maiale, cucita a mano, legata cotta e affumicata.
Ma specialità si trovano in ogni regione - spiega Coldiretti - in Campania ci sono le Papaccelle, piccoli e coloratissimi peperoni più o meno piccanti che vengono per lo più utilizzati per le conserve sott’aceto, mentre in Emilia-Romagna molto apprezzati - prosegue Coldiretti - sono i Grassei sbrislon anche detti ciccioli, grasso del maiale fatto a dadini, è messo a cuocere a fuoco lento e aromatizzato con spezie locali. Il Veneto - informa la Coldiretti - va fiero del Sangue morlacco antico liquore del 1830 a base di ciliegie marasche chiamato così dal poeta D’Annunzio per il suo tipico colore rosso cupo, mentre il Piemonte schiera la Toma di Lanzo e ancora il Salame nobile del Giarolo. In Liguria - prosegue la Coldiretti - vanno fieri del Paté di lardo, i pugliesi hanno formaggi squisiti come il Caciocavallo Dauno che può stagionare fino a 6 anni e il Pecorino di Maglie tipico del Salento. In Molise non si può rinunciare alla Treccia di Santa Croce di Magliano tipico formaggio a pasta filata dalla originalissima forma di treccia che sembra essere ricamata come in passato dalle donne del paese. In Calabria - prosegue la Coldiretti - tra i prodotti tradizionali più apprezzati ci sono l’Origano selvatico e il Pallone di fichi. In Lombardia invece si degusta la Slinzega, salume stagionato e speziato di carne bovina, tipico della Valtellina. E se in Sardegna c’è la Facussa, una varietà di cetriolo, in Sicilia - continua Coldiretti - molto tradizionali sono gli Ainuzzi piccole scamorze di latte vaccino che riproducono nella loro forma animali autoctoni. Nelle Marche è tipico della tradizione contadina il Vino di visciole, un vino aromatizzato composto da visciole e da vino preferibilmente rosso Sangiovese o la Roveja, un legume antichissimo simili a piccoli piselli colorati. In Abruzzo invece - fa sapere la Coldiretti - una specialità ricercata insieme alla famosa mortadella di Campotosto meglio nota, per la sua particolare forma, come Coglioni di mulo. Viene dal Trentino invece l’Altreier kaffee che è un surrogato del caffè, mentre giunge dalla Valle D’Aosta il particolare salume chiamato Boudin e prodotto con patate bollite. Infine, l’Umbria - conclude la Coldiretti - è orgogliosa della Fagiolina del Trasimeno, varietà rara e particolare di legume conosciuto fin dal tempo degli Etruschi o lo Zafferano di Cascia.
Alla base del successo del made in Italy c’è un’agricoltura che è diventata la più green d’Europa con - evidenzia la Coldiretti - la leadership Ue nel biologico con 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 526 vini Dop/Igp e con Campagna Amica la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. “L’Italia è il solo Paese al mondo che può contare primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare. Dietro ogni prodotto c’è una storia, una cultura ed una tradizione che è rimasta viva nel tempo ed esprime al meglio la realtà di ogni territorio” afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare “la necessità di difendere questo patrimonio del made in Italy dalla banalizzazione e dalle spinte all’omologazione e all’appiattimento verso il basso perchè. il buon cibo insieme al turismo e alla cultura rappresentano le leve strategiche determinanti per un modello produttivo unico che ha vinto puntando sui valori dell’identità, della biodiversità e del legame con i territori”.
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