La via della transizione energetica è lunga e difficile e, per quanto lastricata di buone intenzioni, è destinata ad intersecarsi con tante altre strade e con un enorme numero di imprevisti. A partire dall’attuale crisi del gas dovuta all’invasione russa dell’Ucraina, che ha spinto i Governi di tutta Europa ad approvvigionarsi di qualsiasi tipo di energia, dal petrolio al carbone, senza curarsi troppo dell’impronta carbonica e della sostenibilità ambientale. L’agenda del “Green Deal” Ue, che punta alla neutralità climatica in Europa entro il 2050, subirà rallentamenti inevitabili, ma allo stesso la necessità di raggiungere una qualche forma di sovranità energetica spinge gli investimenti nelle energie rinnovabili. Ed è qui che le necessità della collettività si scontrano con le comunità sui singoli territori e con le priorità di specifici settori economici. Compreso quello del vino, come raccontano le cronache di questi giorni che arrivano dalla Francia.
In Champagne, ad esempio, l’associazione delle “Coteaux, Maisons & Caves de Champagne” Patrimonio Mondiale dell’Unesco, guidata da Pierre-Emmanuel Taittinger, brinda alla decisione del Consiglio di Stato che, dopo una battaglia iniziata nel 2015 (anno del riconoscimento Unesco, ndr), ha definitivamente cassato il progetto di un parco eolico da 13 turbine eoliche a ridosso dei vigneti. La “mission”, da luglio 2015, è incaricata, dall’Unesco e dallo Stato, di “garantire la conservazione dell’integrità e dell’autenticità di Coteaux, Maisons e Caves di Champagne, al fine di evitare qualsiasi attacco all’“eccezionale valore universale” del patrimonio riconosciuto dall’Unesco”.
Proprio in base a questo incarico, nel 2015 fu stabilita dallo Stato una zona di esclusione di 10 km dalle vigne, e fu definita un’area di influenza paesaggistica, “delimitando i settori in cui va esclusa qualsiasi installazione di turbine eoliche, perché danneggerebbe il panorama”. Le pale previste dal progetto Pocancy-Champigneul, secondo il progetto, avrebbero raggiunto un’altezza massima di 150 metri, “quindi maggiore del dislivello che c’è tra la piana gessosa della Champagne e gli altipiani del Brie”, come riporta il magazine francese “Vitisphere”. In sostanza, le pale eoliche avrebbero stravolto il paesaggio vitato della Champagne, “attentando” all’integrità e all’unicità tutelate dall’Unesco. Una vittoria per la mission “Coteaux, Maisons et Caves de Champagne”, che ci tiene però a sottolineare come l’associazione non sia contraria allo sviluppo dell’energia eolica, ricordando al contempo che in Champagne il paesaggio è sempre più sotto assedio da parte dei parchi eolici.
Un altro fronte aperto, restando in Francia, riguarda l’agrivoltaico, quell’incontro virtuoso tra agricoltura ed energia solare, premiato dai fondi del Pnrr, di cui tanto si parla anche in Italia. A Parigi, intanto, la legge che dovrebbe mettere il turbo alla crescita delle rinnovabili, verrà dibattuta nelle prossime settimane, con un obiettivo ben chiaro, ribadito spesso dal Presidente Macron: superare i 100 GW di produzione da fotovoltaico entro il 2050, partendo dai 14,6 GW del primo trimestre del 2022. Progetti a cui si oppongono in maniera netta sia i Jeunes Agriculteurs che la Confédération Paysanne, sostenendo che la terra, così, perderebbe la sua vocazione agricola a favore della produzione di energia elettrica, con il pericolo che l’agrivoltaico possa rivelarsi un cavallo di Troia capace di permettere alle aziende del comparto energetico di monopolizzare i terreni agricoli.
Quello che chiedono le due associazioni è uno stop definitivo alla possibilità di installare impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, anche dove possono convivere con le colture esistenti, come, almeno in Francia, si inizia a vedere in qualche vigneto. Tra gli agricoltori serpeggia la paura di dinamiche speculative e finanziarie capaci di mettere in ginocchio intere filiere, e al momento a poco sembrano servire le rassicurazioni, da parte del Governo, di regole stringenti. “Gli impianti devono essere eseguiti in via prioritaria su terreni già artificializzati, in particolare terreni inquinati, tetti e coperture di parcheggi”, spiegano i due sindacati.
La pietra angolare del confronto sta tutta nella definizione stessa di agrivoltaico, che si trova nelle condizioni poste dalla transizione ecologica, secondo cui deve basarsi sulla sinergia tra produzione agricola e produzione fotovoltaica sullo stesso pezzo di terra. “L’agrivoltaico è prima di tutto una tecnica colturale, che deve fornire servizi diretti all’agricoltura e agli agricoltori, aiutando ad esempio l’adattamento ai cambiamenti climatici. Deve inoltre aumentare il reddito agricolo diretto e sostenere la trasformazione del settore, consentendo alle aziende agricole di diventare più resilienti: questa è una delle soluzioni che garantirà il rinnovamento generazionale delle aziende”, ha ricordato Antoine Nogier, presidente France Agrivoltaïsme. Ribadendo, implicitamente, che la strada per la transizione energetica è lunga, lastricata di buone intenzioni, ma meglio se passa da un’altra parte ...
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