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TRA I TANTI TERRITORI DEL VINO ITALIANO, SONO QUELLI D’ALTURA AD ATTIRARE L’ATTENZIONE DEI WINE LOVER DEL BELPAESE. COME LA VALTELLINA, CULLA DELLO SFORZATO E CUSTODE DELL’UNICITÀ ITALIANA, COME RACCONTA A WINENEWS IL PROFESSOR ATTILIO SCIENZA

Italia
Vigneti in Valtellina

Tra i tanti territori del vino italiano, negli ultimi tempi sono quelli più difficili ad attirare l’attenzione e la curiosità degli appassionati: dalle Cinque Terre all’Etna, fino alla Valtellina, culla, difficile, dello Sforzato, è la viticoltura di montagna, per sua stessa natura “eroica” a difendere la peculiarità e l’unicità della viticoltura italiana, che spesso rischia di venire omologata nella banalità dei soliti vitigni internazionali.
“Qui - racconta, per “Sforzato Exhibition”, a Tirano, capitale di uno dei capolavori della viticoltura eroica e di montagna, uno dei massimi esperti di enologia al mondo, il professor Attilio Scienza - la viticoltura crea un grande impatto paesaggistico, culturale ed anche di qualità. Spesso dimentichiamo che, in Europa, la viticoltura di montagna riguarda ben 100.000 ettari, più di tutta la viticoltura siciliana, tutt’altro che una nicchia. Senza dimenticare che più del 50% dei vitigni che si coltivano in Europa provengono dall’alta quota, custode di un incredibile patrimonio genetico, oltre ad offrire un’incredibile varietà, specie climatica, ma anche di suoli, basti pensare alla differenza tra la Valtellina e l’Etna, tanto per rimanere in Italia. Quella di montagna è l’ultimo baluardo alla viticoltura “di vitigno”, omologata, è l’ultimo baluardo dietro cui può difendersi il consumatore dalla banalizzazione”.
“La Valtellina - continua Scienza - è un esempio particolare, unico: qui esiste solo la viticoltura di montagna, verticale, dove si pratica solo una viticoltura manuale. Per capire il peso di una peculiarità tale, basti pensare che, nei grandi vigneti di pianura, ogni anno si lavora una media di 100-120 ore, qui, invece, servono 1.000-1.200 ore di lavoro l’anno, 10 volte di più. Un impegno umano, e di costi, che spesso è solamente passione, perché non c’è una corrispondenza tra costi di manodopera, costi di rischio e guadagno, perché le bottiglie si pagano ai costi ed ai prezzi normali. Di una bottiglia di Sforzato - conclude il professore Scienza - non beviamo solo il vino, ma il valore stesso dell’uomo che l’ha fatto”.

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