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LA CURIOSITÀ

Tra “land art” e viticoltura, ecco “Limito”, il più grande vigneto-labirinto del mondo

Nascerà nel Lazio, nella Tenuta Antoniana di Marco Carpineti, con lo Studio di Architettura del Paesaggio Fernando Bernardi

Da sempre simbolo del cammino intricato dell’uomo attraverso la vita, con valenza più o meno religiosa, il “labirinto”, nel Rinascimento, esplose come ornamento e passatempo giocoso nei giardini e nei palazzi delle famiglie più nobili e facoltose. E oggi, tra i vigneti del Lazio, diventa opera di “land art”. Con il progetto “Limito”, nella Tenuta Antoniana di Marco Carpineti, tra i Comuni di Bassiano, Sezze e Sermoneta, che si annuncia come “il vigneto labirinto più grande al mondo”, e che sarà presentato ufficialmente il 6 giugno. Lo sfondo è un paradiso naturale, fatto di boschi, laghetti e, sull’altopiano, i vigneti di Bellone, Abbuoto e Nero Buono dell’azienda. Qui, una porzione di vigna di tre ettari “è stata ripensata completamente per dare vita, nel cuore di questo scenario naturale unico nel suo genere, a una vera e propria opera di design, “Limito”, un suggestivo labirinto che rilegge la vigna in una chiave inedita e racconta l’intento della famiglia Carpineti: un vigneto inclusivo come metafora della vita e rappresentazione di bellezza, arte e creatività”.
L’opera di land art si compone di un elaborato disegno che ospita due spirali e un labirinto, il tutto avvolto da un turbinio di onde, che vogliono abbracciare chi percorre l’interno della vigna. L’idea nasce dalla volontà di creare un vigneto in grado di includere e accogliere, di ospitare invece che di creare barriere. “Generalmente un filare è composto da un punto A e un punto B, non c’è modo di attraversarlo come vuoi. A me questa cosa ha sempre data un senso di scarsa accoglienza, penso che un vigneto debba essere un luogo ospitale che ognuno può attraversare e vivere come vuole”, racconta Paolo Carpineti.
Il labirinto, spiega ancora l’azienda, è metafora del percorso della vita che ognuno di noi svolge cercando di trovare la strada per il raggiungimento dei propri sogni, della propria visione e realizzazione. Ci sono momenti in cui sono presenti ostacoli e interruzioni, situazioni in cui si deve cambiare direzione per imboccare finalmente quella giusta. In sostanza, il vigneto-labirinto si fa allegoria dell’esistenza riappropriandosi in questa versione enologica di tutto il suo antico simbolismo. Perdersi per ritrovarsi, per riflettere e ritrovare se stessi, un po’ come fa il vino che, attraverso un calice, tira fuori la nostra sincerità, la giusta sensibilità per comprendere noi stessi ma anche la capacità e la convivialità per accogliere gli altri, sentimento mai come oggi sempre più necessario.
A disegnare e realizzare “Limito” è lo Studio di Architettura del Paesaggio Fernando Bernardi: 80 metri di diametro, 4 ingressi e 2 soluzioni differenti. Due piazzole per la sosta poste ai lati di esso, circondate da 8 cipressi, svettano come colonne e sono un “punto di riferimento” per chi lo attraversa. “La realizzazione fisica dell’intero progetto è stata un percorso lento e preciso, fatto di studio e tanti rilievi, supportato dall’aiuto dei collaboratori che hanno preso parte alla costruzione del disegno, interamente eseguito a mano, pianta dopo pianta, centimetro dopo centimetro. Non a caso i vitigni piantati sono in primis Bellone e Nero Buono, varietà riscoperte dall’azienda quando erano praticamente dimenticate. Una vera scommessa e un progetto preciso, valorizzare queste uve attraverso l’approccio biologico declinandole in tipologie diverse, in base al microclima e al suolo di ogni tenuta e persino nell’ormai consolidata e apprezzata versione Metodo Classico con lo scopo di ottenere dei veri e propri cru in grado di esprimere il terroir in maniera unica. Ad aggiungersi alle due varietà anche un’altra uva antichissima: l’Abbuoto”. Un vitigno da cui nasceva il vino bevuto dagli antichi romani, e che faceva infatti parte del blend del vino Cecubo, decantato da Orazio e Plinio. Le tre varietà sono state scelte con l’idea di rappresentare nel labirinto proprio le uve antiche di quei luoghi e rafforzare ancora di più il concetto di territorio. “Vogliamo rendere le nostre tenute, nate e pensate per produrre uva, dei musei a cielo aperto. Trasformare ciò che è produttivo in qualcosa di artistico. Tornare a parlare di bellezza, creatività, ingegno e distintività. Ciò che ha reso l’Italia per secoli una terra di bellezza e bacino di una capacità del “fare” unica al mondo”, spiega la famiglia Carpineti.

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