Passata la paura, e normalizzatosi l’andamento stagionale, con un’estate arrivata un po’ in ritardo rispetto al solito, e con temperature altissime, il vigneto Italia, dove le uve stanno lentamente cambiando colore, guarda con maggiore fiducia alla vendemmia 2023. Che difficilmente verrà annoverata tra le grandi annate del secolo, ma attenzione a non correre troppo: le forti grandinate al Nord Est hanno creato più di un problema, ma la pressione della Peronospora, pur causando perdite importanti sul fronte produttivo, non ha alcun tipo di conseguenza sulla qualità delle uve. Che, dalla Toscana alla Sicilia, proprio grazie alle piogge di maggio e giugno, ed al caldo delle ultime settimane, sono belle.
Tutto bene, quindi? No, e non c’è bisogno di mettere la testa sotto la sabbia, ma ancor meno di raccontare con allarmismi ingiustificati una stagione difficile, sfidante e sfibrante, che qualche volta ha colto i vignaioli impreparati, o nell’impossibilità di fare meglio di così. Nella stragrande maggioranza dei casi, specie in Toscana, ma anche nelle Marche e in Abruzzo, i produttori hanno saputo rispondere nel modo giusto all’emergenza, entrando in vigna in condizioni a volte precarie, ed utilizzando al meglio le tecnologie e le conoscenze a propria disposizione. Non tutto, ovviamente, è prevedibile, e l’abitudine a certi contesti climatici e meteorologici - come dimostra la serenità dei Consorzi del Nord Italia, dal Piemonte al Veneto - è stata sicuramente un fattore. Così come la “tempestività”, parola che ricorre spesso, e che dice molto su come è destinata a cambiare la gestione della vigna.
Lo stato fitosanitario delle uve, come anticipato, è dappertutto ottimo, e questo è sicuramente il miglior viatico verso una vendemmia che entrerà nel vivo solo tra qualche settimana, dopo mille ostacoli e difficoltà, ma con ancora intatta la possibilità e la speranza di portare in cantina un grande raccolto, seppure sicuramente inferiore alla media quantitativa degli ultimi anni, specie nelle Regioni Adriatiche. La speranza di tutti, ovviamente, è che i prossimi giorni non riservino ulteriori sorprese, con i pensieri e gli occhi dei vignaioli costantemente orientati verso il cielo, e le orecchie alle previsioni meteo...
“La peronospora non è un fenomeno meteorologico imprevedibile, come la grandine, è un fungo, ed è del tutto normale che in determinate condizioni climatiche, di temperatura ed umidità, si presenti”, racconta Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Barolo e Barbaresco, dove “siamo abituati a farci i conti ogni anno, e come sempre abbiamo saputo affrontare i momenti di maggiore pressione andando in vigna anche nelle peggiori condizioni immaginabili, trattando i filari manualmente, dove non è stato possibile fare altrimenti. Le lunghe settimane di pioggia, però, hanno mostrato i limiti della viticoltura biologica, con la necessità di utilizzare enormi quantità di rame, ciclicamente dilavato dall’acqua. Diventa sempre più evidente la necessità di un approccio integrato che consideri l’utilizzo di prodotti di sintesi. Se non capitano stravolgimenti, è un’annata fantastica per il Barolo: seppure in maniera abbondante, è piovuto al momento giusto, non ci sono stati problemi di frane o smottamenti, e di certo la dimensione perlopiù familiare delle aziende ha permesso un presidio minuzioso del territorio”, conclude Ascheri.
Nessun problema, sul fronte Peronospora, per i produttori della Babera d’Asti e dei vini del Monferrato, come dice il presidente del Consorzio, Vitaliano Maccario: “anche l’Oidio è passato senza causare alcun problema, mentre in alcune aree sono state le grandinate ad aver creato i problemi maggiori. Continua a preoccupare, inoltre, il perdurare della siccità, anche se negli ultimi giorni le temperature si sono normalizzate, con massime a 32 gradi durante il giorno e clima fresco la sera, aiutando così la vite a fare il suo normale ciclo. Sul fronte della sanità delle uve, fin qui possiamo considerarci fortunati, al netto di quel 2-3% di superfici vitate colpite dalla grandine, essenzialmente nel nord astigiano, a macchia di leopardo”.
Filtra ottimismo, almeno per ora, anche tra i filari di Moscato dell’Asti, dove “la Peronospora, così come le altre malattie della vite, non ha colpito una percentuale rilevante dei nostri vigneti”, dice Giacomo Pondini, direttore del Consorzio dell’Asti e Asti Spumante. “La grandinata dell’8 luglio, invece, ha riguardato essenzialmente il versante Ovest, quello che guarda alle Langhe, colpendo l’1-2% dei vigneti, con danni importanti in qualche azienda, ma con un impatto decisamente limitato sulla produzione complessiva del Moscato. Come Consorzio siamo impegnati in raccolte sperimentali due volte a settimana, con verifiche sulle uve e sui vigneti, senza rilevare alcun tipo di problema sanitario rispetto ai nostri standard. Finora - conclude Pondini - è un’annata assolutamente normale, con rassicurazioni anche dal punto di vista quantitativo, grazie alle piogge di maggio. I conti, come sempre, si fanno alla fine, ma i presupposti sono buoni”.
Spostandoci dal Piemonte alla Lombardia, la situazione si fa un po’ più complessa. “Ad oggi possiamo dire che è un’annata di difficile gestione, ma con prospettive interessanti”, dice Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta. “Grandine e temporali ci hanno colpito solo di striscio, ora è il momento di tenere duro fino alla vendemmia, a metà agosto, cercando di portare le uve in cantina il più velocemente possibile. In questi ultimi mesi ne abbiamo viste di tutti i colori: una gelata ha colpito il 5% delle superfici vitate, poi le forti piogge durante la fioritura hanno portato con sé un po’ di acinellatura nel grappolo, e qualche episodio di peronospora, ma niente di clamoroso o preoccupante, anche se la situazione è tutt’altro che omogenea. Come quantità, ad ora siamo tra il 10% ed il 20% sopra alla raccolta 2022, ma abbiamo ancora davanti 15-20 giorni”.
Nel Nord Est, a tratteggiare un quadro completo è Albino Armani, alla guida del Consorzio Tutela Vini Doc delle Venezie, che abbraccia tre Regioni - Veneto, Friuli Venezia-Giulia e Trentino Alto-Adige - ed insiste sull’area produttiva di ben 21 Consorzi diversi. “Qui la Peronospora è stato un problema sostanzialmente marginale, così come l’oidio, nonostante la grande pressione dovuta alle piogge, che però ci ha trovati pronti. La vera preoccupazione è rappresentata dalla grandine, che ha colpito soprattutto nel Trevigiano, nel Veneziano, nel sud del Lago di Garda, e quindi nel Lugana ed in alcuni areali del Garda e del Bardolino. Spostandoci più in là, problemi ci sono stati anche nella zona centromeridionale del Friuli, mentre il Trentino si è essenzialmente salvato, così come l’alto Friuli, ad eccezioni di piccoli episodi circoscritti. Complessivamente, la situazione non può però dirsi risolta, c’è un’altra perturbazione in arrivo, e comunque la criticità è costante, e presumibilmente ci dovremo abituare, in future, ad annate come questa. I Consorzi, rispetto a queste tematiche, sono parte in causa, e devono farsi trovare pronti nel dare soluzioni adeguate”, conclude Albino Armani.
Zoomando sulla più grande delle denominazioni della spumantistica del Belpaese, quella del Prosecco, “la situazione tra i filari, fino all’arrivo delle grandinate delle scorse settimane - i cui danni, nelle zone colpite, sono ancora in corso di stima - appariva tutto sommato positiva, tenendo conto che la Flavescenza Dorata è risultata decisamente più contenuta rispetto allo scorso anno, mentre le altre fitopatie, laddove adeguatamente trattate, hanno prodotto danni assolutamente contenuti. Più che alle condizioni fitosanitarie, la preoccupazione più grande è legata al meteo delle prossime settimane”, ha commentato il direttore del Consorzio del Prosecco, Luca Giavi.
Tra le colline vitate Patrimonio Unesco del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, “la situazione è a macchia di leopardo”, dice Elvira Bortolomiol , presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. “Ci sono zone un più colpite dalla grandine nell’area di Valdobbiadene, Cartizze, Col San Martino, Oliano, la parte sud di Vittorio Veneto: nella media siamo intorno ad un 10% del vigneto colpito dalla grandine. Dato che, ovviamente, non corrisponde a quello che si perderà a livello produttivo, perché ancora manca molto e c’è tempo per recuperare, non abbiamo fatto veri e propri bilanci, contiamo di avere dati più precisi nei prossimi giorni. Sul cambiamento climatico ci siamo mossi da tempo, con invasi per raccogliere l’acqua piovana, per esempio, e chiederemo le reti sui filari contro la grandine, ma siamo anche in una zona tutelata dall’Unesco, e dovremo ragionare bene per capire quali sono le possibilità che abbiamo per salvaguardare produzione e territorio. Abbiamo fondato la nostra “Green Academy” nel 2022, e stiamo facendo ricerche e studi per interpretare il futuro dal punto di vista del cambiamento climatico. L’anno soccorso abbiamo sofferto molto la siccità - ricorda Elivra Bortolomiol - mentre quest’anno c’è stata tanta pioggia, dobbiamo adattarci. Per quanto riguarda la Peronospora per ora è presente solo in casi sporadici, ma la possiamo considerare sotto controllo”.
Dalle bollicine ai grandi rossi, restando in Veneto, ma muovendoci verso Verona, in Valpolicella la situazione è decisamente più complessa, anche per la peculiarità dei vini prodotti da uve appassite, come l’Amarone ed il Ripasso che, ricorda il presidente del Consorzio della Valpolicella, Christian Marchesini, “hanno bisogno di grappoli leggeri, spargoli, e non appesantiti dall’acqua. La speranza, in questo senso, è che da qui alla vendemmia non piova più, o comunque che piova molto poco”. Sul fronte della malattie della vite, invece, non è stata né la Peronospora né l’Oidio a mettere in difficoltà i viticoltori, “ma il Mal dell’Esca, con una grande incidenza, frutto evidentemente della tropicalizzazione del clima. Con il clima molto secco dello scorso anno si manifestava in condizioni normali, ma con le piogge di maggio e giugno è diventata una presenza importante, e la soluzione è quella di tagliare a metà il tronco della vite, come si faceva una volta, per far entrare l’aria e far morire i funghi ed i batteri anaerobici al suo interno, sperando che la pianta sopravviva. Colpisce di più, e prima, il Guyot rispetto alla pergola, ma l’incidenza è preoccupante perché si perde non solo una parte di produzione, ma anche di vigna in ottica futura”, aggiunge Marchesini. Non allarmante, infine, il conto dei danni della grandine, “che ha riguardato il 20% della parte sud della denominazione, con danni stimati tra il 10 ed il 20%, per cui il 4%, al massimo, del vigneto della Valpolicella”, conclude il presidente del Consorzio della Valpolicella.
Restando in Veneto, tra le colline vitate del Soave, “Patrimonio Agricolo di importanza mondiale”, il presidente Sandro Gini tratteggia un quadro tutto sommato sereno, perché “nonostante le forti grandinate, che hanno riguardato il 5% dei nostri vigneti, ma che hanno soprattutto colpito abitazioni e capannoni industriali, le uve sono splendide e sane, così come le foglie. Veniamo da un’annata particolarmente siccitosa, e avevamo paura che le viti potessero trovare qualche difficoltà al momento del germogliamento, e invece la pioggia ci ha salvato, restituendoci piante rigogliose ed in splendida forma, totalmente recuperate dallo stress. Si prospetta - dice ancora Gini - un’ottima annata, sia in termini quantitativi, ma senza eccessi produttivi, che qualitativi. Oltre alla Peronospora, che non ha comunque rappresentato un grande problema, si è fatto sentire l’Oidio, altra malattia che ama la pioggia ed il caldo, ma è stato contenuto con successo. La speranza, adesso, è arrivare alla vendemmia senza dover affrontare altre sfide”, conclude il presidente del consorzio del Soave.
Scendendo lungo la Penisola, arriviamo finalmente in Toscana, nella più grande denominazione rossista del Belpaese, quella del Chianti. Un territorio particolarmente vasto, ricco di diversità e quindi complesso, dove, come ricorda il presidente del Consorzio del Vino Chianti Giovanni Busi, “non viviamo un’annata normale dal 2017: un anno fa furono gelate e siccità i problemi, quest’anno le piogge, che hanno portato ad una pressione importante della Peronospora, che ha colpito soprattutto nei vigneti con terreni molto lavorati, dove è stato impossibile entrare in campo con la pioggia, o tra i filari di quei produttori che non hanno agito tempestivamente. Nel territorio del Chianti, in generale, si parla di una perdita produttiva compresa tra il 10 ed il 15%, ma nelle zone e nelle aziende in cui si è riusciti a dare risposte rapide ed adeguate si parla al massimo del 5%, mentre i produttori biologici hanno incontrato qualche difficoltà in più”.
Si tratta, quindi, di un calo produttivo assolutamente sostenibile, specie nel contesto del Chianti, “dove il Consorzio aveva chiesto già ad aprile alla Regione un taglio del 10% della produzione per mantenere in equilibrio domanda ed offerta in un periodo decisamente complesso a livello globale”. La differenza, più che le diverse zone, in questa situazione l’hanno fatta le singole aziende, con le loro decisioni, restituendo quindi una situazione “a macchia di leopardo, proprio come con le grandinate. L’aspetto positivo riguarda invece le temperature alte, che hanno bloccato sia la Peronospora che l’Oidio, funghi che sopra i 35 gradi non hanno chance di sopravvivere”, conclude Busi, ricordando che, “a prescindere dalla quantità ad oggi le uve sono di ottima qualità”.
Senza spostarci troppo geograficamente, e concentrandoci su un areale più limitato, la situazione nel Chianti Classico non è troppo diversa. “Il problema principale di quest’annata è che le piogge primaverili, intense e continue, se da un lato costituiscono un’ottima riserva idrica, come non si vedeva da qualche anno, dall’altra, con l’arrivo del caldo, ha creato le condizioni ideali per lo sviluppo delle malattie funginee, specie la Peronospora. Che ha colpito a macchia di leopardo, in maniera simile nelle diverse Uga, e con una certa casualità anche nella stessa azienda se non addirittura nello stesso vigneto”, dice il presidente del Consorzio del Chianti Classico, Giovanni Manetti. “L’emergenza oggi è superata, in buona misura grazie al caldo delle scorse settimane, ma anche per merito del grande impegno messo in campo dai vignaioli: in certi momenti entrare in vigna è stato difficilissimo, ma nella lotta alla Peronospora la tempestività è tutto. Se da un punto di vista quantitativo si può stimare un calo produttivo, nel Chianti Classico, del 10-15%, è bene ricordare che la Peronospora non ha alcuna conseguenza sul lato qualitativo, per cui ci sono tutti i presupposti per produrre una grande annata. Sul fronte Oidio, invece, non c’è stato alcun problema, anche perché quando c’è la Peronospora difficilmente si presenta l’Oidio: la vite, e più in generale l’ecosistema, funziona come una scatola, ed è importante riempirla di biodiversità, così da lasciare meno chance ai patogeni di trovare spazio”, conclude Giovanni Manetti.
Restando in Toscana, nel territorio del prezioso Sangiovese del Brunello di Montalcino, dopo i timori di qualche settimana fa si torna a respirare un certo ottimismo in vista della prossima vendemmia. “La Peronospora non rappresenta più un problema”, dice il presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci. “Siamo al momento dell’invaiatura ormai, e le temperature alte, insieme al Maestrale, hanno sconfitto anche quella presente sulle foglie. Qualche strascico c’è - ancora difficile da quantificare - ma non si parla di danni gravi, probabilmente intorno ad un 5%, ma su un’annata molto bella e produttiva. Le tempistiche e la gestione della chioma, per combattere la Peronospora, sono fondamentali, ma il futuro passa per le varietà resistenti alle fitopatie, cui si sta lavorando da tempo. Un’annata così, in termini di piovosità, è comunque eccezionale, anche a memoria d’uomo. Anche la grandine - conclude Bindocci - ha avuto un impatto assolutamente marginale, colpendo qualche germoglio nei pochi ettari vitati interessati”.
Dai filari del Nobile di Montepulciano, il presidente del Consorzio, Andrea Rossi, plaude alle tempistiche con cui i viticoltori della denominazione “hanno saputo rispondere agli attacchi della Peronospora, in un’annata difficile, ma che stiamo affrontando al meglio. È una situazione resa molto difficile dalle piogge cadute tra maggio e luglio, con danni limitati ed ancora da quantificare, a macchia di leopardo, ed una situazione comunque in divenire. Ci sono stati problemi, ma non c’è motivo per essere catastrofisti: nella media il territorio ha saputo reagire bene, anche perché è stato capace, nel tempo, di dotarsi degli strumenti giusti per interpretare il meteo e gestire al meglio i vigneti, come le 42 centraline meteo in tutta le denominazione, accessibili da tutte le aziende”, conclude il presidente del Consorzio del Nobile di Montepulciano.
Il contesto migliora decisamente spostandoci dall’entroterra alla costa, verso i vigneti non più o non solo di Sangiovese, ma di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, ossia quelli che hanno fatto grande Bolgheri. Dove “la situazione sembra essere tranquilla”, dice Albiera Antinori, alla guida, insieme a Priscilla Incisa della Rocchetta e Cinzia Merli, del Consorzio del Bolgheri. “Ovviamente c’è stato qualche problema di peronospora, ma non così forte come in altre zone delle Toscana, e poi con il caldo si è fermata. La maggior parte dei produttori ha lavorato bene, ci sono casi sporadici di Peronospora, ma niente di drammatico. Ipotizziamo un calo generale di produzione di uva che potrà raggiungere al massimo un 20% in qualche vigneto, ma è difficile fare una stima puntuale adesso. Comunque, la situazione è tranquilla, non ci sono stati particolari problemi di piogge avverse in primavera, ed il caldo Bolgheri è abituata a gestirlo, anche perché le risorse idriche non sono mancate, per cui possiamo lavorare con tranquillità in vista della vendemmia”, conclude Albiera Antinori.
Tra le Regioni che hanno dovuto affrontare più delle altre gli eccessi climatici, le Marche, per sua natura plurale che, come ricorda il direttore dell’Istituto Marchigiano Tutela Vini, il consorzio che riunisce le Doc del vino regionale, “restituisce perciò una realtà molto frammentata e a macchia di leopardo. L’unica certezza è che il territorio più colpito è quello di Matelica, dove le piogge sono cadute incessantemente per 21 giorni consecutivi nel mese di giugno, rendendo in tanti casi impossibile l’ingresso in vigna. Abbiamo messo in campo tutte le tecnologie che abbiamo a disposizione, ma abbiamo visto spesso casi di vigneti confinanti in condizioni assai diverse. La situazione non è affatto tragica, e molto variegata, di certo ci sarà una perdita di prodotto, quantificabile in un 20-25%, ma queste settimane calde e ventilate ci hanno permesso di superare l’emergenza, e le piante che non sono state colpite dalla Peronospora si avvicinano senza problemi alla vendemmia”. Anche nelle Marche, sottolinea Mazzoni, “le tempistiche hanno fatto la differenza, e nulla cambia in questo senso tra viticoltura biologica e convenzionale. La tecnologia ci offre atomizzatori eccezionali e trattori 4.0, ma non sempre è sufficiente a salvare tutti. Ci siamo imbattuti in un attacco feroce, ma la reazione è stata altrettanto forte”, conclude il direttore dell’Istituto Marchigiano Tutela Vini.
Scendendo il litorale adriatico, in Abruzzo “siamo stato colpiti dalla Peronospora, come accaduto in tanti altri territori d’Italia”, dice Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo. “Il danno c’è stato in quantità, ma i grappoli rimasti in pianta, in un’annata calda e piovosa, soprattutto a maggio, sono belli e in buone condizioni, e oggi vediamo una vigna che sta vivendo una fase vegetativa davvero ottimale. Possiamo stimare la perdita del raccolto, nelle quattro provincie della Regione, intorno ad un -30%, ma come sempre i conti li faremo quando le uve saranno in cantina”.
Parla di un contesto tutto sommato prevedibile, Francesco Liantonio, presidente del Consorzio Castel del Monte, cuore enoico della Puglia, secondo cui “la particolarità di quest’annata è collegata al cambiamento climatico: più che preoccuparci dobbiamo abituarci a queste situazioni climatiche, classiche di un clima quasi tropicale, con acque e temporali pesanti a maggio e giugno, tanto che la Peronospora ha visto grandi attacchi in tutta la Puglia. Poi è stata la volta del caldo torrido, con punte di 43-45 gradi, molto alte per le vigne, che da tanta acqua si sono ritrovate quasi soffocate dal caldo. Ma non è un novità assoluta, e dobbiamo abituarci a gestirle. Io mi auguro sempre che alla fine avremo risultati importanti, seppure a fronte di un calo importante del raccolto, tra Peronospora e caldo, cui, dove possibile, abbiamo sopperito con l’irrigazione di soccorso”, dice ancora Liantonio.
Guardando, più nello specifico, a Castel del Monte, le cose migliorano: “è un’isola felice, con vigneti in altura e terreni molto drenati, calcareo rocciosi, dove abbiamo potuto combattere molto meglio gli effetti delle piogge, e infatti la pressione della Peronospora non è stata eccessiva, e la situazione è sotto controllo. Le colline godono della brezza marina, attraverso la quale riusciamo a mitigare l’effetto dell’umidità, e questo ci agevola, e lo stesso vale per le alte temperature, riequilibrate da escursioni termiche importanti, di 15-20 gradi, che facilitano le maturazioni delle uve. Per Castel del Monte non sono preoccupato, speriamo in una vendemmia eccezionale in qualità, anche quest’anno, ed in un agosto più regolare dal punto di vista climatico, senza eventi estremi. Le nostre prime stime parlano di un calo della raccolta, in Puglia, del 10-20%, ma adesso in vigna le cose stanno andando bene, e con un agosto ed un settembre regolari possiamo ancora recuperare qualcosa. Nella zona di Castel del Monte, viste le condizioni peculiari di cui abbiamo parlato, con la stessa prudenza direi che ci attesteremo su un calo produttivo del -5%-10%”, conclude il presidente del Consorzio Castel del Monte.
Il nostro viaggio tra i filare d’Italia non può che finire in Sicilia, dove le due facce della stessa medaglia, quella degli eccessi climatici, si fondono: da un lato le piogge, che hanno causato l’aumento della pressione delle malattie fungine, dall’altro le ondate di calore, che hanno bruciato le uve. “Questa è stata un’annata particolarmente complessa, perché, già a partire dallo scorso autunno e inverno, si è lavorato in condizioni climatiche molto particolari, che possiamo definire “poco siciliane”, commenta Antonio Rallo, presidente del Consorzio della Doc Sicilia. “Piogge più frequenti e molto intense hanno coinvolto un contesto ambientale caratterizzato da un clima normalmente molto più secco. Le piogge primaverili ed estive sono state sicuramente utili per costituire riserve idriche nei terreni e nei bacini, una tutela aggiuntiva nella difesa delle piante dal grande caldo delle ultime settimane. La maturazione delle uve è in ritardo di circa una settimana. Il calo della produzione previsto è intorno al 35% rimaniamo positivi per il livello qualitativo di quest’annata”, conclude Antonio Rallo.
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