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Tra proteste, rivelazioni, frenate e vere e proprie marce indietro, le trattative per il Ttip si impantanano. E non è certo un peccato, perché sul fronte del vino gli Usa non fanno sconti. A Bruxelles, intanto, c’è da fare i conti con la Brexit

Voluto più dagli Usa che dalla Ue, il Ttip, il trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea, rischia di non vedere mai la luce. Non solo, e non tanto, per le manifestazioni del fronte “No Ttip”, quanto per la frenata di alcuni Governi, a partire da quello di Parigi, schieratosi apertamente contro il trattato, e per la decisa marcia indietro proprio di Washington, con i due super favoriti delle Primarie, Donald Trump ed Hillary Clinton che, almeno a parole, osteggiano il lavoro fatto fin qui dall’amministrazione Obama, che difficilmente assisterà alla ratifica del Ttip entro la fine del suo mandato.
Il Governo italiano, del resto, non si è mai espresso in maniera univoca, pur ammettendo di non essere ideologicamente contrario. In ballo, infatti, ci sono affari per miliardi di euro, che riguardano ogni sorta di settore produttivo, ma a beneficiarne sarebbero soprattutto gli Stati Uniti, che vorrebbero imporre una deregulation che rischierebbe di mettere in seria difficoltà l’economia del Vecchio Continente. Specie quella agroalimentare, che di norme sanitarie e regole di produzione fa la sua forza principale, che si parli di carne o che si parli di vino.
Già, il vino, al centro delle trattative ma senza che, negli ultimi mesi, si sia fatto alcun passo avanti. Come hanno svelato i leaks pubblicati da Greenpeace (248 pagine di documenti ufficiali sulle trattative, riservatissime, tra Usa e Ue, ndr), nel paragrafo “Tactical Stay of Play” gli Stati Uniti hanno ribadito un rifiuto totale alla richiesta di Bruxelles di smettere di produrre le 17 denominazioni considerate “semigeneriche”: Borgogna, Chablis, Champagne, Chianti, Claret, Haut Sauterne, Hock, Jerez, Madeira, Malaga, Marsala, Mosella, Porto, Retsina, Rhine, Sauterne e Tokay.
I produttori statunitensi vogliono continuare a produrre Champagne, Chianti e Porto, nonostante la Ue, come si legge nei leaks abbia chiesto “una maggiore flessibilità in materia di vino e liquori, incorporando gli accordi bilaterali esistenti”. Ossia l’Accordo sui vini del 2006, firmato da Ue e Usa, con cui gli Usa si impegnavano a non produrre i principali vini europei (Bordeaux, Rioja ...). E c’è di più, perché la Ue nelle trattative sul Ttip ha chiesto anche il divieto di produrre i 17 semigenerici, che fanno parte dell’annesso II all’accordo del 2006. Insomma, persino un passo avanti sgli accordi esistenti, che ovviamente la controparte Usa ha fermamente respinto, “reiterando la propria opposizione all’incorporazione dell’Accordo sui Vini del 2006 nel Ttip, così come alla richiesta europea sui semigenerici”.
Certo, gli Usa producono da sempre Champagne, ma non possono commercializzarlo all’estero, una barriera che, con il trattato sul libero scambio, rischia di cadere, lasciando totalmente scoperti i grandi terroir europei, che si troverebbero senza grandi protezioni. Gli Usa, del resto, non fanno niente di diverso dal difendere i propri interessi, mettendo sul piatto della bilancia enormi tagli delle accise sulle importazioni di automobili, un settore che dà lavoro a milioni e milioni di persone in tutta Europa. Un bel dilemma, ed una decisione delicatissima da prendere a Bruxelles che, a breve, rischia di avere un’altra bella patata bollente da pelare: l’eventuale, e secondo gli ultimi sondaggi probabile, uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Che sarebbe meno dolorosa dell’uscita di tanti altri Paesi, visto che Londra non ha mai rinunciato alla Sterlina, ma che metterà comunque in seria difficoltà i settori che poggiano sull’export. Come l’industria scozzese dello Scotch, che ogni anno esporta distillato d’orzo per un miliardo di sterline, e che adesso ha paura di dover dire addio a qualcosa come 40.000 posti di lavoro.

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