La rinuncia da parte degli Usa all’utilizzo, tanto sul mercato nazionale che internazionale, di 17 indicazione geografiche europee “semigeneriche” (Burgundy, Chablis, Champagne, Chianti, Claret, Haut-Sauterne, Hock, Madeira, Malaga, Marsala, Moselle, Port, Retsina, Rhine, Sauterne, Jérez-Xérès-Sherry e Tokaj) e di denominazioni tradizionali europee (château, classic, clos, cream, crusted/crusting, fine, late bottled vintage, noble, ruby, superior, sur lie, tawny, vintage et vintage character, vendanges tardives, sélection de grains nobles); il rispetto, da parte degli States, delle pratiche enologiche riconosciute dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino per tutti i vini esportati verso i mercati europei; il riconoscimento del “Vino Biologico” come previsto dai Regolamenti Ue 834/2007 e 889/2008, e l’esenzione, per i vini europei diretti negli States, dal certificato d’etichetta “Cola” richiesto dall’“Alcohol & Tobacco Tax & Trade Bureau”: ecco alcuni dei punti chiave della risoluzione approvata all’unanimità dall’l’Assemblea delle Regioni Europee Viticole (Arev, www.arev.org), e inviata alla Commissione Europea, “vista l’assenza di progressi per il settore vino nei negoziati di libero scambio tra Ue e Usa (Ttip)”.
La preoccupazione dell’Arev è che “un compromesso rapido sui diritti doganali possa essere concluso a spese d’importanti questioni non tariffarie”, visto che, spiega l’Assemblea, “tenendo conto del fragile livello di protezione tariffaria reciproca attualmente in vigore nel settore vitivinicolo, i diritti doganali non sono la problematica centrale dei negoziati. È quindi essenzialmente sulle norme ed i regolamenti, siano esse giuridiche, finanziarie, sanitarie, ambientali e culturali eche si dovrebbe operare un’armonizzazione transatlantica. Perché per il settore vitivinicolo, sono le norme europee (unite a quelle dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino) più ambiziose che rischiano d’essere sacrificate come ostacoli al libero mercato. Le problematiche sono dunque pesanti per il modello vitivinicolo europeo e mondiale”. Intanto, il negoziato sul Ttip ha visto concludersi il round n. 11 proprio ieri in Usa, come ha spiegato a WineNews Paolo De Castro, eurodeputato e coordinatore S&d in Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Ue.
“Dal 2 al 6 novembre ci sarà una missione dei negoziatori Ue al Congresso Americano, molto importante. La speranza - dice De Castro - è che si guardi a questo negoziato con l’attenzione che merita dal punto di vista commerciale, specialmente da parte dell’Italia, perché è vero che siamo un Paese di grandi eccellenze ma non possiamo mangiarcele tutte, noi, dobbiamo venderle. E gli Usa sono un mercato enorme, il secondo dopo l’Ue, con 350 milioni di abitanti e un reddito procapite che è più altro di quello europeo. Ma non attribuiamo al Ttip valenze che non ha: non cambia norme e regolamenti europei su questioni come ormoni, Ogm e così via. Serve un negoziato forte, e ci auguriamo che anche attraverso il Ttip si riesca a superare anche l’enorme problema dell’Italian Sounding”.
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