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TURISMO DEL VINO - L'ULTIMA ANALISI DEL CENSIS SERVIZI SPA ... IL PROFESSOR FABIO TAITI, UNO DEI PIU' GRANDI ESPERTI D'ITALIA DI ENO-TURISMO, SI INTERROGA: DECLINO O DECOLLO?

Italia
Visita guidata in cantina

Questa la relazione, dal tema "Struttura ed evoluzione della domanda: le strategie di marketing" del professor Fabio Taiti, presidente del Censis Servizi Spa, al Forum dell'Università di Siena, su "I Turismi del vino in Italia: esperienze, modelli, prospettive", del 14 maggio 2004.



La febbri di una congiuntura ambigua: declino o decollo?

I dati macro di lungo periodo (1991-2003) che riguardano la produzione, i consumi e il turismo del vino nel nostro Paese, indicano il consolidamento di almeno 5 forti tendenze:

- la consistenza del valore assoluto della produzione (7,4 miliardi di euro) e il peso del relativo export (30% pari a 2,8 miliardi di euro);
- la crescita della qualità dei prodotti (30% doc + docg + 27% Igt sul totale);
- il tasso di sviluppo dei volumi prodotti dai più temibili competitors (Usa + 41%, Australia + 173%) a fronte di una riduzione dell’Italia (23%);
- la consistenza ormai assunta in Italia dal turismo del vino (4 milioni di turisti praticanti 2 miliardi di euro di spesa relativa).
A fronte di questi consolidamenti di lungo periodo, gli ultimi due anni segnalano l’emergere di una significativa discontinuità tra passato e futuro.

Dal lato della domanda assistiamo infatti a:
- una contrazione dei volumi più consistente rispetto al trend consolidato;
- una diversificazione dell’export per aree e mercati nazionali, sotto la spinta della recessione e del cambio euro/dollaro;
- una affermazione crescente in termini di competitività di alcuni prodotti stranieri, sia in Italia che soprattutto sui mercati di sbocco;
- una rottura del ciclo ascendente dei prezzi;
- un orientamento verso prodotti di qualità media e di gusto di “tendenza” crescentemente standardizzato ma tendenzialmente instabile (ieri Cabernet oggi Merlot, domani Shiraz);
- una forte concentrazione dei turismi del vino su poche destinazioni classiche e su un paio di eventi di massa;
- un po’ di stanchezza nella frequentazione di fiere, mercati, corsi, cene, vetrine, canali ed eventi da circo Barnum;
- una scoperta e una valorizzazione dei prodotti ben fatti a prezzi medio-bassi e dei vecchi e nuovi locali di ristorazione-degustazione-intrattenimento (osterie, wine-bar).

Dal punto di vista dell’offerta possiamo registrare:
- una prosecuzione ancora forte del ciclo degli investimenti fondiari e tecnologici già da anni avviato (200 milioni di euro del 2002, 28% in più rispetto all’anno precedente);
- una alimentazione di questo ciclo più da risorse proprie e cash flow che da strumenti di finanza innovativa e dedicata;
- uno sforzo di concentrazione su prodotti di qualità e immagine alta e medio-alta, con conseguenti problematiche di costo (e prezzo) elevato e di pretesa e attesa di lungo ciclo di vita del prodotto;
- un accreditamento elevato (eccessivo?) per le grandi firme, le citazioni sulle riviste, l’apprezzamento delle guide, la presenza (magari simbolica in numero di bottiglie) nelle liste e nelle cantine di locali e località di tendenza in tutto il mondo;
- una contrazione del valore aggiunto generato rispetto al fatturato prodotto;
- un indebolimento nella tendenza ad aprire con flessibilità le cantine ai turisti del vino;
- una difficoltà a definire partnership e quindi a produrre pakaging nelle attrattive nelle strade e nei distretti del vino e una strisciante delusione per forme di offerta e canali di vendita che si sono rivelati - nell’immediato - più impegnativi che redditizi.


Cinque faglie e due scenari: via californiana o via italiana?
Una rilettura sincronica di questi molteplici sintomi e indicatori, propone la ricomposizione di un quadro di mercato segnato da almeno 5 ordini di faglie:

- la faglia dei consumatori, segnata non solo da una crescente segmentazione, quanto piuttosto da un continuato politeismo dei comportamenti e delle funzioni di uso del vino, dei suoi riti e dei relativi turismi;
- la faglia dei produttori, segnata da una dispersione delle strategie tra fughe elitarie (nel brand, nella qualità, nei prezzi), concentrazioni di nicchia e tentazioni di risposta flessibile e rapida all’inseguimento delle mode, delle tendenze e delle infedeltà della domanda, secondo modelli industriali tipici dei settori volatili (moda);
- la faglia interna alla filiera tra i sempre più numerosi segmenti che separano i produttori dai momenti finali dell’acquisto e del consumo (distretto, vigna, cantine, distribuzione, locali del fuori casa, consumi domestici, e conseguenti ricarichi);
- la faglia dei prodotti, con una progressiva rivalutazione degli apprezzamenti di qualità tecniche (caratteristiche identitarie, valori di tipicità, ricerca polare dello standard industriale o all’opposto della consistenza artigianale), rispetto ai posizionamenti emozionali mediaticamente indotti;
- la faglia dei turismi del vino, con una attrazione magnetica dei consumatori su pochi territori emblematici (Langhe, Collio, Chianti, Montalcino) e pochi eventi di massa (Cantine Aperte, Calici di Stelle), accanto ad una offerta pulviscolare di città, strade, cantine, locali che ha dubbio posizionamento, difficile visibilità, incerto esito di risultati economici.

I processi in corso nel mondo dei vini e dei relativi turismi italiani in questi anni, propongono quindi una situazione di forte discontinuità tra:
- il “non più” di un ciclo di crescita continuo (a lungo immagimento senza limiti) con spazi di affermazione alla portata di (quasi) tutti, strutturato sulla base di una catena del valore che proceda linearmente dai produttori egemoni ai consumatori a tutto passivamente disponibili;
- e il “non ancora” dominato da un sistema di informazioni, di azioni e reazioni in rapido e continuato aggiustamento, dove il valore si genera in forme molteplici e trasversali dentro una ragnatela in cui tutti (produttori, intermediari, ristoratori, città e luoghi, comunicatori e consumatori), sono contemporaneamente attori e spettatori, soggetti e oggetti, protagonisti e vittime, nel melting pot della competitività.
Gli scenari che, a medio termine, possono determinarsi a seguito di una inerziale evoluzione dei processi in atto in questa fase di discontinuità, sembrano almeno due.

Da una parte una sorta di “via californiana” definita:
- dal rafforzamento competitivo sul mercato globale dei vini prodotti da poche decine di grandi aziende italiane (per ora), capaci di consistenti investimenti industriali e idonee anche a rispondere in tempo (quasi) reale agli stimoli del mercato, comunque portatrici di una gamma di prodotti coerente con la valorizzazione dei rispettivi già affermati brand;
- e dalla simmetrica promozione in termini di turismi del vino, di pochi distretti e di emblematiche location, alcuni destinati a turismi organizzati (di massa?), altri vocati a frequentazioni più elitarie.

Dall’altro una potenziale “via italiana” attestata:
- sulle produzioni vinicola di minori volumi e di più definite identità enologiche locali, da parte di una galassia di medie, piccole e piccolissime aziende;
- e sulla promozione dei prodotti alimentari tipici, della gastronomia identitaria del territorio, dell’artigianato locale di qualità, ma anche delle culture materiali, dei servizi per il benessere, delle attrattive di intrattenimento e convivialità che - testimone emblematico il vino - identificano i nostri territori profondi come altrettanti laboratori della qualità e dello stile di vita italiani.


Le strategie di riposizionamento: selezione dei più forti o
leaderships di filiera?
I due scenari non sono tra di loro incompatibili. E’ anzi certo che, da una loro sinergica interazione, potrebbero sortire buoni risultati per quella concentrazione di specializzazione sull’asse moda - design - alimenti - gastronomia - welness - turismi -leisure - vini, che la globalizzazione dei mercati richiede e il favore della domanda mondiale riconosce come leadership tipicamente italiana.

Il di recente molto lamentato declino di una parte consistente dei nostri già floridi settori manifatturieri, distretti industriali, valori dell’export, non consente distrazioni o fideistici abbandoni alla mano invisibile e provvidenziale della concorrenza e del mercato, capace prima o poi di operare selezioni naturali e ricomposizioni di equilibri.

Sembra invece necessario investire e lavorare molto nei prossimi anni sulla specializzazione, sulla visibilità e sulla comunicazione dei nostri Territori - Distretti della qualità della vita, dei prodotti food e non food, dei turismi fuori rotta, e naturalmente dai vini a forte impriting identitario, fondamentalmente da valutare e apprezzare nel loro contesto ambientale di origine.

Per procedere in questa direzione virtuosa di messa a fuoco e irrobustimento della mappa dell’Italia di turismi enogastronomici e del buon vivere, il momento di stallo tra “un non” più e un “non ancora” che il settore in questo scorcio di tempo sta vivendo, sembra favorevole alla definizione di una strategia di riposizionamento. Almeno quattro sono i punti di una simile operazione:
a) analisi della struttura e della evoluzione della Domanda di turismi del vino;
b) condensazione di una massa di attrattive di vini, gastronomia e turismi in aggregati territoriali magnetici e identitari (Distretti);
c) diversificazione da parte di ciascun Distretto delle politiche di offerta, a seconda dello stadio di evoluzione dei fattori costituenti, delle vocazioni identitarie proprie, della collocazione geografica del distretto rispetto ai bacini di provenienza dei turisti, e infine dei “clienti obiettivi” (target) da attrarre e servire in via prioritaria;
d) definizione di un Marketing Mix arricchito ed evolutivo, specifico per ogni distretto.

Sul primo tema della strategia, si rende necessario per scegliere e capire il target di turisti del vino da servire. In questo testo basterà ricordare:
- che un universo di consumatori di quattro milioni di soggetti è già sufficientemente consistente per meritare una segmentazione;
- che i diversi segmenti - target propongono ciascuno una specifica scheda di domanda di beni e di servizi secondo un mix articolato e diversamente ponderato;
- che il cuore di questa scheda di domanda è definita non tanto da una somma di servizi da offrire o acquistare, quanto piuttosto da una esperienze da vivere.

In ordine alla massa critica da promuovere per attrarre turisti e trasmettere (vendere) esperienza di turismo del vino e del buon vivere, sembra necessario soffermare l’attenzione sulle strade del vino.

Ad oggi ne sono state costituite in Italia circa 80: una mappa territoriale di attrattive tematiche, certo non ancora completa, ma già sufficientemente consistente e rappresentativa dell’universo possibile.

Di queste solo una metà sembra al momento aver avviato un itinerario di iniziative variamente consistenti ma comunque presenti. Il panorama dell’offerta effettiva di territori del turismo del vino è dunque ancora molto diversamente denso e promettente. Ma il tracciato sembra empiricamente quello giusto da sviluppare.

Più scoperti risultano invece per il momento gli altri due tracciati cioè quello della diversificazione e quello dell’arricchimento del marketing mix.

La tesi centrale di questa relazione attribuisce invece proprio a questi due strumenti la probabilità di successo di uno scenario evolutivo del vino e dei relativi turismi modello Mappa dell’Italia enogastronomia e del brand vivere.

Una politica di successo commerciale basata sull’affermazione del brand aziendale richiede infatti masse critiche di investimenti (in vigna, in cantina e nel marketing) che sono alla portata solo di poche decine di aziende italiane: con ogni probabilità meno di un centinaio.

Per molte altre centinaia di aziende (almeno 1.500/2.000) che ormai producono in Italia buoni vini, il tracciato del successo commerciale del prodotto, risiede prima di tutto nella progressiva affermazione:
- dei marchi - ombrello dei rispettivi Territori - Distretto;
- dell’apprezzamento e dalla vendita dei prodotti vino, prima di tutto (anche se certo non unicamente) sui rispettivi habitat (territoriali e contestuali) di produzione (prodotti ed esperienze);
dell’imprinting identitario che si sviluppa nell’immaginario dei consumatori tra qualità oggettive di prodotti e posizionamento emozionale delle esperienze (vini base + sogno).

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