Il Regno Unito, per l’Italia del vino è uno dei mercati più importanti in assoluto in volume e valore, n. 3 dopo Usa e Germania. Un mercato grande, ed in crescita, ma complesso, perchè sta cambiando la sua struttura interna: l’85% del vino si vende nei grandi supermercati, che stanno però riducendo spazi e referenze, mentre cresce il peso di discount, “negozi di quartiere” (spesso spin-off delle stesse catene della grande distribuzione come Tesco, Asda, Sainsbury’s, Morrisons) e retailer indipendenti. In uno scenario, inoltre, dove l’80% del vino si vende in media sotto le 6 sterline a bottiglia, e dove le vie di accesso al mercato sono sempre meno e sempre più concentrate in poche mani, con tutti i retailer che preferiscono sempre di più rifornirsi da pochi supplier, creando così dei veri e propri colli di bottiglia dove è fondamentale, per quanto complicato, riuscire ad infilarsi. Ecco, in estrema sintesi, il quadro tracciato da Robert Joseph, tra i massimi conoscitori del mercato Uk e fondatore di “Wine Business International” a “Wine2Wine”, il forum sul business del vino di Vinitaly, con Federvini ed Unione Italiana Vini (a Verona, il 2-3 dicembre, www.wine2wine.net).
“L’Italia è il Paese n. 2 per quota di mercato in Uk - spiega Joseph - con il 15,1%, dietro ad Australia (20,3%), e Francia (4,2%), ma di questi tre Paesi solo l’Australia cresce in valore (+3,36%), mentre l’Italia perde il -4,35% (dati a marzo 2015 sul 2014), e non è tutto oro quel che luccica, perchè sostanzialmente il vino italiano in Uk è Prosecco, Pinot Grigio e vini rossi di basso costo, in media 60 centesimi a bottiglia franco cantina, che tra tasse e margini dei vari player della filiera, arrivano sullo scaffale a prezzi molto più alti, oltre le 5 sterline a bottiglia”. Inoltre, aggiunge Joseph, “le grandi catene stanno riducendo il numero delle referenze: Tesco, ad esempio, sta passando da 800 a 500 vini, e si cerca di comprare da sempre meno suppliers, ma meglio forniti”.
E questo succede anche nei piccoli negozi e tra i retailer indipendenti, oggi oltre 800, ma con fatturati in media sulle 450.00 sterline all’anno, e che spesso non arrivano a più di 100 referenze per motivi di praticità, economicità e magazzino.
Da segnalare anche la crescita dell’on-line, “che oggi vale l’11% di tutto il mercato enoico in Uk, e dove, peraltro - aggiunge Joseph - si vendono i vini di maggio livello e prezzo (Tesco vende su suo portale anche Haut Brion e Mouton Rothschild), anche perchè chi va a comprare on line, spesso, si informa di più, cerca storie, ed è disposto a pagarle meglio, quando le trova”.
Ma sono molti gli aspetti critici che i produttori che vogliono esportare in Uk devono tenere in considerazione. Il prezzo in primis, come detto, perchè se la media al supermercato è di 5,25 sterline a bottiglia (che sale a 6,4 tra i retailer indipendenti), vuol dire che il vino, calcolate tasse e margini dei vari intermediari della filiera, spesso parte da 0,6 sterline franco cantina, sottolinea Joseph. Senza contare poi la crescita del private label delle grandi catene (Tesco Finest è il brand n. 1 nel Paese), e il fatto che sempre più spesso le stesse catene comprano sfuso ed imbottigliano in loco, per un volume stimato nell’equivalente di 600 milioni di bottiglie all’anno imbottigliate nel Regno Unito.
Eppure, nonostante presenti non poche difficoltà, è un mercato da aggredire e sui cui essere presenti, perchè i margini di crescita ci sono, come ha raccontato Hazel Murphy, oggi dell’agenzia di ricerca “DoILikeIt?”, ma per anni alla guida dell’Australian Wine Bureau di Londra: “quando ho iniziato gli inglesi quasi non sapevano che in Australia si producesse vino, e l’80% del mercato era fatto da vini made in Ue. Una quota che, oggi, è del 40%, perchè è cresciuta l’Australia, che oggi è il n. 1, ma è arrivato anche il Cile, il Sudafrica e così via. Questo per dire che se si formano in consumatori, si racconta loro la diversità, c’è spazio per crescere. Però, chi vuole aggredire questo mercato, deve sapere che bisogna investire molto, che ci vuole tempo, e che si deve lavorare a fianco dei partner, che siano distributori o retailer”.
Come conferma anche Elliot Awin, direttore commerciale dell’importatore Awin Barratt Siegel: “dovete lavorare per costruire un feeling, una relazione con i vostri partner commerciali - ha detto ai produttori - dove costruire un triangolo di conoscenza sul vostro vino tra voi, chi lo distribuisce e vende, ed il consumatore finale. Dove stare sul mercato, essere presenti ad eventi, tasting, battere negozi e supermercati per capire cosa succede. Noi importatori siamo sempre alla ricerca di novità, di nuovi tipi di vino per stimolare e conquistare i consumatori, come abbiamo fatto con i vini dell’Etna, per esempio, anche se ci vuole tempo. Costruire questo rapporto e questa conoscenza è fondamentale, altrimenti gli inglesi, che non sanno molto del vino, e a cui, per esempio, non importa nulla della differenza tra un Prosecco Doc e uno Docg, temono di sprecare soldi e si rifugiano su vini di basso prezzo”.
Anche perchè, ha spiegato ancora Joseph, “a differenza degli Stati Uniti, dove i punteggi di “Wine Advocate” o “Wine Spectator” contano ancora molto, influiscono sui consumi e in qualche modo semplificano le cose, in Uk ai consumatori non interessano poi tanto. Gli inglesi sono strani: non amano sentirsi dire cosa devono bere, ma amano informarsi da più fonti e chiederlo, ed è in quel momento, quando si mostrano interessati, che si può fare la differenza”.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025