Una burocrazia da sfoltire, soprattutto sul fronte dei controlli, perché pesa per tutti, ma soprattutto per un’azienda piccola, spesso a gestione familiare, e poco strutturata; un export che rimane la via maestra anche per i piccoli produttori italiani, magari puntando su mercati più vicini e maturi come quelli europei, piuttosto che sull’Asia, ad esempio; una gdo che è già un’alleata, ma che potrebbe esserlo di più se si affrontasse con progetti e professionalità, invece che in ordine sparso. Ecco alcuni dei temi al centro dei pensieri della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti - Fivi (www.fivi.it), raccontati a WineNews dalla presidente Matilde Poggi, e che saranno affrontanti nel Mercato dei Vignaioli Indipendenti (www.mercatodeivini.it), di scena il 30 novembre e 1 dicembre a Piacenza Expo. Dove si parlerà anche di “etichette” e di chiarezza sulle norme, visto “che l’80% delle sanzioni comminate nei controlli è proprio su questo tema”, spiega la Poggi; e dove gli appassionati potranno degustare e comprare più di 1.000 etichette prodotte dagli “artigiani della vigna”, aderenti ad un’associazione che mette insieme 750 vignaioli, con 7.000 ettari di vigna in tutta Italia e 55 milioni di bottiglie, per un fatturato stimato di 600 milioni di euro all’anno. “Noi siamo partiti da questo dossier burocrazia, partito dal basso - spiega Matilde Poggi - 2 anni mezzo fa ci siamo chiesti cosa potevamo fare per i vignaioli, e ci siamo resi conto che quello che pesa di più, che porta via più tempo è proprio la gestione di questa macchina burocratica, che ormai è spaventosa. Vuol dire che il vignaiolo debba passare 100 giornate all’anno solo per girare le carte, che vengano richiesti gli stessi documenti da più enti che potrebbero semplicemente mettersi in rete, ci sembra che basterebbe un po’ di buon senso per rendere velocemente le cose più semplici. È un problema di tutti gli operatori della filiera, grandi e piccoli, ma che sulle nostre aziende, che mediamente sono piccolissime e a gestione familiare, e che non hanno una struttura che possa gestire queste cose, pesa enormemente. Per i grandi produttori è un costo importante, per noi una zavorra. E abbiamo fatto anche proposte su come risolvere alcune cose, per esempio avere un codice unico del vino in cui siano unificate tutte le leggi e non diventare matti ed essere obbligati a rivolgersi ad un consulente che poi incide sul bilancio e sul costo finale delle bottiglie, con leggi poche, chiare e non da interpretare, perché poi l’interpretazione cambia anche da ente a ente, da istituzione ad istituzione, e questo non è giusto. E poi che ci sia un unico ente che fa i controlli, non 11 come ora. E se questo proprio non è possibile, che almeno quelli che esistono si mettano in rete, per evitare almeno che la stessa azienda sia controllata 2 volte da 2 enti nella stessa settimana da questi enti, che poi non hanno ambiti diversi, ma che tutti controllano tutto”.
Per il vino italiano sembra che la via obbligata per crescere sia quella dell’export? È così anche per le realtà più piccole?
“È una strada obbligata anche per le piccole aziende, anzi, soprattutto per le piccole aziende. È vero che ci sono Paesi difficili da raggiungere come l’Asia, molto onerosa e che richiede una struttura presente sul posto, e sono più adatti alle grandi aziende, ma ci sono mercati più facilmente raggiungibili, e capaci di dare buone risposte anche nel breve periodo come quelli europei, e di più facile gestione che se uno dovesse realizzare quello stesso fatturato in Italia: spalmato su più Regioni, più fatture, più clienti e difficoltà di pagamento, nonostante l’articolo 62, diventa più oneroso”.
A proposito di “articolo 62”, che oramai ha più di un anno di vita ed era pensato proprio per tutelare soprattutto i piccoli sui termini di pagamento. Che risultati ha avuto, ad oggi?
“All’inizio ha creato paura, per cui la gente ha detto “aspetto a comprare, compro pochissimo e proprio se ho bisogno, del prodotto”. Ora che è passato più di un anno ha dato risultati molto positivi soprattutto sulla gdo, che aveva tempi lunghi e che ora ha accorciato notevolmente. Anzi ci sono catene che addirittura hanno pagano anche a 45 giorni, sui 60 previsti dalla legge. Per il resto, ci sono situazioni in cui chi pagava già bene ha anticipato, e chi già pagava a lungo continua a farlo, anche perché non si sa chi fa i controlli, c’è meno paura, e a livello di piccoli ristoratori o enoteche sta tornando tutto come prima”.
La gdo, dunque, che ormai pesa per il 70% delle vendite di vino in Italia, e spesso dai piccoli produttori è vista quasi come un “nemico”, è invece un alleato?
“Secondo me veicola anche il 90% del vino italiano, e può essere un alleata anche per i piccoli, a patto che ci si presenti con un progetto. Non ci si può improvvisare, la gdo è una risorsa ma va affrontata con progetti credibili e da persone che ci sanno fare”.
Focus - Il Mercato, come luogo per scambiare esperienza
“Luogo, vigna, uomo. È su questo percorso obbligato che si muove chi produce vino, un percorso semplice solo in apparenza perché il viaggio, ogni volta, trova le opportunità e le complicazioni della cultura e di un valore simbolico che spesso coincide perfettamente con l’identità delle comunità. È questa è la ragione che spinge i vignaioli italiani a testimoniare la loro importanza e l’unicità del loro lavoro con un mercato che li vede arrivare a Piacenza da tutta Italia. I vignaioli sono gli artigiani del vino e oggi sentono il bisogno di raccontare direttamente cosa c'è dietro a quelle bottiglie. I sogni, i sacrifici, gli uomini, i fallimenti anche. Tutte le storie che rendono unico e credibile il loro lavoro. Non un semplice mercato, ma l’occasione di capire cosa significa vino artigianale e quanta lealtà serva a percorrere quel viaggio in tre tappe che dal luogo arriva all'uomo passando per il vino. Il mercato di Piacenza è una grande opportunità per conoscerli e comprare i vini dalle loro mani, per fare una esperienza che cambierà per sempre il rapporto con il vino, non più semplicemente buono o cattivo, ma testimone di stile e linguaggio”.
Giorgio Melandri, curatore del Mercato Fivi
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