Lei era una ragazzina castana, che faceva con Francoise Hardy e Catherine Spaak un trio in cui c’era ampia scelta per sognare. Il suo nome, Marie Laforet, non restò a lungo nelle classifiche di vendita, ma scolpito nei cuori di tutti quelli che, una quarantina d’anni fa, aspettavano fine settembre: «Quest’autunno noi faremo, sotto il cielo più sereno la vendemmia dell’amore», cantava infatti la francesina e, ognuno a modo suo, sperava di veder realizzate le promesse evocate dalla canzone. Magia della comunicazione dei sentimenti su vinile, esternati attraverso «mangiadischi», marca Lesa.
Il mondo del vino - Alpini a parte - ha dato parecchie ispirazioni a quello della pop music, dai «Cin-cin» di Johnny Halliday, alla contrapposizione tra «Barbera e Champagne» di Giorgio Gaber. Per chi ricorda la Milano non ancora da bere, ma che beveva, c’erano i «Trani a gogò» dello stesso Gaber o i Gufi - maghi del cabaret - che consigliavano: «E trinca, trinca, trinca, buttalo giù con una spinta...». Per i più raffinati altro «Champagne», ordinato al cameriere da Peppino di Capri, ben deciso a «brindare ad un incontro», mentre alla sua «Cara» Don Backy sussurrava: «alza il tuo bicchiere per me...».
Istigazioni al bere, operazioni subliminali di difesa corporativa propiziate da lobby enologiche? Macchè, era solo un parlare di cose vicine alla gente, visto che allora si consumava molto, ma molto, più vino di adesso. A prezzi e qualità, molto, ma molto, più bassi, naturalmente.
Fatto è che negli ultimi anni, nonostante il vino faccia tendenza, a parlare di bicchieri colmi e bottiglie propiziatrici di amore sono rimasti in pochi. «E la nonna diceva: sta attento, a settembre è sempre un incanto», canticchia Paolo Frola, accennando uno dei suoi motivi alla chitarra, per lasciare immaginare con ironia i rischi di una vendemmia dell’amore.
Lui, medico-cantante, fa parte di quella pattuglia di irriducibili aedi del vino e non potrebbe essere diversamente, visto che è nato e vive a Rocchetta Tanaro, provincia di Asti, una delle piccole grandi patrie del rinascimento del vino italiano. «Il mio paese non è una sorpresa, son dieci vigne sei case e una chiesa», canta Paolo, ma che paese: da una di quelle dieci vigne è partito il mito di Giacomo Bologna e in tutte le altre non si spreca un grappolo. Un paese i cui abitanti hanno avuto momenti difficili nei rapporti con chi vedeva solo le luci della città: «mi hai lasciato, maledetta, questa vigna ti era stretta», canta Frola ne «Il re del mosto».
Sì, perchè si fa presto a dire «bevi con me, segui il destino, che i baci son di vino», come aveva scritto Gino Veronelli, autore dei testi di «Barberosa» e che si può vivere in una casa che «è un bottone in collina, un casotto di sassi e calcina». Qualcuno voleva ben altro e non ha saputo aspettare i tempi in cui il vignaiolo è diventato davvero un re del mosto.
Storie di vita e «Versi di vini» - come recita il titolo di un suo cd - che Paolo Frola canta con la complicità di nomi come Bruno lauzi, Enrico Ruggeri, Oscar Prudente, Giorgio Conte. «Fai un buco nella pancia di mister turacciolo, tira forte che si sgancia la porta del sole», ha composto per lui Pallavicini, un sole di riserva sempre pronto per tutti quelli che seguono il ferreo principio: «qui l’acqua si beve soltanto se piove».
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