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UNA DRASTICA REVISIONE DEL SISTEMA DELLE DENOMINAZIONI PIEMONTESI PER FACILITARE I COMMERCI MONDIALI. IN PIEMONTE 66 DOC SONO TROPPE NE BASTANO 23: LO PROPONE IL COMITATO PER LA CELEBRAZIONE DEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA LEGGE DESANA

Il sistema delle denominazioni piemontesi deve essere profondamente revisionato, correggendo situazioni anacronistiche e incompatibili e soprattutto mettendo gli operatori del settore in condizione di utilizzare al meglio le comunicazioni commerciali. Così la pensa il Comitato per la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Legge Desana (legge 930 del 1963, che introduceva per la prima volta in Italia le denominazioni) i cui esperti hanno elaborato una proposta tecnica dettagliata, dove il sistema delle denominazioni piemontesi si articola su 4 tipi di denominazioni:
- le “premium”, cioè le denominazioni prevalentemente indirizzate all’esportazione (Asti, Barbaresco, Barolo, Gavi, Moscato d’Asti), tendenzialmente in crescita verso i 130 milioni annui di bottiglie; la proposta prevede che ai 5 vini se ne aggiunga un sesto (Barbera d’Asti, nella denominazione “Nizza”);
una fascia di 9 denominazioni, prevalentemente limitate alla diffusione nazionale (circa 165 milioni annui di bottiglie tendenzialmente in riduzione verso 150 milioni);
- le “terroir”, cioè quelle destinate ad un’area interregionale (35 denominazioni attuali per complessivi 5 milioni annui di bottiglie) che il Comitato propone di ricondurre all’unica doc Piemonte;
- un limitato numero di 7 denominazioni “speciali” (per un milione di bottiglie) considerate da collezione.
Dai 58 decreti istitutivi delle denominazioni piemontesi attuali, scaturiscono ben 66 diverse denominazioni in etichette (per giunta con tante altre sottodenominazioni e specificazioni), quindi, una massa esagerata di denominazioni, che il consumatore italiano e il mercato mondiale non potrà mai memorizzare nel suo complesso.
Il Comitato propone una drastica riduzione a sole 23 denominazioni: gli spumanti Asti e Alta Langa; i bianchi Gavi e Arneis; i rossi Barbaresco, Barbera d’Asti, Alba, Barolo, Carema, Gattinara, Ghemme, Ruchè di Castagnole Monferrato, inoltre le tre Piemonte, Langhe, Monferrato che possono essere sia bianchi che rossi; infine gli aromatici Brachetto d’Acqui, Caluso Passito, Loazzolo, Moscato d’Asti, Strevi.
D’ora in avanti, comincia la discussione, su questo progetto articolato e complesso, che, peraltro, ha già riscosso il sostanziale consenso di molti esponenti della produzione vinicola piemontese.

Focus - La legge Desana
Era l’estate del 1963 quando il senatore Paolo Desana fece passare una legge che cambiò radicalmente il vino italiano. Il 12 luglio 1963, con il Decreto del Presidente della Repubblica 930, il Senato italiano approvava la Legge di Tutela delle Denominazioni d’Origine dei Vini. Una legge storica, che segnava un vero e proprio cambio di paradigma. Fino agli anni ’50, infatti, il mercato conosceva quattro o cinque vini come più famosi e l’esportazione di vino italiano era praticamente a zero ed anche i vini più conosciuti erano privi di controlli sulla qualità. L’introduzione della 930 fu dirompente anche sul piano delle discussioni che scatenò la sua promulgazione. Storica la querelle dello stesso Desana con Gino Veronelli, che finì anche nelle aule di Tribunale. Veronelli riconosceva a Desana il merito di aver pensato a una legge di tutela ma gli attribuiva anche la responsabilità di non averla concepita a difesa delle piccole produzioni e della qualità. Luigi Veronelli contestava, tra l’altro, l’assenza di un catasto viticolo, la concessione di rese per ettaro mostruose, le classificazioni di zona troppo generiche, il non obbligo dell’indicazione dei cru.

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