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LO SCENARIO

Usa, se il dazio “scorre” in avanti e non si moltiplica lungo la filiera, effetti negativi contenuti

Analisi di Luca Castagnetti per WineNews: “una bottiglia da 4 dollari franco cantina può aumentare di 4 dollari, o solo di 0,8, se il trade collabora”
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Dazi, fondamentale la collaborazione del trade Usa per limitare gli effetti negativi

Tra chi non teme grandi impatti e chi si dice molto preoccupato, chi spera in un improvviso (ma ad oggi improbabile) dietrofront dell’imprevedibile Trump e chi teme addirittura un aggravio, tra chi guarda al solo impatto settoriale sul vino e chi mette in conto uno shock recessivo dell’intera economia mondiale, dei dazi Usa abbiamo già detto tanto (a partire dalla “road map” americana per l’entrata in vigore, e dalla risposta, ad oggi, decisa dall’Ue), e continueremo ovviamente a farlo, altro non fosse perché gli Stati Uniti sono il primo mercato del vino italiano in assoluto, con 1,9 miliardi di euro nel 2024, da cui dipendono in maniera importante le sorti di molte cantine e molti territori tricolore (e di cui, nei giorni di Vinitaly 2025 a Verona, abbiamo raccolto il sentiment). Ma c’è anche chi ha provato a fare i conti su cosa davvero succederà ai prezzi delle bottiglie sul mercato, secondo due scenari diversi, uno più favorevole al trade, e uno che andrebbe più incontro ai consumatori, partendo dal fatto che il “Three-Tier System”, che prevede la catena, obbligatoria, produttore-importatore-distributore-retail (con regole che cambiano anche da Stato a Stato, ndr), di fatto, vede il costo della bottiglia moltiplicarsi per 5 volte nel percorso dalla cantina italiana al consumatore americano. Come Luca Castagnetti, di Studio Impresa, specializzato in consulenza nell’internazionalizzazione delle imprese, secondo la cui lettura per WineNews, “il dazio deve “scorrere” in avanti e non moltiplicarsi”. Con un impatto dei dazi di una bottiglia che parte dall’Italia a 4 dollari e che oggi arriva allo scaffale a 20, dunque, che potrebbe essere importante, e quindi di altri 4 dollari aggiuntivi, arrivando a 24 al consumo, o di “solo” 0,8 centesimi, e quindi portando il prezzo a 20,8, se il trade americano (cosa non semplice e scontata), collaborerà.
“Per affrontare una delle più difficili crisi dei mercati causata da scelte di politica economica degli Stati Uniti è necessario sviluppare scenari aziendali verosimili che aiutino tutti a comprendere e rappresentare ciò che sta veramente accadendo: unica strada per prendere decisioni utili. Nei numerosi dialoghi avuti in questi giorni al Vinitaly con molti produttori e con i loro partner della distribuzione statunitense - spiega Castagnetti - regna una grande confusione. Ad alimentare questa difficile situazione concorrono anche l’incertezza causata dagli annunci di sospensione temporanea dei dazi subito smentiti dalla Casa Bianca, ma anche i tentativi più o meno consapevoli di minimizzare le difficoltà del momento da parte di alcune parti del sistema del vino italiano. I numeri ci aiutano a capire gli effetti dei dazi, le possibili conseguenze, ma anche i possibili rimedi ad una situazione che rischia altrimenti di diventare drammatica”. Oggi, spiega ancora Castagnetti, con il “Three-Tier System”, “la filiera di distribuzione appare come una grande matrice nelle cui righe si trovano le singole bottiglie ciascuna caratterizzata da un suo specifico prezzo base e nelle cui colonne si riportano dei prezzi frutto di una moltiplicazione”. E così, un vino che l’importatore paga 4 dollari a bottiglia dal produttore italiano, si moltiplica per 2 e viene venduto al distributore a 8 dollari, che lo vende poi al dettagliante a 13 dollari, che lo ricarica a sua volta al cliente finale a 20 euro, con un moltiplicatore complessivo, dunque, di 5 volte.
“Ora con l’introduzione di un dazio del 20% - spiega ancora Castagnetti - scatta una negoziazione tra le parti per definire cosa debba accadere nei diversi passaggi. Molti produttori ci dicono che i loro distributori non intendono facilmente modificare i loro margini e pertanto i moltiplicatori rimangono fissi. Si prospettano quindi due soluzioni. Una a favore dei margini della catena di distribuzione, con il dazio, quindi, che si moltiplica, nei vari passaggi, con l’importatore che, sull’ipotetica bottiglia paga 0,8 dollari in più, che diventano 4 in più per il consumatore finale, e quindi con la bottiglia che esce a 4 dollari e arriva allo scaffale a 24 dollari. La seconda soluzione, invece, è quella che vede il dazio “scorrere” in avanti, e viene pagato in ogni passaggio come cifra fissa, nel caso esempio 0,8 dollari, quindi 4,8 dollari da cantina a importatore, 8,8 dollari da importatore a distributore, 13,8 dollari da distributore a dettagliante, 20,8 dollari al cliente finale”, spiega Castagnetti. Che aggiunge: “è facile comprendere come nel primo caso la catena distributiva generi un ulteriore costo di 3,2 dollari a bottiglia necessario a mantenere inalterato il margine percentuale ad ogni passaggio, mentre nel secondo caso rimanga inalterato il margine assoluto per ogni bottiglia venduta in ciascun passaggio. L’effetto del primo caso è una sicura importante contrazione del numero delle bottiglie vendute a causa del prezzo troppo elevato - sottolinea Castagnetti - che però permette ai vari attori della distribuzione di mantenere i loro margini garantiti dall’incremento del 20% della base imponibile ad ogni passaggio. L’effetto del secondo caso è una piccola contrazione del numero delle bottiglie vendute in quanto il prezzo finale al consumatore, nel nostro caso, aumenta solo del 5%. Con qualche promozione o iniziativa di marketing supportata da tutte le parti in gioco, sarebbe facile ridurre ulteriormente l’impatto sul consumatore finale e in questo modo il mantenimento del numero delle bottiglie vendute garantirebbe ai singoli attori del sistema distributivo lo stesso utile in valore assoluto rispetto alla situazione ante-dazio e ai produttori di vino il mantenimento delle quantità solitamente importate”. Dalla teoria alla pratica, però, il passo non è breve, e bisognerebbe convincere i partner americani a sposare il motto, appunto, “il dazio scorre in avanti e non si moltiplica”.
“I vini italiani e francesi che rappresentano oltre il 60% dei vini importati in Usa, difficilmente possono essere sostituiti da vini provenienti da Paesi con dazi inferiori o assenti, o dalla produzione interna Usa, e pertanto - spiega Castagnetti - se ne diminuirà la quantità acquistata. La situazione di incremento di prezzo illustrata per il prodotto vino può caratterizzare anche molti altri settori e la perdita di potere di acquisto dei consumatori americani potrebbe innescare una recessione economica che indebolirebbe ulteriormente i mercati e di conseguenza agirebbe come ulteriore riduzione del potere di acquisto dei consumatori non più solo americani. Le perdite registrate in questi giorni nei listini azionari delle borse statunitensi e mondiali vanno ulteriormente ad aggravare questa situazione di potenziale crisi recessiva. I partner della distribuzione Usa devono comprendere che lo scenario “recessione” è un rischio ben maggiore di una possibile e temporanea perdita di marginalità e che accanto a queste crisi congiunturali esistono anche delle gigantesche sfide strutturali da affrontare insieme. Ne sono un esempio i consumi e i nuovi stili di vita, portati avanti già da tempo dalle generazioni più giovani, ma che solo oggi si fanno maledettamente sentire. Sono queste le vere sfide nel lungo periodo e poterle gestire e superare richiede un sistema che collabori sempre in una logica di win-win”, conclude Castagnetti.

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