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“VERSATILITÀ”, È LA CHIAVE PER INTERPRETARE GLI SCENARI FUTURI DEL VINO, COME LO È STATO “TERRITORIO” NEGLI ULTIMI ANNI? NE HANNO DISCUSSO ESPERTI NEL “FOCUS GROUP” DI SCENA A CONTADI CASTALDI. LA COMUNICAZIONE DI WINENEWS

Italia
Per il suo futuro il vino deve essere anche ... giovane e versatile

Difficile, in un mondo poco incline al cambiamento “rapido” come quello del vino, lasciare qualcosa di sicuro, come il concetto di “territorio”, che ha guidato il settore (nella produzione, nel consumo e nella comunicazione) negli ultimi 20 anni, per trovare nuove categorie di pensiero con cui analizzare e intercettare gli scenari futuri del vino stesso. Difficile, ma doveroso se si vuol giocare d’anticipo e ridare slancio ad un settore che vede i consumi interni in costante calo, in parte compensati da un export che invece da segnali positivi, e che in ogni caso vuol dire reddito, occupazione, mantenimento dei territori. E allora bisogna provarci, come si è cercato di fare nel “focus group” di scena nella cantina di Franciacorta del gruppo Terra Moretti, Contadi Castaldi, “La Versatilità difficile a farsi”, dove, sotto la regia di Giacomo Mojoli, “eno-filosofo” e docente del Politecnico di Milano hanno comunicato diversi attori del settore, dagli osti ai giornalisti, tra cui WineNews. Un appuntamento che è il secondo momento di riflessione di scena in Contadi Castaldi, su “versatilità” come parola chiave per decifrare gli scenari futuri dell’enogastronomia.
Versatilità, per esempio, che, per Giorgio Melandri, giornalista del “Gambero Rosso”, vuol dire raccontare il vino individuando sempre “temi più specializzati e diversi, come quello dei vini naturali, per esempio, di cui si parla molto adesso. I “mediatori culturali” del vino, infatti, sono sempre più in crisi, come figura, tanto più restano generici”, ha spiegato Melandri.
Per Piero Alciati, coordinatore dei ristoranti di Eataly, il food concept store ideato da Oscar Farinetti, “versatilità” vuol dire utilizzare la “rete”, sia come strumento tecnologico (internet, telefonini, social network) che, come concetto, non solo per coinvolgere sempre più persone nella scoperta dei sapori e dei vini di qualità, “ma anche per guardare avanti, intercettare le nuove tendenze del consumo”.
“Versatilità è l’opposto dell’omologazione”, rilancia Mauro Lorenzon, eclettico personaggio del mondo del vino, presidente del circuito “Enoiteche”, produttore di vino, macellaio ma, soprattutto, oste. “I disciplinari delle Doc, Docg e Igt, per esempio, sono omologanti, perché per stare dentro a certi parametri i vini di una denominazione rischiano di assomigliarsi tutti. Ma anche affidarsi alle guide, ai critici, ai “mediatori culturali” per fare le carte dei vini è omologante: i vini per i propri clienti li deve saper selezionare l’oste, che deve conoscere bene il vino”.
Versatilità è anche creare momenti diversi e con finalità diverse nei luoghi del vino, come avviene alla “Banca del vino” di Pollenzo, ideata da Slow Food per “far rimanere traccia di grandi vini nel tempo - ha spiegato Paolo Camozzi - e valorizzarne le capacità di invecchiamento, cosa spesso difficile da fare nei locali o nelle cantine di casa, ma dove, da qualche anno, si è aperto al pubblico nell’ottica di fare educazione al vino, con corsi e degustazioni in cui sono coinvolte sempre di più anche le aziende”.
Ma versatilità, secondo Federico Pizzinelli di WineNews, vuol dire anche aprire sempre di più a un linguaggio diverso da quello specialistico e tecnico, che pur ha aiutato in passato il vino ad essere considerato non più mera bevanda ma anche prodotto culturale, un linguaggio che, senza banalizzare, non sia rivolto solo agli appassionati del vino, ma anche all’uomo qualunque, dove va bene “degustazione”, ma anche “bevuta”. Vuol dire aprire sempre di più a modalità di consumo differente, anche per i vini di qualità, come mezze bottiglie, vino al bicchiere, “wine sharing”, ma anche portare vini importanti nei luoghi di consumo dei giovani, per esempio “spacciandoli”, insieme ad altri prodotti di qualità del food d’Italia, nei variegati luoghi di aggregazione e del divertimento giovanile”.
Un percorso difficile, quello di analizzare gli scenari futuri del vino con la lente di “versatilità”, quando molti degli operatori (enotecari, ristoratori, produttori), non riescono a vedere oltre al pur fondamentale e importante concetto di territorio, che però, oggi, è più un prerequisito che una chiave di lettura innovativa.
“Ma oggi non eravamo qui per dare risposte, quanto per creare una rete di persone che riflettono, che si interrogano e cercano di capire cosa fare nei prossimi 25 anni per il vino - ha spiegato Giacomo Mojoli - per stimolare un’analisi che deve essere continua e deve trovare nuove chiavi di lettura”.

Focus - La “versatilità” nel vino … secondo WineNews
Se “versatilità” sarà una delle parole chiave del vino del futuro, come lo è stata negli ultimi 20 anni “territorio”, allora bisogna cercare di capire cosa vuol dire, per il vino, essere versatile, ovvero avere la capacità di ottenere risultati positivi in diversi modi e contesti.
Primo passo: il vino, in generale, per incarnare la “versatilità”, deve affrancarsi da quei riti e da quei linguaggi complessi e tecnicistici che sicuramente, in passato, ne hanno aiutato il cammino di evoluzione da mera bevanda a prodotto culturale, ma che ora, con una società e una socialità in continua metamorfosi, rischiano di fargli addirittura danno, contribuendo ad allontanarlo dalla quotidianità. Il che non vuol dire buttare via il bambino e l’acqua sporca, ma intercettare le nuove esigenze del consumatore, sia in Italia che all’estero, e trovare linguaggi che non scadano nel banale, ma che siano più vicini all’uomo qualunque, e non accessibili solo agli esperti e agli appassionati, dove va bene “degustazione”, ma anche “bevuta”.
Anche, se non soprattutto, attraverso le nuove tecnologie e il web.
Linguaggi che raccontino fondamentalmente gli aspetti che le persone legano direttamente al vino, e che cercano nel berlo: salubrità, piacere, socialità e sapere.
Quindi, bene che rimangano momenti in cui si fa cultura del vino, specializzazione, approfondimento, anche perché una fetta dei consumatori è effettivamente interessata a saperne di più su quello che beve e su dove e da chi viene prodotto, e che rimanga la distinzione tra un vino grandissimo, magari da collezione e veramente da stappare in momenti unici e irripetibili anche con una certa ritualità, ed un vino comunque buono o ottimo ma a cui avere un approccio più “friendly”, da utilizzare in diverse occasioni, magari anche nella quotidianità di un pasto.
Ma potrebbe essere un bene anche se il vino, anche quello di qualità, per esempio, inventasse o riscoprisse una diversa “ritualità” che guardi soprattutto a una maggiore semplicità di narrazione e consumo, non solo alla conoscenza ma anche al divertimento che è insito nel vino, ritornando, chiaramente non con i vini top, ma con vini, comunque, interessanti e di buona qualità, vini che potremo definire “pret a porter”, nei bicchieri da osteria, nelle sagre, nei luoghi di consumo dei giovani. Anche, perché no, nelle discoteche o nei variegati luoghi di aggregazione e del divertimento giovanile, dove “spacciandolo”, in senso positivo, magari in abbinamento con altri prodotti di qualità del cibo italiano, potrebbe anche giocare un ruolo fondamentale di contrasto all’abuso di superalcolici e contribuire a smarcare il prodotto dal dannoso binomio con l’alcol tout court, visto che di prodotto alcolico, certamente, si tratta, ma di un tipo di alcol diverso per valori, cultura e storia.
Ben vengano, allora, etichette di buona o anche ottima qualità nelle mezze bottiglie, che vanno incontro alle agli stili di vita (più attenti alla salute e alle calorie, per esempio), ai controlli sulle strade, ma anche al portafoglio; ben venga il “wine sharing”, ovvero la condivisione di bottiglie più o meno importanti tra tavoli diversi nei locali che alcuni stanno riscoprendo; ben venga la diffusione del vino al bicchiere in ristoranti, enoteche e wine bar, che però va gestita in termini di qualità, ovvero offrendo una selezione di prodotti ragionata e non “la bottiglia avanzata”, anche perché la tecnologia lo permette, e penso alle macchine di Enomatic e simili per la mescita che tutti conoscerete, e ricaricando il giusto. Ben venga, ancora, l’offrire ai clienti di un ristorante la possibilità di portarsi le bottiglie da casa, magari facendo pagare qualcosa per il servizio, o l’opportunità di portarsi via la bottiglia non del tutto consumata.
Ma, essere versatile, per il vino, vuol dire anche porre una rinnovata attenzione al consumo domestico, visto che quello “fuori casa”, sia per via dei controlli sulle strade che di una stretta economica che costringe i consumatori a ottimizzare le risorse, nel 2010 è sceso del 14%. Quindi, versatilità, non ce ne vogliano i titolari di ristoranti, enoteche e winebar, vuol dire cominciare a pensare a diversi canali di distribuzione anche per i vini di altissimo livello, ancora difficili da trovare, per esempio, nella Gdo, che vende ormai il 65% del vino in Italia.
Versatilità, per il vino, può anche voler dire innovazione di prodotto: senza abbandonare o dimenticare la tradizione, che pur sarà sempre un riferimento importante per produrre e narrare il vino italiano, perché non aprire di più a sperimentazioni di coltivazione dell’uva, che possono diventare anche momenti di comunicazione rivolti ad un pubblico più ampio, e non solo agli appassionati di vino, sempre più sensibile a temi come la tecnologia applicata al rispetto delle ambiente; e così vale per le pratiche di cantina, per l’innovazione di prodotto, dal vino stesso ma anche nel packaging e nei materiali utilizzati per tappi e contenitori secondo quello che certamente vuole la cantina, ma anche secondo quello che chiedono i mercati d’Italia e del mondo.
Anche perché se i consumi interni, per esempio, come sostengono alcuni, sono scesi a 40 litri procapite, è forse il caso di riflettere se il calo sia tutto dovuto alla congiuntura economica, all’etilometro, al fatto che un pasto, quello di mezzogiorno, è praticamente saltato nella sua forma tradizionale, o se anche il prodotto vino, che nel complesso è certamente cresciuto in qualità, non sia andato in una direzione diversa da quella che avrebbero voluto i consumatori.
E in questo le bollicine forse posso essere d’esempio: unica tipologia che vede aumentare sensibilmente i consumi sia interni che all’estero (dati recenti parlano di un +21% all’export nei primi 8 mesi 2010), con prodotti dai gusti sempre più identificabili ma eterogenei, hanno saputo aprirsi spazi di consumo nuovi, non più legati alla celebrazione o alle festività di fine anno, diventando sempre più protagoniste dell’aperitivo come del pasto completo, tanto nei locali che nel consumo domestico.
Versatilità, ancora, può voler dire anche aprirsi a conoscere e comprendere il mondo, e non pretendere che il mondo debba per forza conoscere e comprendere noi: se nei mercati asiatici, per esempio, si capisce che i consumatori, abituati a certi tipi di cucina diversissimi dal nostro, ma non per questo meno “degni”, vogliono certi tipi di vino, magari più dolciastri, per esempio, non ostiniamoci a voler imporre per forza certi vini in Paesi in cui, magari, il consumatore nuovo, quella “middle class” emergente che promette grandi possibilità di sviluppo, non riesce a leggere neanche l’etichetta.
Insomma, versatilità per il vino di domani vuol dire riappropriarsi di alcune categorie del suo passato, ovvero la quotidianità, la semplicità di consumo e la complementarietà al cibo di ogni giorno, che in crescendo di valore e protagonismo ha forse un po’ smarrito, ma, senza rinunciare alle sue complessità di produzione e di narrazione rivolte a un pubblico non sempre preparatissimo e grandissimo, colga, con semplicità e disponibilità a capire quelle che sono le nuove opportunità offerte dai mercati del mondo, andando a sbarcare in quei luoghi di consumo che forse, fino ad oggi, ha guardato con una, forse inconsapevole, vena di snobbismo.
Federico Pizzinelli

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