E se scomponessimo e poi ricomponessimo un vino per “adeguarlo” alle esigenze dettate dal mercato? L’idea, a prima vista potrebbe sembrare poco più che una boutade, ma, in realtà, non è per nulla peregrina. Almeno stando alle indicazioni provenienti dalle nuove frontiere della scienza applicata all’enologia, specialmente di scuola anglo-sassone, indicate dal dottor Ulrich Fischer, facente parte del gruppo di esperti di tecnologie del vino dell’International organisation of Vine and Wine (Oiv) e capo del dipartimento di viticoltura ed enologia del centro Ricerca Dlr Rheinpflaz in Germania.
Abbandonata l’”aggressività” degli interventi chimici in fase di produzione, le nuove tecnologie enologiche basano la loro efficacia soprattutto su alcuni principi della fisica (pressione sottovuoto, temperatura, campi elettrici), modificando sempre più intimamente gli elementi costitutivi del vino. Figlie di queste tecnologie, macchine ormai note e dagli effetti consolidati quali concentratore, osmosi inversa, elettrodialisi, ultrafiltrazione-nanofiltrazione.
Per ora, tali “marchingegni” si limitano a concentrare o a stabilizzare il vino, ad “eliminare” o ad “aggiustare” molti fra gli elementi che lo costituiscono (acidità volatile in eccesso, fenoli volatili - sostanze responsabili di sgradevolissimi aromi-, pH troppo alti ...).
Ma, in realtà, queste tecnologie contengono nel loro “dna”, per così dire, un potenziale di sviluppo e di utilizzo ben più consistente, in grado di arrivare al completo frazionamento della sostanza sottoposta al loro trattamento.
Solo per fare un esempio, la de-alcolizzazione del vino, ottenuta attraverso la tecnica della distillazione sottovuoto (in uso in Australia dal 1985), produce come “effetto collaterale”, prima dell’eliminazione della carica alcolica in esubero, anche l’estrazione delle sostanze volatili aromatiche (i profumi del vino). Opportunamente raccolte, queste sostanze volatili, vengono successive aggiunte al vino originario, ma dalla carica alcolica ridotta.
Insomma, il completo frazionamento del vino è più vicino di quanto possiamo immaginare e in Australia, oggi forse la vera patria dell’enologia mondiale, pare che la ricerca enologica sia concentrata soprattutto in questa direzione, anche con l’ausilio di nuove tecniche. La cromatografia in controcorrente, per esempio, sviluppo della classica tecnica della cromatografia usata in laboratorio per analizzare in dettaglio gli elementi di un composto, potrebbe diventare una tecnica produttiva e permettere la separazione mirata dei composti del vino, a disposizione di una successiva elaborazione “pezzo dopo pezzo”, con l’inevitabile conseguenza della riduzione dell’uva a mero “ingrediente”.
Se il futuro sarà rappresentato dalle tecniche di frazionamento, diventerà sempre più difficile considerare tali tecnologie come un semplice progresso dell’enologia classica, e dovremo abituarci piuttosto ad avere a che fare con un vero e proprio nuovo concetto di enologia, secondo il quale fare il vino è semplicemente un processo che produce un risultato adeguato alle richieste dei consumatori e alle esigenze di mercato.
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