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VINITALY 2008 - “LA PRODUZIONE DI GRANDI VINI DI QUALITA’ SI STA ESPANDENDO IN TUTTI I CONTINENTI, E LA FAMA STORICA DI FRANCESI E ITALIANI NON SARA’ PIÚ SUFFICIENTE A GARANTIRE IL LORO PREDOMINIO”: COSI’ IL FAMOSO CRITICO FRANCESE THIERRY DESSEAUVE

“La produzione di vini di qualità continuerà ad espandersi in tutti i continenti, e la fama storica dei cru francesi, italiani o europei non sarà sufficiente, da sola, a garantire nessun predominio. Si tratta di un processo irreversibile”. lo afferma il famoso critico enologico francese Thierry Desseauve, ospite d’onore, insieme al celebre wine writer Hugh Johnson, nel convegno “Il vino nel mercato globale”, promosso da Confagricoltura, la più importante organizzazione delle imprenditori agricoli, con la partecipazione di Federico Castellucci, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv), del presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni e del Ministro per le Politiche Agricole Paolo De Castro.
Thierry Desseauve ha posto anche l’accento sulla doppia mondializzazione del vino, sia dal punto di vista del consumo che da quello della produzione. Ciò ha comportato l’arrivo di una nuova generazione di “bevitori”, in arrivo da Paesi senza tradizione vinicola, che apprezzano vini giovani, semplici e sempre uguali a se stessi. Ma poiché la diffusione del sapere non conosce frontiere, anche la produzione di vini di qualità si sta diffondendo, e la concorrenza diventa mondiale. Ecco perché i giornalisti del vino, ha sottolineato Desseauve, hanno ormai un campo di indagine planetario.
“La principale evoluzione del settore viticolo - ha affermato Desseauve - da quaranta anni a questa parte è consistita in una vera e propria mondializzazione del vino, sia della sua produzione che del suo consumo. Alla crescita dei vitigni non appartenenti al creuset dell’Europa occidentale nella produzione dei vini di grande qualità, ha risposto un interesse sempre più sostenuto dei consumatori americani, asiatici o dell’Europa dell’Est per quegli stessi vini di qualità originari dell’Europa o del Nuovo Mondo. Questa doppia mondializzazione modifica profondamente il modo in cui noi europei concepiamo i vini di qualità. Ed ha creato le premesse di una nuova economia di questi prodotti. Il vino di qualità deve la sua esistenza alla congiunzione di fattori naturali favorevoli ed alla capacità dell’uomo di comprendere tali fattori. E’ evidente che la geologia e la climatologia del pianeta sono simmetriche e che, nei due emisferi, si possono trovare i suoli, le esposizioni ed i microclimi che permettono alla vigna di produrre dei grappoli capaci di far ottenere del buon vino. Si sa da lungo tempo, e i più recenti risultati scientifici lo confermano, che la vigna ama i terreni poveri, composti da antiche rocce granitiche o vulcaniche degradate dall’erosione, da depositi morenici legati alla glaciazione, da ghiaia depositata dai fiumi o ancor dai sedimenti calcarei nelle zone ricoperte dagli oceani durante il secondario o il terziario. Ci si è anche resi conto da tempo della necessità di una buona alimentazione idrica della vigna e si sono privilegiati i suoli argillosi capaci di trattenere l’acqua o le colline che beneficiano, grazie a numerose sorgenti, d’una circolazione sotterranea sufficiente a compensare la siccità estiva. Si è infine presto compreso che i microclimi dove la latitudine, l’esposizione o l’effetto tampone di una massa idrica (fiume, lago o costa del mare) garantiscono un ciclo vegetativo lento e regolare, danno uve più profumate, più equilibrate in acidità naturale e dunque dei vini più raffinati.
La maggior parte dei “nuovi vitigni” che hanno acquisito una fama solo di recente, rispondono a tutti questi criteri e ogni nuova generazione si affina sempre più la loro delimitazione. In Argentina, ad esempio, si cercano terre più temperate in altezza, sempre più spesso oltre i mille metri, In Nuova Zelanda come in Australia, si parte alla scoperta delle zone più calcaree (Central Otago) o più temperate (Tasmania) per un migliore adattamento delle varietà di uve più difficili e più capricciose come il Pinot Nero. Sulla costa occidentale americana, per i medesimi motivi, si è sviluppato a Nord della California, negli Stati dell’Oregon e di Washington, un vitigno più artigianale, i cui vini seducono sempre più gli appassionati esigenti e che potrebbero presto divenire quelli in assoluto più ricercati. Beninteso, tutti questi sforzi saranno vani se le pratiche viticole ed enologiche non risponderanno alla medesima esigenza e non si continueranno a perfezionare i grandi progressi che hanno determinato la primazìa dei vini europei. Questi si sono da subito distinti per il loro potenziale di conservazione, legato all’invenzione della bottiglia in vetro, alla sua chiusura con il sughero ed a talune rivoluzioni enologiche che hanno saputo fissare i coloranti ed i tannini dei vini rossi, i profumi dei vini bianchi, con l’utilizzo intelligente dello zolfo ed un sapiente equilibrio tra riduzione ed ossidazione nella vinificazione e nell’elevaggio.
Le fermentazioni - ha proseguito Desseauve - sempre più lunghe ed a temperature sempre più controllate dei vini rossi, l’élevage dei bianchi sulle fecce in piccoli volumi, non poteva a lungo rimanere il monopolio del savoir faire di una nazione, perché la diffusione del sapere non conosce affatto frontiere. Ormai lo sappiamo, e questo processo sarà irreversibile, la produzione di vini di qualità continuerà ad espandersi in tutti i continenti, e la fama storica dei crus francesi, italiani o europei, non sarà sufficiente, da sola, a garantire nessun predominio. Noi giornalisti del vino abbiamo ormai un campo di indagine planetario. Mentre si mondializzava la produzione, si affermava parallelamente anche una mondializzazione del gusto. Noi assistiamo oggi ad un vasto fenomeno di globalizzazione del suo immaginario e dei suoi comportamenti, prodotto dalla forza di un’informazione sempre più rapida e centralizzata. Noi, giornalisti e critici dei vini, siamo al centro di tale processo di informazione e dobbiamo, per questo, essere ogni giorno più coscienti delle nostre responsabilità e migliorare le nostre procedure di indagine e le nostre metodologie di degustazione e di selezione.
Ma con l’arrivo di una nuova generazione di “bevitori” nei Paesi senza tradizione vitivinicola, il rapporto con il vino cambia natura. Non si entra più in un universo normato del quale occorre apprendere le regole per diventare un “intenditore”, ma si lascia libero corso ai propri gusti naturali: i vini sono bevuti più giovani e si vuole essere immediatamente sedotti da aromi facilmente memorizzabili e, soprattutto, costanti un’annata dopo l’altra, all’opposto dei vini complessi ed infinitamente variabili della vecchia scuola europea. Poiché si beve sempre meno spesso, si vuole essere rimanere soprattutto impressionati, cosa che comporta una corsa all’aumento del colore, del corpo e dell’alcool, favoriti oltretutto, dal riscaldamento climatico del pianeta, verificatosi negli ultimi anni. Un vino che risponde a questi criteri, ha tutte le possibilità di piacere alla maggior parte delle persone e di conseguire tanti successi commerciali. Alcuni produttori di grandi terroir europei hanno intuito questa evoluzione di una parte non trascurabile del consumo dei loro vini e hanno risposto con vini di un’abbondanza immediatamente accessibile: più rotondità, più fruttato, più “legno”, più sapori semplici e diretti si associano a nomi conosciuti dai più. A questa evoluzione del gusto, si è abbinata un’evoluzione economica. Il mercato del vino si è segmentato, ogni grande regione od ogni grande produttore, ha cercato di posizionare una parte della propria produzione a livello dei vini “icone”, avvicinandosi o superando il centinaio di euro o di dollari per bottiglia. Eppure questa evoluzione, non può costituire che un primo approccio: man mano che si sviluppano i gusti dei consumatori internazionali, si delineano i veri elementi che contribuiscono al successo di un prodotto di lusso. A livello del gusto, ma anche dell’immagine e della disponibilità, si caratterizzano tutti per l’estrema ricerca di personalizzazione dello stile, la capacità di rafforzare il marchio e il suo immaginario, la coerenza delle modalità di comunicazione - o di non comunicazione - i notevoli investimenti ed il forte potenziale di creazione del valore. A questo riguardo, chiarisce la situazione l’esempio dei grandi crus di Bordeaux 2005. Si è molto discusso di un aumento enorme dei prezzi, dimenticando spesso di segnalare la cosa più importante. Lo scarto dei prezzi tra i vini pregiati più celebri (premiers e Petrus)e quelli immediatamente seguenti, non era mai stato così grande.
Si va allora, ineludibilmente - ha continuato Desseauve - verso un’economia del lusso applicata ai vini? Riassumiamo: la capacità di produrre grandi vini se non dappertutto almeno in numerosi luoghi del pianeta, l’ampliamento mondiale del mercato dei grandi acquirenti, un’immagine più glamour ed un consumo ormai slegato da un contesto di abitudini e di usi locali, sono tutti elementi a sostegno di questa tendenza. Mancano, nondimeno, ancora due elementi fondamentali: operatori di dimensioni e competenze adeguate alla posta in gioco, così come un’organizzazione della produzione che razionalizzi e faccia convergere il know how verso il medesimo obiettivo. Nella maggior parte delle regioni vitivinicole europee, la estrema frammentazione della produzione, la complessità della regolamentazione e i tanti particolarismi locali, ostacolano questa tendenza. Nel Nuovo Mondo si deve constatare che gli attori più forti della filiera sono interessati ai problemi del mercato di massa piuttosto che a quelli del mercato del lusso come dimostra l’insuccesso della strategia di Mondavi. In ogni modo, ci si deve dispiacere del fatto che tale evoluzione del mercato sia ancora del tutto ipotetica? Io lascerei a ciascuno il compito di trarre le proprie conclusioni e riflessioni, ma mi piace terminare con un’osservazione. Una sola economia vitivinicola si avvicina a tutti questi diversi parametri: quella dello Champagne. Alcuni operatori capaci ed in grado di padroneggiare le tecniche del marketing dei beni di lusso, sono accanto a dei veri e propri artigiani, migliaia di piccoli produttori coltivano con cura e precisione delle viti talvolta per il proprio utilizzo personale ma, più spesso, per vendere materia prima a questi operatori; grandi e piccoli marchi rivaleggiano con ingegnosità per presentare un’offerta di prodotti chiaramente individuabili e firmati; gli investimenti in promozione sono infine importanti e specifici per ciascuna marca, cosa che, paradossalmente, rende ben più omogeneo il messaggio - perché chiaramente orientato verso il lusso - su tutta la comunicazione collettiva normalmente praticata dalle altre marche meno importanti. Tale orientamento – ha concluso Desseauve - non ha fatto perdere allo Champagne né la sua anima né il suo carattere fondamentalmente “terriero”. Al contrario; i vini sono prodotti con maggiore precisione di una volta e non sono mai stati così buoni”.

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