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Vinitaly 2016 - Analisi Winenews: nell’ultimo mezzo secolo, l’incremento di valore di un ettaro di vigneto a Brunello è del 2.474%, ad Amarone del 1.357%, a Barbaresco del 257%, a Barolo del 206% e a Chianti Classico del 129%

Italia
I territori del vino italiano che hanno incrementato di più il loro valore

Nell’ultimo mezzo secolo, l’incremento di valore di un ettaro di vigneto a Brunello è del 2.474%, quello dell’Amarone del 1.357%, del Barbaresco del 257%, del Barolo del 206% e quello del Chianti Classico del 129%. Ecco, secondo un’analisi di www.winenews.it, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, l’eccezionale rivalutazione delle più importanti denominazione italiane a 50 anni dal loro riconoscimento, e dalla nascita di Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore (Verona, 10-13 aprile; www.vinitaly.com). Dagli anni Sessanta ad oggi, la crescita in valore dei vigneti di questi terroir è stata di 25 volte per il Brunello, di 14 volte e mezzo per l’Amarone, di 3 volte e mezzo per il Barbaresco, di 3 volte per il Barolo e di 2 volte per il Chianti Classico. Nel 1966 un ettaro di terreno vitato e/o vitabile (fabbricati annessi) di Brunello di Montalcino valeva 1,8 milioni di vecchie lire, pari a 15.537,15 euro attuali (cifra ottenuta con il calcolo dei coefficienti Istat per l’attualizzazione dei valori), ed oggi vale 400.000 euro. Alle stesse condizioni, un ettaro di vigneto di Amarone della Valpolicella valeva 3,5 milioni di lire, pari a 34.320,89 euro, ed oggi vale 500.000 euro; un ettaro di vigneto a Barbaresco valeva 10 milioni di lire, pari a 98.059,67 euro, ed oggi vale 350.000 euro; un ettaro di Barolo valeva 15 milioni di lire, pari a 147.089,51 euro, ed oggi vale 400.000 euro; un ettaro di Chianti Classico valeva 8 milioni di lire, pari a 78.447,74 euro, ed oggi vale 180.000 euro.
Guardando alla sola classifica che emerge dall’analisi WineNews non si coglierebbe però il vero senso di questi valori, al di là della confortante crescita diffusa, evidentemente quasi scontata, anche considerando l’incidenza del costo della vita e l’introduzione dell’Euro. Cinquant’anni fa lo stato del vino italiano era molto diverso da quello attuale e la sua svolta definitiva è decisamente avvenuta in tempi più recenti. Si pensi, solo per fare un esempio, che non esistevano i diritti d’impianto e che, ed è questo l’elemento più macroscopico, la storicizzazione di quasi tutte queste denominazioni era sostanzialmente “debole”, ad eccezione di Barolo e Barbaresco e del Chianti Classico (che ha dovuto confrontarsi di contro con una serie di criticità che nel corso del tempo non hanno permesso una più importante capitalizzazione di un nome storico e ben conosciuto anche fuori d’Italia), con il Brunello praticamente sconosciuto, e l’Amarone più o meno nelle stesse condizioni.
Ecco allora che i numeri dell’analisi WineNews vanno letti sotto un’altra luce, nel senso che le denominazioni più storicizzate hanno saputo, nel loro complesso, ritagliarsi una posizione di rilievo con gradualità nel corso del tempo, giocando, appunto, sul loro valore aggiunto pregresso, mentre nei casi del Brunello e dell’Amarone il processo di valorizzazione, quasi tutto da collocare nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, è stato più concentrato nel tempo e di dimensioni più macroscopiche anche se intriso fin dall’inizio da un substrato storico concreto. Un dato però resta chiaro: sono queste denominazioni che hanno saputo, pur con vicende diverse, valorizzare il loro patrimonio storico che risiedeva nei loro vigneti e che ha finito con l’emergere, nel caso delle valorizzazioni più recenti, accanto ai successi di vendita. Altre denominazioni hanno fatto registrare impennate di valore di assoluto rilievo, ma nel recentissimo passato.
Si tratta dunque di un processo di valorizzazione dalla chiara non omogeneità in quanto ha interessato territori diversi e variegati e dove le vicende storiche del mondo del vino italiano hanno segnato profondamente questo processo, amplificando la valorizzazione di una zona piuttosto che un’altra. Un trend che comunque ha generato valori importanti, che sottolineano un tasso di crescita notevole, a conferma del ruolo di primaria grandezza del Vigneto Italia. Da quando, il primo novembre 1966 entrarono in vigore i disciplinari delle prime quattro Doc italiane, le denominazioni che, al di là dei dibattiti sempre aperti e con le “imperfezioni” che continuano a persistere, di fatto, disegnarono la geografia enoica italiana, consegnando, in prima battuta, ai Consorzi di tutela la possibilità di stabilire la classificazione dei vini italiani.

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