Nonostante una flessione dei volumi consegnati oltre confine lo scorso anno (21 milioni di ettolitri di vino, pari all’8,8% in meno rispetto al 2011), nel 2012 l’Italia ha mantenuto salda la sua leadership come primo fornitore mondiale di vino in termini quantitativi, e lo scorso anno ha messo a segno un nuovo record di fatturato (4,7 miliardi di euro in aumento del 6,5% sul già ottimo 2011). Merito anche dei principali mercati di sbocco, i cosiddetti “Big spender”, restano Usa, Germania e Inghilterra, ma sullo scenario internazionale si stanno affermando anche Cina e Russia, oltre a una variegato gruppo di Paesi, come quelli dell’Europa dell’Est, dell’America Latina o il cosiddetto far east asiatico, dove i volumi di importazioni di vino non sono ancora altissimi ma che possono essere facilmente alla portata dell’Italia. E’ il quadro emerso a Vinitaly da un’analisi Ismea presentata nel corso di un seminario dal titolo “Vino: big spender e mercati emergenti, andamento della domanda e posizionamento dell’Italia rispetto ai competitor”. Il seminario, partendo dall’analisi della dinamica del commercio internazionale di vino degli ultimi anni, fotografa l’evoluzione delle quote di mercato italiane e dei suoi principali concorrenti nei tradizionali Paesi acquirenti (Stati Uniti, Regno Unito e Germania), nei mercati in fase di consolidamento (Cina e Russia) ed in quelli che, attualmente, esprimono le maggiori potenzialità di crescita (Far East, Est europeo e Sud America con Brasile e Argentina in testa, ma anche alcuni paesi che si affacciano sul Mediterraneo). Come spiegato da Fabio Del Bravo di Ismea “accanto alle classiche corrazzate si profilano realtà come la Russia o la Cina, paese importante dove però l’Italia ha forti difficoltà a posizionarsi. Abbiamo voluto allora evidenziare quali altri mercati potessero essere interessati. Ce ne sono molte di realtà che hanno registrato interessati crescite nelle importazioni di vino anche se in maniera più contenuta dei cosiddetti big spender. Questi nuovi mercati potrebbero essere meglio analizzati dalle aziende produttrici, e non solo, perché forse sono più adatte alla dimensione produttiva italiana. Quella con la Cina - ha aggiunto - non è certo una partita persa ma è certamente difficile per il nostro paese e queste nuove opportunità si addicono di più a noi”. Nel particolare l’analisi ha evidenziato come Usa, Regno Unito e Germania, concentrano quasi il 40% della domanda internazionale di vino. La dinamica dell’ultimo anno vede un balzo di circa il 14% sia nei volumi sia nei corrispettivi monetari negli States, a fronte di un deciso passo indietro delle quantità acquistate in Germania (-7%) seppur con un mantenimento della spesa sui livelli dell’anno precedente. Più netta la forbice nel Regno Unito dove alla flessione degli ettolitri (-5%) fa eco un incremento degli esborsi del 10%. L’Italia è leader nel mercato statunitense e tedesco, sia in volume che in valore. Negli Usa detiene una quota pari al 29% del mercato, davanti alla Francia e all’Australia, mentre nel Paese teutonico copre il 35% della spesa, posizionandosi davanti al concorrente transalpino in termini monetari e alla Spagna in termini quantitativi. Nel Regno Unito il primato spetta alla Francia con un giro d’affari all’export che è oltre il doppio di quello italiano (1,4 mld di euro nel 2012 contro i 570 milioni della Penisola), nonostante i quantitativi di vino tricolore spediti oltre la Manica siano di gran lunga maggiori. A ridosso dei tre grandi importatori mondiali si stanno affermando Russia e Cina, con un quantitativo poco al di sotto dei 5 milioni di ettolitri nel 2012 per la prima (817 milioni di euro in valore) e di circa 4 milioni di ettolitri per la seconda (1,2 miliardi di euro in valore). Per entrambi i Paesi il 2012 ha visto aumentare la spesa di vino e mosti di oltre il 18%, mentre in termini quantitativi è solo il gigante asiatico a registrare un avanzamento (+8% sul 2011). In solo sette anni, sottolinea l’analisi Ismea, l’import cinese si è decuplicato, passando dai 500 mila ettolitri del 2006 ai quasi quattro milioni attuali e balzando dal ventesimo al quinto posto nella classifica dei paesi importatori. A beneficiare delle pressioni all’acquisto in Cina è soprattutto la Francia che detiene una quota pari alla metà del totale della spesa cinese di vino straniero. Ben posizionati anche l’Australia e il Cile, con un rinnovato protagonismo da parte del Paese sudamericano nella fornitura di vino sfuso, dove rincorre il primato temporaneamente ceduto alla Spagna. Il vino tricolore oltre la Grande Muraglia è ancora lontano invece dal giocare un ruolo di prim’ordine, con una quota pari all’8% in volume e al 6% in valore, pressoché stabile negli anni, nonostante la tendenza alla crescita dell’import dall’Italia. Decisamente migliore la posizione competitiva nel mercato russo, dove l’Italia resta leader in termini di valore, distaccando di poco la Francia, e si colloca al secondo posto per le quantità riducendo molto nell’ultimo anno il gap con la Spagna. Secondo Ismea, le maggiori potenzialità, specie per le aziende italiane, si riscontrano nei nuovi mercati dell’Europa dell’Est, comunitari e non, che negli ultimi cinque anni hanno incrementato notevolmente la propria domanda, con percentuali di crescita che vanno dal più 38% della Repubblica Ceca (il mercato al momento più importante dell’area, 14mo nel ranking mondiale degli importatori di vino nel 2012) al +255% dell’Ungheria. Ovviamente, sottolinea l’Istituto, percentuali così elevate sottendono volumi ancora limitati, ma l’Italia anche in virtù della prossimità geografica, ha tutte le credenziali per svolgere un ruolo chiave. Di fatto è già leader in Bulgaria, Repubblica Ceca e Ungheria, mentre rappresenta il primo “follower” in Estonia, Polonia e Romania. Anche l’estremo Oriente secondo Ismea costituisce un’altra area da presidiare con attenzione. Hong Kong, ad esempio, nel 2012, ha importato per prima volta negli ultimi 10 anni oltre mezzo milione di ettolitri. A seguire Singapore, Taiwan e con più distacco l’India, il cui ritmo crescita è però di tutto rispetto (+263% nell’ultimo quinquennio, sui cinque anni precedenti). In quest’area l’import parla decisamente francese, mentre l’Italia si colloca alle spalle dei Paesi del nuovo mondo. In Sud America sfiorano gli 800 mila ettolitri le importazioni brasiliane, mentre in Messico le richieste superano di poco i 400 mila. Anche in quest’area, l’Italia non ha un ruolo di leader, tutt’altro. La vicinanza geografica sposta l’attenzione sui vini dei vicini produttori sudamericani, mentre le affinità culturali fanno della Spagna il primo fornitore europeo.
Focus - Produzione oltre i 29 milioni di ettolitri e un fatturato all’origine di 2,3 miliardi di euro nel 2011. è la fotografia del settore dei 521 vini Dop e Igp italiani scattata da Ismea che per la prima volta stima il valore alla produzione dello sfuso
Una produzione che supera i 29 milioni di ettolitri e un fatturato all’origine di oltre i 2,3 miliardi di euro nel 2011. Ecco la fotografia del settore dei 521 vini Dop e Igp italiani scattata dall’Ismea con l’analisi “Vini Dop e Igp: i numeri della produzione e del mercato”, presentata oggi a Vinitaly (Verona 7/10 aprile) e in cui, per la prima volta, viene stimato il valore alla produzione del vino sfuso.
I dati, riferiti al 2011, provengono dalla consueta indagine che Ismea svolge annualmente sul territorio e che si arricchisce quest’anno anche della stima inedita sulla valorizzazione alla cantina del vino sfuso, recependo un’esigenza condivisa sia in ambito nazionale sia nei consessi economici internazionali a cui l’Istituto partecipa. Il fatturato ex-fabrica e iva esclusa dei vini in cisterna, stimato anche grazie alla capillare rete di rilevazione dei prezzi all’origine, è nel 2011 di circa 1 miliardo e mezzo di euro per il segmento dei vini Dop, di 800 milioni di euro per i vini Igp e di 500 milioni di euro per i vini comuni, arrivando a un giro d’affari complessivo all’origine di 2,8 miliardi. Sulla produzione, le elaborazioni dell’Istituto indicano un quantitativo potenziale (uva prodotta denunciata per coefficiente di resa in vinificazione) di circa 15 milioni di ettolitri di vino Dop e 14 milioni per gli Igp nel 2011, che insieme rappresentano oltre due terzi dell’intera produzione di vino italiana, che si attesta nell’anno in esame a 43 milioni di ettolitri. Sul 2010 la produzione del comparto ha accusato un calo dell’1,4% - associabile ai soli Igp - molto più contenuto del -8,6% rilevato per l’intera produzione italiana di vino. Le prime dieci denominazioni Dop rappresentano quasi il 44% della produzione potenziale, con le prime 5 (Prosecco, Asti, Montepulciano d’Abruzzo, Chianti e Valpolicella) che da sole sfiorano il 30%. In termini territoriali, Veneto, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo e Trentino Alto Adige coprono oltre il 75% della produzione. Ugualmente, tra le Igp, le prime dieci denominazioni rappresentano oltre il 73% della produzione potenziale, con una concentrazione di oltre l’80% in Veneto, Emilia Romagna, Sicilia, Puglia e Friuli Venezia Giulia.
Il mercato, nel 2012, sulla scia di un 2011 già all’insegna di incrementi a due cifre dei prezzi alla produzione, è stato caratterizzato da ulteriori e rilevanti aumenti nell’arco dell’anno con un’impennata in concomitanza con l’inizio della vendemmia. A fine anno, l’indice Ismea dei listini all’origine segna un +33% sul 2011 per l’intero settore (dopo il +20% sul 2010), risultato di un +40% per i vini comuni e Igp e di un +14% per i vini Dop. Determinante la minore produzione della campagna in corso che ha spinto l’offerta ad applicare prezzi sensibilmente più alti sull’anno precedente.
Per quanto riguarda la domanda interna, in un contesto di generale flessione degli acquisti che non risparmia neanche il settore alimentare, la spesa per i vini ha tenuto, registrando nel canale domestico un aumento dell’1% sul 2011. Nonostante le perdite in volume, le vendite di vini nella grande distribuzione hanno, infatti, segnato un incremento in valore che risulta superiore al 3% per i vini comuni e raggiunge il 2% per i vini Dop e Igp. Solo per gli spumanti la flessione dei volumi acquistati è stata accompagnata anche da un decremento della spesa corrispettiva (-2,4%).
Se il mercato interno mostra comunque segnali di debolezza, è dall’estero che provengono le maggiori soddisfazione per le cantine italiane. È cresciuto nel 2012 il giro d’affari legato all’export del vino tricolore (4,7 miliardi di euro, in aumento del 6,5% sul 2011) con un incremento di oltre il 4% per vini fermi Dop, di quasi il 7% per gli Igp, mentre sfiora il 14% la progressione in valore degli spumanti.
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