
“Il vino è al centro del nostro vivere, della nostra storia, della nostra religione e della nostra cultura, come è al centro di Monteleone21. Un’opera in aggiunta alla nostra sede, teatro di nuove attività e di più moderni approcci aziendali, ma anche luogo di comunione con i nostri produttori amici della Valpolicella, del Veneto e dell’Italia”. Così Sandro Boscaini, presidente Masi Agricola, storica azienda e marchio forte della Valpolicella Classica, all’inaugurazione, nei giorni scorsi, del nuovo hub esperienziale Monteleone21, struttura architettonica di rilievo con un cuore circolare in cui all’attività produttiva - rappresentata dal fruttaio, che magnifica la tecnica dell’appassimento delle uve con dimensioni straordinarie: 12 metri d’altezza, 30 di profondità e pianta di 300 mq - si affiancano un’enoteca che accoglierà i vini di altre aziende, in primis quelli delle Famiglie Storiche, un ristorante, attività culturali ed enoturistiche.
“Monteleone21 è l’ultimo tassello che aggiunge l’espressione del terzo millennio alle tante realizzazioni di Masi nei 250 anni della sua storia - ha continuato Sandro Boscaini - uno spazio polifunzionale che supera le strutture dedicate alla produzione e che va ben oltre il concetto ordinario di cantina visitabile, considerando che la cultura del vino rappresenta il punto di partenza per scoprire il territorio e le sue peculiarità. Ampliamo e attualizziamo così le attività produttive, le funzioni direzionali e i siti di wine experience per la gioia dell’ospitalità e della convivialità”.
“Produrre vini di qualità non basta più - ha sottolineato Federico Girotto, ad Masi Agricola. Ce lo dicono i mercati in fase di grande cambiamento per fattori temporanei e permanenti quindi anche il nostro settore deve trasformarsi. Noi abbiamo sempre pensato che il vino debba essere un emblema, una leva di valorizzazione di un territorio nelle sue dimensioni paesaggistica, storica e culturale. E siamo fortunati perché il brand Masi è forte, come lo sono la Valpolicella e le Venezie. Monteleone21, quindi, vuole essere sicuramente la casa della Masi, ma anche un ideale cancello di accesso ai nostri territori per un enoturismo supportato da un’offerta e un servizio con l’expertise professionale che tutti riconoscono all’azienda”.
E anche il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani nel suo videomessaggio - dopo essersi complimentato per la costruzione di Monteone21 “iniziativa coraggiosa che arricchisce un territorio splendido e mette in luce la spinta all’innovazione delle migliori eccellenze italiane” - ha, tra l’altro, sottolineato come “valorizzare le eccellenze locali significhi creare lavoro, benessere e attrarre turismo e - ha continuato - per questo sostengo la candidatura a Patrimonio Unesco della tecnica della messa a riposo delle uve della Valpolicella. Sono certo che Monteleone21 diventerà un punto di riferimento, un biglietto da visita per Verona, per il Veneto e per l’Italia”.
La convinzione che il vino sia prodotto della cultura e del territorio è sempre stata propria di Masi che quasi mezzo secolo fa ha ideato il Premio Masi e, in seguito, con la Fondazione Masi la ha ancorata al Dna dell’azienda “e messa a terra 40 anni fa - ha ricordato Boscaini - anche con l’apertura al consumatore delle porte della Serego Alighieri, accogliendo migliaia di ospiti e raccontando il bene e il buono e le peculiarità della nostra terra, pertanto con un’anteprima assoluta per il Veneto, e non solo, quando il termine enoturismo non era ancora stato coniato”.
In questo solco è maturata l’idea di Monteleone21- che si aggiunge alle altre otto location del progetto Masi Wine Experience - in tempi in cui non si poteva certo prevedere la difficile congiuntura attuale. Molte le difficoltà incontrate, in primis il Covid che ha rallentato i lavori, ha impedito di festeggiare la posa della prima pietra e ha indotto un aumento dei prezzi che si è ripercosso sui costi delle struttura, e poi quelle burocratiche e operative. Il ritardo della fine lavori di circa tre anni ha tuttavia permesso di adeguare il progetto originario dell’architetto Vittorio Cecchini ai cambiamenti necessari ad opera dello studio veneziano dell’architetta Giovanna Mar che ha anche diretto i lavori. L’architettura della nuova “casa dell’Amarone Masi”, che prende il nome dal colle Monteleone su cui sorge, evoca i muretti a secco che da secoli sostengono i terrazzamenti dei vigneti, le marogne costruite grazie all’antica arte dell’estrazione e della lavorazione della pietra in Valpolicella. Cuore del nuovo edificio è l’“agorà”, una piazza a pianta circolare con uno spettacolare soffitto cassettonato in calcestruzzo che riproduce line curve che si incrociano, le stesse richiamante dagli scaloni che portano sulla sommità - che sarà ricoperta da vigneti - e in basso all’ingresso del fruttaio. L’agorà, di oltre 1000 mq, è concepita come luogo d’incontro, convivialità, di scoperta e celebrazione del vino.
Il fruttaio - “Cattedrale dell’Amarone” - di dimensioni monumentali è destinato a offrire i profumi delle uve in appassimento nel periodo autunnale e invernale, sempre disponibile, però, ad accogliere il “fermento creativo” di prestigiosi artisti in un ambiente per sua natura evocativo, spiega Masi. Per l’opening di Monteleone21 il fruttaio ospita “L’Anima dell’Amarone”, l’istallazione ideata dal noto artista veneziano Fabrizio Plessi, in cui agli elementi del suo percorso artistico - acqua, fuoco, lava e vento - si aggiunge un altro elemento ancestrale: il vino. “Per me l’Amarone è il simbolo del vino vero, quello che amo profondamente. Il vino non sporca mai l’anima, ma la eleva: l’anima vive insieme al vino. Amo il movimento e la monumentalità, e in questa opera l’acqua e il vino dialogano come elementi essenziali, ricordando sempre che l’uva è la nostra origine”, ha detto Plessi raccontando la sua opera che rimarrà aperta al pubblico per un anno. Nel corso della sua lunga carriera, Plessi ha realizzato sperimentazioni artistiche innovative e anticipatrici, esponendo nei principali musei del mondo, indagando il rapporto tra tecnologia, elementi naturali e percezione umana, e ottenendo innumerevoli riconoscimenti dalla critica a cui in ottobre si aggiungerà il Premio Masi Civiltà Veneta.
Ma l’inaugurazione di Monteleone21 è stata anche l’occasione per mettere “il vino al centro” delle testimonianze sul settore di autorevoli ospiti che hanno ragionato - stimolate da Sebastiano Barisoni giornalista e vicedirettore operativo del Sole24ore - sull’attualità del vino, l’apertura al consumatore, l’enoturismo e sul contributo che le Olimpiadi Milano-Cortina potranno dare alla promozione del territorio. Se tra effetto dazi, calo dei consumi di vino a fronte di una maggior propensione verso altre bevande alcoliche e spiriti e di altre difficoltà è importante articolare l’offerta dell’azienda vitivinicola legandola al territorio e alla cultura, così come Masi ha pensato e fatto con Monteleone21. Nell’ultimo semestre l’export verso gli Usa - come ha sottolineato Barisoni - ha visto “sparire” 61 milioni di ricavi perché molti produttori hanno assorbito i dazi non potendoli scaricare sulla distribuzione a valle per non scomparire dagli scaffali. I dazi hanno determinato un ulteriore elemento di concorrenza: se l’Italia e tutti i Paesi dell’Ue sono gravati dal 15%, altri, come per esempio Cile e Argentina, con il 10% di dazi sono favoriti, come pure il vino statunitense stesso. La diversificazione dei mercati, invocata per superare la congiuntura, è necessaria, ma difficile se guardata in chiave di sostituzione del mercato Usa.
“I dati dei consumi sono allarmanti - ha esordito Giorgio Del Grosso, Head statistics Oiv - Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino - l’anno scorso sono stati consumati 216 milioni di ettolitri di vino, dato più basso degli ultimi 60-65 anni, quando, però, i Paesi consumatori erano la metà di quelli di oggi. Gli Usa sono il più grande mercato del mondo con 35 milioni di ettolitri pari al 18-19% dei consumi globali e, in un’ottica di instabilità geopolitica, incertezze economiche, tensioni commerciali, è chiaro che la diversificazione dell’export è la strada intraprendere, ma il mercato americano non è sostituibile”. Semplificando Del Grosso ha individuato tre gruppi di mercati. Quelli dei grandi produttori europei, che hanno smesso di crescere dagli Anni Settanta e perdono il 2-3% dei consumi ogni anno, passati dai 100 litri pro capite ai 40 di oggi considerando la popolazione sopra ai 16 anni. Il secondo gruppo capitanato dagli Stati Uniti include anche tutti i grandi Paesi dell’emisfero sud - Cile, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda - e anche la Gran Bretagna, che hanno un po’ controbilanciato il declino dei consumi dei Paesi tradizionali fino al 2018- 2020, quando dopo il Covid da una delle più grandi crisi della global supply chain e dalla crisi energetica è partita una spirale inflazionistica. Sul terzo gruppo di Paesi, soprattutto in Asia, America Latina e Africa - secondo Del Grosso - si possono riporre speranze. “Penso alla Corea del Sud che sta conoscendo una crescita dei consumi da 10-15 anni, al Giappone che ha ancora un potenziale inesplorato, e anche alla Cina in cui dall’inizio 2025 sembra ci sia un incremento di nuovo delle importazioni, dopo il rallentamento della sua economia nel 2017-2018 che l’ha retrocessa dal quanto posto del 2014-2015. E ancora l’India con un potenziale gigantesco, come Messico e Colombia, tutti quanti Paesi con popolazioni molto importanti”.
Il più forte impatto dei dazi riguarda i vini di prezzo medio e medio-basso, già da qualche anno in difficoltà, che rappresentano l’80% dei vini italiani esportati negli Usa. “Una situazione esacerbata dalle attuali tensioni commerciali - ha sottolineato Giacomo Ponti, presidente Federvini - che risparmia la spumantistica, con il Prosecco che sta galoppando da anni, e la fascia ultra premium. Le imprese stanno cercando di fronteggiare i dazi fin dove possibile non aumentando i prezzi, e noi, sulla base della non trasferibilità della maggior parte delle nostre produzioni sul territorio degli Stati Uniti ne chiediamo l’esenzione. Su questo i Ministeri competenti e la diplomazia si stanno battendo, vedremo cosa succederà nei prossimi mesi”. Tuttavia c’è un altro problema di corrente attualità da fronteggiare: l’effetto cambio. “L’apprezzamento del dollaro sull’euro è un fattore esogeno ingovernabile da parte delle imprese - ha continuato Ponti - alcuni analisti stimano che il cambio possa arrivare a 1,25 (al 22 settembre il cambio era di 1,18 dollari per 1 euro): speriamo non sia così perché non è possibile assorbire dazi ed effetto cambio senza aumentare i prezzi al consumo. Si può sperare solo in uno “spezzatino” degli aggravi nei 3-4 passaggi che vengono sul mercato degli Stati Uniti lungo il tree tear system”. E circa le “contromisure”, interrogato da Barisoni, Ponti ha ricordato il tavolo di lavoro presieduto da Piero Mastroberardino, vicepresidente Federvini, “che sta lavorando per studiare quali possono essere delle reazioni con delle campagne di educazione e di invito al consumo. Abbiamo marchi forti e grandi quote di mercato negli Stati Uniti dove i prodotti italiani sono apprezzati ed è presente una grande componente di italo-americani tra chef e ristoranti italiani che sono i migliori ambasciatori del nostro vino e del gusto italiano. Quindi speriamo che il mercato americano risponda come ha risposto negli anni passati. Anche se dovranno aumentare i prezzi, tutte le imprese difenderanno con le unghie e con i denti posizioni sul mercato. Voglio essere molto chiaro: l’accordo del Mercosur è positivo e da analizzare nel dettaglio, ma un mercato così importante come quello Usa in termini di volumi, di reddito, di cittadini amanti dei prodotti e del vino italiano come quello statunitense non esiste e se fosse esistito sarebbe già presidiato”.
“In un momento di incertezza e di difficoltà è fondamentale che le imprese diano un valore aggiunto percepibile ai loro prodotti - ha detto Raffaele Boscaini, direttore marketing Masi Agricola, nella veste di presidente Confindustria Veneto - le produzioni che hanno unicità e particolarità subiranno meno l’effetto dei dazi e questo vale per tutti i prodotti compreso il vino. Il fatto che non esista un mercato che sostituisca gli Stati Uniti è verissimo, però non dobbiamo neppure pensare che si azzeri. Certo è che al di là di dazi e cambio sfavorevole, i costi elevati dell’energia, la difficoltà di reperire alcune materie prime e il loro costo, la mancanza di investimenti e la burocrazia ci rendono poco competitivi rispetto ai colleghi europei. Ultima, ma non da ultima, la parcellizzazione delle nostre imprese, anche nel mondo del vino e dell’alimentare. E questo è un punto critico: oggi il bello, buono e ben fatto del made in Italy non basta più.
Servono capacità imprenditoriale e scuole di impresa per essere in grado non solo di saper fare ottimi prodotti, ma anche di comunicarli bene, di portarli in giro, di dotarsi di finanza e di strutture”.
E circa gli attacchi al vino dal punto di vista salutistico, fermo restando il consumo moderato, Luciano Ferraro, vicedirettore “Corriere della Sera” ed esperto del settore, ha sottolineato come siano due le categorie che demonizzano il vino. “Sono alcuni medici - ha illustrato - come nel caso di una famosa dottoressa divulgatrice che in coincidenza con l’uscita di un suo libro ha detto che bere anche una minima quantità di vino brucia il cervello, salvo poi cadere in contraddizione con i suoi stessi comportamenti resi noti su Instagram, e poi una parte della comunità politica dei Paesi Ue non produttori che ha un atteggiamento penalizzante rispetto ai produttori di vino, soprattutto quelli del Sud dell’Europa, quindi del Mediterraneo, noi compresi, fino alle etichette sanitarie. Queste ultime sono una sfida che i produttori di vino anche italiani devono affrontare: non si può ignorare il bisogno collettivo di salutismo che c’è nella società. Una buona notizia, se non addirittura una svolta, arriva dagli Stati Uniti dove è stato ritirato il report che indicava come nocive anche piccole quantità di vino. Sarà sostituito da nuove linee guida per la dieta degli americani in cui, invece, si dice che il consumo di una piccola quantità di vino può fare bene. Anche l’Europa dovrà tener conto di questo bisogno salutistico: alcuni consorzi di tutela si stanno già muovendo per ridurre grado alcolico e anche in Valpolicella nel caso dell’Amarone, e non solo, si punta di più sulla freschezza”.
In cima alla lista delle attività aziendali di differenziazione c’è l’enoturismo, segmento strategico per il vino, anch’esso a un punto di svolta. “I dati a livello mondiale indicano un aumento costante di interesse verso questo asset - ha confermato Roberta Garibaldi, docente di management e marketing del turismo all’Università di Bergamo e autrice del “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano” e del Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico - riscontriamo che ovunque al primo posto oggi nelle preferenze delle esperienze e delle scelte di visita dei turisti extraeuropei, europei e italiani c’è voglia di vivere in spazi naturali e aperti oltre alle esperienze enogastronomiche, quindi c’è una grande possibilità di crescita con oltre il 70% degli italiani che vogliono fare esperienze nelle attività produttive con il vino al primo posto. Al momento i numeri sono stabili: crisi economica, guerre e altre difficoltà impattano sulla ulteriore crescita e vedremo come il risolversi di questi fattori esterni inciderà sul prossimo futuro. Nel Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico, che abbiamo presentato a fine luglio con le principali associazioni del settore in Italia, abbiamo tracciato mansioni, competenze e percorsi formativi per l’hospitality manager nelle cantine, l’addetto alle visite, ma anche per il consulente del turismo enogastronomico e il product manager di destinazione. Il tema della professionalizzazione oggi è importantissimo perché il mondo del turismo sta profondamente cambiando. L’Intelligenza artificiale sta andando a stravolgere in toto il customer journey, cioè la programmazione dei viaggi del turisti. Per ora siamo attorno al 15% degli italiani che utilizzano a questo fine l’Ai, una percentuale destinata a crescere che rende necessario “farsi leggere” dall’ Intelligenza artificiale e le cantine, soprattutto quelle piccole, sono ancora troppo poco digitalizzate per affrontare questa sfida. Il numero delle review come punti di interesse, per esempio, tende ancora a essere basso, quindi è necessario riuscire ad accompagnare tutto il mondo delle cantine verso le nuove dinamiche turistiche e, quindi, serve una professionalizzazione della parte turistica. E se le grandi imprese possono permettersi di avere del personale specializzato, non è così per quelle più piccole per le quali può essere utile disporre di un consulente di turismo enogastronomico, che sia un libero professionista o qualcuno messo a disposizione a chiamata dai consorzi, dalle Strade del Vino, dalle destinazioni turistiche”.
Tuttavia, ci sono molte altre criticità, dalla mancanza di un piano strategico nazionale al tema dei trasporti per le aree rurali. “Le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 porteranno una enorme visibilità ai territori interessati, risorse economiche e creeranno valore - ha sottolineato Emanuela de Zannna, presidente Fondazione Dmo Belluno Dolomiti - lasciando una eredità importante, soprattutto dal punto di vista culturale, ma anche per quanto riguarda lo sviluppo delle infrastrutture e della facilitazione degli spostamenti che agevoleranno il turismo anche in quelle aree che attualmente sono poco raggiungibili. Circa il mondo del vino e della gastronomia, nella vasta area interessata da queste Olimpiadi “diffuse” si sta lavorando per rendere noti non solo gli aspetti prettamente sportivi e naturalistici, ma anche il patrimonio culturale ed enogastronomico che è quello che i turisti adesso ricercano superando anche il turismo esperienziale, perché si sta andando verso un turismo trasformativo, che porta a stare bene anche assumendo nuove abitudini”. In questo quadro e in riferimento all’ambito turistico, la Regione Veneto ha fatto la sua parte “con la creazione di un piano strategico regionale in ambito turistico che ha anche un capitolo specifico sull’agricoltura. Credo fortemente nel binomio agricoltura e turismo - ha sottolineato Federico Caner, assessore al Turismo, Agricoltura e Commercio Estero della Regione Veneto - siamo stati i primi ad abbinare i due settori, raccogliendo anche la perplessità del Ministro Lollobrigida, ma ora il Piemonte sta seguendo la nostra stessa strada. Il Veneto è la prima regione turistica d’Italia con 73 milioni di presenze e probabilmente anche la prima in ambito agricolo con 8 miliardi di euro, e sono due ambiti che non possono essere delocalizzati”.
Clementina Palese
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