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CORONAVIRUS

Vino e ristorazione: la certezza di un presente durissimo, tante incognite sulla “Fase 2”

Fipe: “così è un fallimento annunciato”. A WineNews lo stato dell’arte e le ipotesi (anche per l’enoturismo) dell’avvocato Marco Giuri (Studio Giuri)
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Vino e ristorazione: la certezza di un presente durissimo, tante incognite sulla “Fase 2”

La crisi di liquidità è enorme. Le misure varate dal Governo, come i prestiti senza istruttoria di 25.000 euro garantiti dallo stato in primis fino ad oggi non funzionano: un importo ritenuto bassissimo anche per le piccole imprese, a volte addirittura insufficiente anche per pagare le tasse e le scadenze semplicemente prorogate di un paio di mesi, o le spese che sarebbero necessarie per assolvere alle prescrizioni sanitarie per poter riaprire le attività. Prestiti che hanno, comunque, tassi d’interesse più elevati di quelli che a volte le imprese spuntano con le banche. E, inoltre, i mutui garantiti dal pubblico, di importi superiori i 25.000 euro, sono insostenibili per la maggior parte delle aziende, perchè hanno tempi di restituzione (6 anni), a detta di molti, decisamente troppo brevi.
Resta così di totale gravità la situazione della liquidità delle imprese, la prima grande emergenza della crisi coronavirus, quella segnalata da subito, anche per cantine e ristoranti, come ci hanno raccontato le testimonianze di tanti produttori di vino e ristoratori che abbiamo sentito, in questi giorni, e come continuano a sottolineare imprenditori di ogni ramo di attività. Un’emergenza che tale era ad inizio crisi, e tale è rimasta ora che la politica discute della “Fase 2”, che, in questo quadro, resta più incerta che mai.
La data fissata dal decreto attualmente in vigore è quella del 3 maggio, quando, salvo ulteriori proroghe, dovrebbe finire il “lockdown”. Che, in ogni caso, dovrebbe vedere bar e ristoranti tra le ultime attività a riaprire, e con mille limitazioni (dalle distante di 2 metri tra i tavoli all’uso di mascherine e guanti, ad attività di igienizzazione continua dei locali e così via, secondo le prime ipotesi). Con ulteriori ricadute pesantissime sia sul settore della ristorazione tout court sia su quello del vino, visto che come abbiamo ribadito, dal canale HoReCa passa tantissimo del fatturato delle cantine, soprattutto (ma non solo) di quelle di piccole e medie dimensioni, che puntano tutto sull’alta qualità. La Fipe, per parte sua, parla di un “fallimento annunciato per ristorazione e turismo”, con le perdite stimate in 30 miliardi di euro, ed uno stato di “crisi profonda con il serio rischio di veder chiudere definitivamente 50.000 imprese e di perdere 300.000 posti di lavoro. A conferma di questo già molti imprenditori stanno maturando l’idea di non riaprire l’attività perché le misure di sostegno per il comparto sono ancora gravemente insufficienti e non si intravedono le condizioni di mercato per poter riaprire. Infatti - spiega la Federazione Italiana Pubblici Esercizi/Fipe - gli interventi sin qui messi in campo dal Governo sono solo una risposta parziale: la liquidità non è ancora arrivata, la garanzia al 100% dello Stato per importi massimi di 25.000 è una cifra lontanissima dalle effettive esigenze delle imprese per far fronte agli innumerevoli costi da sostenere, la burocrazia rimane soffocante appesantendo addirittura le stesse procedure degli ammortizzatori sociali obbligando, di fatto, le imprese ad anticipare i pagamenti. Sulle tasse, inoltre, non ci sono state cancellazioni ma solo un differimento, per di più con la beffa di dover rischiare di pagare l’occupazione di suolo pubblico stando forzatamente chiusi, e la tassa su “rifiuti virtuali” visto che di rifiuti non ne sono stati prodotti”.
“Con la riapertura del Paese - dichiara il presidente di Fipe/Confcommercio, Lino Stoppani - gli italiani rischiano di non trovare più aperti né il bar sotto casa, né la trattoria di quartiere. Per questo, chiediamo al Governo e alla politica tutta un aiuto e uno sforzo in più per salvare un pezzo del nostro sistema produttivo che, con 85 miliardi di fatturato prodotto e 1,2 milioni di occupati, è un settore trainante del turismo e dell’economia del Paese”. E le richieste al Governo e politica da mettere in campo con urgenze, sono le stesse da inizio crisi: risorse vere a fondo perduto per le imprese parametrate alla perdita di fatturato moratoria sugli affitti, cancellazione dell’imposizione fiscale come Imu, Tari, affitto suolo pubblico e altre imposte fino alla fine del periodo di crisi e sospensione pagamento delle utenze, prolungamento degli ammortizzatori sociali fino alla fine della pandemia e sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali, reintroduzione dei voucher per il pagamento del lavoro accessorio, possibilità di lavorare per asporto, come avviene in tutta Europa, concessione di spazi all’aperto più ampi nel periodo di convivenza con il virus, per favorire il distanziamento sociale e permettere agli esercizi di lavorare, e un un piano di riapertura con tempi e modalità certe condiviso con gli operatori del settore, per permettere a tutte le imprese di operare in sicurezza.
Di certo, le ipotesi di una “Fase 2” in tempi e modi diversi tra Regione e Regione, come si apprende in questi giorni, non facilita il quadro in cui muoversi. Ad aiutarci a capire meglio chi, ad oggi, può tenere aperto e lavorare, ma anche chi potrà ricominciare a farlo quando inizierà la “Fase 2” è l’avvocato Marco Giuri dello Studio Giuri di Firenze.
“Sono stati introdotti nuovi codici Ateco, legati alle attività essenziali, collegati al decreto del Presidente del Consiglio del 10 aprile 2020, che ha abrogato tutti gli altri. Per il nostro settore - spiega a WineNews - rimangono, dunque, aperte le attività agricole, la parte delle industrie agroalimentare, chi fabbrica e vende fitosanitari, le attività professionali come quella degli enologi, e restano aperti, anche se non ha molto senso visto che non ci sono clienti, le attività alberghiere. Poi ci sono quelle attività funzionali a quelle essenziali, come chi produce bottiglie e tappi, che può continuare a lavorare purchè faccia una comunicazione preventiva al Prefetto, e se non c’è risposta vale il silenzio assenso. Anche se da quello che ho raccolto, non ci sono risposte, e quindi dinieghi, anche per la mole delle comunicazioni avanzate. Ma in ogni caso se lo ritiene, il Prefetto, sentito il Presidente della Regione, può sospendere l’attività. Altra cosa da sottolineare, è che il decreto del 10 aprile 2020 ha concesso qualche attività anche a chi deve restare chiuso. Quindi è consentito l’accesso ai locali aziendali per la gestione ordinaria, per i pagamenti, la manutenzione, la spedizione ed il ricevimento merci, ma sempre con la comunicazione al Prefetto”.
Sulla ristorazione, come abbiamo visto, può lavorare solo chi ha la licenza per la consegna a domicilio, e su questo, come sottolineato dalla Fipe, nulla è cambiato. E, quindi, si guarda al futuro. “Circolano dei documenti che guardano alla “Fase 2”, ma bisogna capire cosa farà il Governo. Fatto sta che per i ristoranti sarebbe possibile ripartire garantendo misure di salvaguardia della salute, che sono le stesse delle attività commerciali oggi aperte. Quindi il rispetto del protocollo sanitario del 14 marzo 2020, che è rigoroso ma abbastanza facilmente applicabile sia per la ristorazione, che, per esempio per l’enoturismo, che potrebbe, con le determinate cautele, ripartire”. Con una considerazione ovvia, ma da ribadire, ovvero che la gente possa tornare a muoversi, non abbia paura a farlo, e che, non secondario, le condizioni economiche lo consentano.
In ogni caso, anche nell’ipotesi migliore, andranno rispettate le norme, “come le distanze di almeno un metro tra persone, gli ingressi scaglionati, l’uso di mascherine e disinfettanti, percorsi di entrata ed uscita separati e così via. Tutte disposizioni che sono nell’allegato 5 del decreto del 10 aprile 2020. Ma aggiungo: c’è un documento interessante che ho trovato nelle pubblicazioni dell’Oms, di cui ad oggi non si parla molto. Il 31 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ha emanato delle linee guida per le strutture alberghiere e del turismo, dove si parla di accoglienza e ospitalità in genere, e forse potrebbero essere adottate per la ristorazione e l’enoturismo nella “Fase 2”, potrebbero essere un po’ una luce guida a cui guarderà anche il legislatore. Linee guida che sono, spesso, meno restrittive delle norme già messe in atto. Per la ristorazione, per esempio, si prevede un metro tra i tavoli, e comunque la compresenza fino a 4 persone per 10 metri quadrati.
A queste condizioni, immagino, per esempio, che, per le aziende del vino, alcune attività enoturistiche potrebbero essere facilmente riprese, considerando che andiamo anche verso la bella stagione. Se penso ad una visita in campagna ed in vigna gli spazi non mancano, così come in cantina, per una degustazione, chiaramente garantendo tutte le attività di sanificazione. Resta, comunque, evidente che anche in “Fase 2” ci saranno delle misure da seguire, magari per la ristorazione più stringenti che per altri, ma guardiamo anche a queste linee guida dell’Oms che ritengo saranno quelle guardate anche dal legislatore. Tenendo sempre conto che poi le Regioni potranno poi derogare, in maniera più stringente, a quella che sarà la normativa nazionale”.

Ma se queste sono le ipotesi su quello che verrà domani, la certezza, purtroppo, è che il presente è durissimo, e che le misure fin qui messe in campo per le aziende, ad oggi, non funzionano.
“Il sentiment è pessimista - conferma Giuri - e tastando con mano anche istituti di credito con cui lavoriamo, emerge che, per esempio, per erogare i prestiti garantiti dallo Stato, le banche sarebbero pronte, mentre gli enti che erogano la garanzia pubblica, ossia il Fondo di Garanzia e la Sace, non hanno ancora adeguato, almeno a venerdì 17 aprile, i propri portali, per accedere al servizio. Il problema, poi rimangono i tempi, che restano lunghi, anche quando le procedure saranno attive. Parlando con gli imprenditori, il prestito previsto (fino a 25.000 euro senza istruttoria, ndr) resta un’operazione che ha un costo, e spesso le aziende che hanno buoni rapporti con gli istituti di credito riescono a spuntare spesso costi di gestione e tassi di interesse migliori di quelli previste dal “Dl Liquidità”, e quindi c’è grande perplessità, oltre che la costatazione di una burocrazia allucinante”.

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