Il settore del vino italiano è in salute, è tutto sommato solido, è cresciuto, almeno fino ad oggi, sui mercati, e vede tante delle sue realtà più importanti avere spalle solide per affrontare il futuro. Ma è anche un settore, ancora molto frammentato, e che ha davanti sfide forse mai viste. Non solo quella emergenziale e contingente dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, ma anche la recessione da molti prevista nel 2023 anche su mercati importanti, da quello interno, che resta il più grande, a quelli di Germania e Uk, che, con gli Usa (che ad oggi soffrono meno), valgono ancor più della metà delle esportazioni. E, soprattutto, una spinta forte sotto il vento di quello che viene definito un “neo proibizionismo” che non solo mette a repentaglio strumenti e risorse finanziarie importanti in seno alle politiche dell’Unione Europea, ma che rischia, in nome di un salutismo esasperato e di una deresponsabilizzazione dei comportamenti dell’individuo, di minare alla base i valori stessi del vino inquadrato nel consumo mediterraneo, che è fatto di convivialità, moderazione e consumo ai pasti, con il cibo, identificando il vino, o almeno questo è il rischio che si ripropone sempre più spesso, come bevanda che fa male alla salute tout court, con il tentativo finora sventato, ma ripetuto e reiterato, da parte di alcuni, di inserire sulle bottiglie avvisi come quelli che si vedono sui pacchetti di sigarette. Affrontare il futuro, dunque, non sarà semplice, ma ci sono degli strumenti per farlo: da un maggior dialogo tra imprese e istituzioni ad una maggior condivisione di sforzi e risorse tra imprese stesse, all’apertura (in verità sempre più frequente) dei capitali di impresa al mondo della finanza, non solo per avere più risorse per crescere ed investire, ma anche per innestare nelle aziende, spesso a gestione familiare, delle competenze nuove, e sempre più importanti per stare al passo con i tempi. È questa, in qualche modo, la “Wine Agenda”, emersa dalla tavola rotonda firmata da Federvini, in Milano Wine Week 2022, con analisti di mercato e imprenditori e manager di alcune delle più importanti realtà italiane, da Vittorio Cino, dg Federvini, a Raffaele Boscaini, marketing director & technical group coordinator Masi, da Umberto Pasqua, presidente Pasqua Vigneti e Cantine, a Beniamino Garofalo, ad Santa Margherita Gruppo Vinicolo, da Giancarlo Moretti Polegato, presidente Villa Sandi, ad Ettore Nicoletto, president & ceo Angelini Wines & Estates, tra gli altri.
Il quadro di partenza, come detto, non è pessimo: se, secondo i dati Nomisma, nel primo semestre 2022, le vendite in Gdo sono diminuite del 9% in volume e del -7,5% in valore sulla prima metà 2021, le esportazioni, a fronte di volumi sostanzialmente stabili (+0,8%), sono cresciute del 14% in valore (trainati soprattutto dagli spumanti, a +25,5% in valore e +10,6% a volume, Prosecco in testa). Anche grazie alla debolezza dell’Euro sul Dollaro. E conforta anche il recupero nel fuori casa, comparto che, nel complesso (e quindi non solo per la voce vino), nel 2022, secondo Trade Lab, dovrebbe chiudere con un giro d’affari di 87 miliardi di euro, di poco sopra ai livelli del 2019, pre pandemia, e con previsioni di crescita a 93 miliardi di euro nel 2023, nonostante tutto. Ma, da qui in avanti, si fa dura. L’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime per il packaging, come la carta per le etichette (+36%), le capsule e soprattutto il vetro (+47%), stanno mettendo a dura prova la produzione delle imprese del comparto, e conseguentemente la loro crescita. Oltre al fatto che le aziende hanno subito l’impennata dei costi di produzione e trasporti, con l’energia, in particolare, che ha segnato rincari tra il 150 e il 200%. Tutto questo in un quadro inflattivo che vede l’85% degli italiani adottare, o pronti ad adottare, strategie di risparmio per contrastare la diminuzione del potere di acquisto. Ed il vino, che è un bene importante, ma non primario, è ovviamente tra i comparti a rischio taglio. Eppure, proprio la proiezione internazionale (anche suffragata dai costi dei noli marittimi tornati a calare dopo le impennate dei mesi scorsi) a dare più fiducia alle imprese italiane, come emerso nei tanti interventi moderati dalla giornalista Fernanda Roggero.
Anche se si deve lavorare su questo, perchè come ricordato da Oriana Romeo (Mediobanca), facendo un raffronto con l’export di vino francese, quello italiano è più concentrato, con i primi tre mercati (Usa, Germania e Uk) che per il Belpaese valgono oltre il 50% del totale, mentre “solo” il 39% per i francesi, di “prossimità”, visto che nella “Top 10” dei mercati solo Usa e Canada sono quelli extra area europea, e più “povero”, dato che il prezzo medio è molto più basso di quello francese, soprattutto nei primi tre mercati di destinazione. Eppure, negli ultimi 10 anni, l’Italia del vino, nel mondo, con un +39,4%, è cresciuta più della Francia, a +29,5%. Ma, a guardare alcuni parametri di performance economiche, ha aggiunto Gabriele Barbaresco (Mediobanca), “il vino italiano, spesso messo in competizione con quello francese, non è poi così più performante di quello di Spagna o di Francia. Bisogna lavorare sulla costruzione del valore, sulle aggregazioni, sulle aperture dei capitali, come sta avvenendo, ma forse anche su uno scorporo, da parte delle imprese, della parte fondiaria da quelle prettamente commerciale, che renderebbe parte dell’impresa più snella, meno “capital intensive”, e più appetibile per una finanza che, comunque, ha iniziato a ragionare in termini temporali più lunghi del solito, e più in linea con le esigenze delle imprese vinicole”.
Come crescere ancora, dunque? “Più che di export - ha detto Raffaele Boscaini (Masi Agricola), uno dei nomi top dell’Amarone della Valpolicella e del vino del Veneto - si deve parlare di internazionalizzazione, che non vuol dire solo vendere all’estero, ma dotarsi di strumenti e strutture che creino brand, interesse e un sistema funzionale e logistico per portare i prodotti all’estero. Per l’Italia è difficile, data la grande parcellizzazione della nostra industria del vino, si deve lavorare tanto. Ma, guardando al futuro, bisogna orientarsi su valori come il consumo consapevole, sulla sostenibilità, sul green, sul benessere. Temi, già presenti, ma la cui crescita è stata accelerata dalla pandemia. Temi ormai sensibili per tutte le generazioni, ma in futuro acquistare “sostenibile”, dal punto di vista ambientale, ma anche sociale sarà la norma, non la possibilità. Quando compriamo, soprattutto cibo e vino, si guarda sempre più la retroetichetta, con attenzione alla salute, ma anche alla sostenibilità ambientale e sociale, e su questo il vino sa rispondere bene. Parlando di aggregazioni, quanto meno nella parte distributiva, sarebbero auspicabili. In Francia c’è il modello dei negociant, per esempio, ma ci vorrebbe, in generale, una rete più strutturata per portare le nostre eccellenze in giro per il mondo”.
“Per superare momenti come questi - ha detto Umberto Pasqua, ai vertici di Pasqua Vigneti e Cantine, altra realtà veneta di primissimo piano - servono spalle grosse. Non siamo come Gallo, in California, che si produce anche il vetro, ma dipendiamo da altri. Noi, come azienda, abbiamo raddoppiato le nostre scorte, aumentato il numero dei fornitori, rendendo le linee di imbottigliamento più efficienti. Abbiamo dovuto fare anche aumenti di listino, ragionati e concordati, sacrificando il margine, un po’ noi e un po’ i distributori, ma abbiamo investito molto in risorse umane, in venditori in giro per il mondo, anche in mercati come Israele, Corea del Sud, Emirati Arabi, con risultati inimmaginabili. E abbiamo investito su giovani con visioni ed idee che guardano al domani e che portano valori. Ci sono tanti problemi, è innegabile. Io, comunque, sono ottimista, amo il settore del vino, crediamo nella fascia premium, ci investiamo e ci crediamo molto. Da quando abbiamo ristrutturato l’azienda e poi fatto il passaggio generazionale, abbiamo raddoppiato fatturato per vie interne, senza acquisizioni, ma posizionandoci più in alto. Se ci fosse il Sottosegretario Centinaio, che spero sarà Ministro dell’Agricoltura - ha detto Pasqua - gli chiederei di lavorare per potenziare l’Ocm, di tagliare l’Iva e di contrastare fortemente iniziative come quelle dell’Irlanda che vuole mettere in retro-etichetta “il vino nuoce alla salute”. E proprio da questo prende spunto l’intervento del dg Federvini, Vittorio Cino, secondo il quale “questo attacco al mondo delle bevande alcoliche in generale, e al vino in particolare, è la minaccia più grave per i prossimi anni, perchè dire o scrivere in etichetta che fa male alla salute attacca la reputazione del prodotto. Il vino italiano è cultura e territorio, se si dice che fa male, che nuoce alla salute, si attaccano i suoi valori. Noi abbiamo un modello mediterraneo fatto di consapevolezza, alimentazione, convivialità, siamo tra i consumatori maggiori di vino ma tra i più virtuosi in tema di abuso, vuol dire che ci sono modelli di consumo sani. Chiediamo tre cose: un tavolo interministeriale tra Politiche Agricole, Salute ed Esteri, per far sentire la nostra voce in ambito internazionale. La nostra voce in Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) non c’è, o non si sente. E l’obiettivo lanciato nell’ultimo meeting in Israele, di ridurre i consumi procapite di alcol del 10% entro il 2025, porta in seno la riduzione della produzione. Non distinguere tra consumo e abuso è sbagliato, sono misure estreme, il Governo italiano deve parlare con una voce coordinata, ai tavoli internazionali spesso manchiamo e parliamo poco. In Europa, poi, pensiamo che non si debbano battere i pugni sul tavolo, non serve. Servono, piuttosto, messaggi chiari, e coalizione con altri Paesi a tradizione mediterranea. Che, peraltro, sono pochi sul totale. Se non ci si mette insieme, prevarrà la visione Nord Europea, con tutto quello che ne consegue. Dobbiamo, però, anche essere propositivi, affermando il modello italiano e mediterraneo. Ma anche qui - sottolinea Cino - è rinata, al Ministero della Salute, una “consulta alcol”, da pochi mesi, ma rispetto al passato non sono presenti i rappresentanti dei produttori. Ma se, come sembra, siamo parte del problema, dobbiamo essere parte della soluzione e dobbiamo esserci. In Europa, nei prossimi mesi, ci sarà la riforma dell’etichettatura, temiamo che la fuga in avanti dell’Irlanda (che, da settembre, ha introdotto gli “health warnings” in etichetta) sia un esperimento per poi imporre a tutta la categoria messaggi demonizzanti. In questi giorni, in Europa, si discute il prossimo piano di promozione, e c’è chi chiede di escludere vino e carni rosse. Si parla, per l’Italia, di 350 milioni di euro all’anno per il vino, nel complesso. Che potrebbero venir meno, parzialmente o totalmente. E questo avrebbe un impatto devastante”.
Insomma, il futuro è quanto mai incerto. Ma il vino, va ricordato, “è un asset importante per la nostra economia - ha ribadito Beniamino Garofalo, Ceo Santa Margherita, una delle realtà leader del vino italiano, con il cuore in Veneto ma cantine in tanti territori top d’Italia - è un key-driver dell’indotto turistico italiano, ed è una bandiera per l’agroalimentare. Ci sono argomenti che ripetiamo da anni, dobbiamo accelerare. L’imprenditoria del vino italiana ha fatto tanto, ha dialogato con le istituzioni, ha dei campioni come Amarone, Prosecco e Pinot Grigio, ma dobbiamo capire cosa fare da ora in avanti. Il tema della dimensione delle aziende è legato anche alla digitalizzazione. Serve più managerialità, serve uno studio dei consumatori che richiede competenze, perchè ogni mercato è diverso. L’e-commerce, per esempio, ha aperto nuovi canali, ma digitalizzare non è solo questo. Le aziende devono diventare da business to business a business to consumer, perchè alla fine il target è il consumatore finale - ha detto Garofalo - ma servono interventi strutturali, manager competenti, e il supporto delle istituzioni”. Per affrontare un futuro quanto mai incerto. “Siamo tutti preoccupati, il 2023 è pieno di ombre - ha sottolineato Giancarlo Moretti Polegato, alla guida di Villa Sandi, tra le realtà più importanti del Prosecco - ci sono le materie prime che preoccupano, ma c’è anche la recessione, che in Paesi come Gran Bretagna e Germania è già iniziata, Paesi che fanno con gli Usa più della metà del vino italiano. E quando questi Paesi vanno in recessione si sente. Dobbiamo essere con i piedi in tanti Paesi, noi siamo in 130. La parte commerciale diventa fondamentale, perchè la qualità ormai è diffusa. Ma per andare in certi Paesi serve anche massa critica, ed il nostro settore è frammentato. Noi facciamo parte di una rete di aziende di grande marchi (la Italian Signature Wines Academy, insieme a griffe come Allegrini, Bellavista, Caprai, Feudi di San Gregorio, Fontanafredda, Frescobaldi, Masciarelli e Planeta, ndr) che si sono messe insieme anni fa, e questo ci ha dato grande soddisfazione, nel presentarci insieme alle grandi fiere, nello scambiarci informazioni. E funziona, rispettando ognuno la sua autonomia. L’Italia è un Paese maturo per consumo, dobbiamo affrontare i mercati emergenti, ma servono risorse per farlo. L’Europa nei prossimi anni sarà in difficoltà, il vino non è un bene di prima necessità, c’è già un rallentamento, che va compensato nei nuovi mercati”.
A tirare le somme è Ettore Nicoletto, alla guida di Angelini Wines & Estates, realtà vinicola che mette insieme tante aziende in territori di primissimo piano dell’Italia del vino. “Dovremmo investire in reti sui mercati all’estero, costruendo e sviluppando società di importazione e distribuzione, per mettere i piedi sui mercati in modo duraturo. E una delle proposte da fare alla politica è di far inserire nel piano Ocm promozione una voce di spesa finalizzata a costruire cose durature come queste, non solo a fare la pubblicità o la comunicazione che si fa di anno in anno. Guardando, invece, al confronto Italia-Francia sull’export - ha aggiunto Nicoletto - va detto che la Francia si basa su quattro pilastri che sono Bordeaux, Borgogna, Champagne e Provenza, che hanno dimensioni enormi rispetto ai distretti italiani, eccezione fatta per Prosecco e Pinot Grigio. Quindi, in questo senso, perdiamo 4-2. La svolta coraggiosa sarebbe quella di cercare nuove denominazioni e tipologie sui cui investire e ampliare l’offerta di questa Italia che, altrimenti, resta statica. Ma dobbiamo lavorare di più e meglio sulla narrazione: noi dobbiamo trovare un linguaggio per parlare al consumatore del futuro. Abbiamo parlato bene ai Boomers, che però sono in declino, approfondito i Millenials, oggi importanti, ma praticamente stiamo ignorando la Generazione Z, che è il futuro. Siamo appiattiti, usiamo modelli che sono stati importanti, ma che vanno adattati al dialogo con il nuovo consumatore. Non vuol dire che ci dobbiamo affrancare dal trinomio uomo-territorio-vitigno, ma i giovani hanno a cuore sostenibilità, salute e così via, e non possiamo usare il linguaggio del sommelier con loro. Dobbiamo cambiare il modello comunicativo, per parlare ad consumatore peraltro sempre più “interraziale”, perchè il 48% della Generazione Z, per esempio, è di colore, rispetto al 28% dei Boomers. E questo fa riflettere sul fatto che alcuni codici vadano cambiati. Poi dobbiamo lavorare sul valore, che noi fatichiamo a scaricare a terra rispetto alla Francia. Anche perchè facciamo molta meno attività pre-competitiva nei mercati internazionali rispetto ad una volta. Nel 2009, l’Ocm promozione è partita con tante attività dei Consorzi, nei mercati, per raccontare tipologie e denominazioni, per raccontare le loro caratteristiche e preparare un terreno comune sul quale poi, le imprese, hanno giocato la loro partita. Oggi questa attività si è dimezzata, ed invece sarebbe importante soprattutto nei nuovi mercati. E non bastano le politiche di brand di singole aziende, seppur ci siano casi eccellenti. Anche il territorio è un brand, che è un cappello comune, a beneficio di tutti. Ma serve una propensione maggiore delle imprese a mettere a fattore comune alcuni fasi dell’attività di impresa. E su questo serve un salto di qualità”.
Questioni complesse, riassunte, in qualche modo, nelle proposte di Federvini al Governo che si sta formando in queste ore: “promuovere interventi di defiscalizzazione per incentivare crescita dimensionale e internazionalizzazione, dare vita a un piano di comunicazione per il vino italiano all’estero riconoscendone i valori economici, occupazionali e identitari, contrastare l’irrazionale demonizzazione delle bevande alcoliche da parte di organismi sovranazionali, attenuare i costi di approvvigionamento energetico”. Idee e tematiche sulle quali si gioca il futuro del vino italiano e dei suoi territori. Perchè, come sottolinea la presidente Federvini, Micaela Pallini, “è fondamentale ed urgente dare vita a misure straordinarie, immediate e a medio termine, per aiutare le imprese a crescere, anche attraverso acquisizioni e aggregazioni Abbiamo bisogno di imprese più grandi e di politiche per la promozione del vino italiano sui mercati esteri. Al nuovo Governo chiediamo interventi concreti, anche sul piano della tutela a livello internazionale, dove sono in atto tentativi di demonizzare le bevande alcoliche su scala globale, senza voler considerare il vero nodo da affrontare: l’educazione al consumo responsabile”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024