L’ottimismo c’è, ma più come imperativo morale di chi fa impresa, che motivato dalla realtà del momento. Che per il mercato del vino è ancora piena di difficoltà, pur con qualche segnale positivo che arriva soprattutto dall’export, a +7% nei primi 4 mesi del 2024 sul 2023 in valore, a 2,5 miliardi di euro, e +5,8% in volume, secondo i dati Istat analizzati da WineNews, e dai consumi fuori casa nel Belpaese, complice anche la stagione turistica, mentre la gdo fa ancora fatica ed è in calo (ad eccezione degli spumanti), dai dati di Circana, con vendite giù in volume del -1,9% nei primi 6 mesi dell’anno, ed una crescita a valore del +1,4, ma legata solo all’inflazione. Che continua ad essere uno dei problemi più importanti che gravano anche sul consumo di vino e sul settore, per l’erosione del potere di acquisto dei consumatori e soprattutto, sottolineano alcuni, per il costo del denaro che frena non solo i consumi stessi, ma anche gli investimenti delle imprese, indispensabili per ripartire e crescere. In un quadro che vede gli imprenditori cercare di gestire il cambiamento, e lavorare sul valore e sul posizionamento di prezzo, anche per recuperare o mantenere i livelli di redditività che negli ultimi anni hanno subito un’erosione importante, soprattutto dopo il Covid e la guerra tra Russia e Ucraina che hanno fatto aumentare i costi di produzione. E se per alcuni in questo momento va un po’ meglio l’Italia, mentre altri stanno lavorando di più all’estero, in molti guardano all’apertura di nuovi mercati ancora inesplorati, o a coltivare la crescita in quelli emergenti, per far fronte ad un calo dei consumi che nei mercati più storici e strutturati sembra lento ed inesorabile. Presto per dire che il peggio è passato, dunque, per il vino italiano, ma con uno sguardo rivolto al futuro che non può che sforzarsi di pensare positivo. È il sentiment, con tante sfumature differenti, di alcuni dei produttori italiani di primo piano incontrati, da WineNews, a “VinoVip” 2024, a Cortina, l’evento biennale della storica rivista “Civiltà del Bere”. Come Raffaele Boscaini, ai vertici di Masi Agricola, tra le realtà di riferimento della Valpolicella, Marianna Velenosi, che con la madre Angela guida Velenosi, tra le cantine più prestigiose tra Marche e Abruzzo, così come la Umani Ronchi guidata da Michele Bernetti. E ancora, Marilisa Allegrini, che con la Marilisa Allegrini mette insieme Villa della Torre in Valpolicella, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro a Bolgheri, passando per Luca Rigotti, alla guida di Mezzacorona, tra le cooperative più importanti del Trentino e d’Italia, Marzia Varvaglione, che con Varvaglione 1921 è tra i riferimenti di Puglia, e Alessandro Marzotto, ai vertici del Gruppo Santa Margherita, realtà tra le più importanti del vino italiano. “L’Ottimismo ci deve sempre essere - sottolinea Raffaele Boscaini - a prescindere dalla fatica che si può fare sui mercati. Anche se è vero che abbiamo un po’ il fiato corto negli ultimi mesi. Qualche nota positiva c’è, stiamo a vedere. Ci sono ancora in gioco dinamiche di riassetto degli stock da parte dei grandi buyer a livello internazionale, ma voglio essere positivo. Dai numeri che ci danno i nostri clienti c’è un rallentamento dei consumi, ma non tale da giustificare i dati che abbiamo visto fino ad oggi”. “Il 2024 sembra essere ancora un anno di passaggio - aggiunge Marianna Velenosi - in cui i fatturati sono in difficoltà. Lo confermano i numeri dei grandi buyer come il monopolio del mercato canadese, o di altri mercati saturi consolidati come Giappone o Germania che sono in grande difficoltà. Ma nonostante questo, si notano i primi segnali positivi da mercati che negli ultimi anni sono rimasti indietro come quelli asiatici, ma anche l’apertura di nuovi orizzonti per il vino italiano, come l’Africa o altri mercati che fino ad oggi non si sono esplorati. Direi che è un anno di passaggio in cui ci sono delle nuove opportunità per guadagnare quote di mercato”. “Sicuramente i mercati non sono tornati alla brillantezza che hanno avuto in passato - sottolinea, dal canto suo, Michele Bernetti - come dopo il Covid o anche prima. C’è molta differenza, ci sono mercati che per ragioni economiche o altro sono in sofferenza, come gli Usa, dove ci sono ancora grandi stock e concorrenza di altre bevande, o come il mercato tedesco e altri mercati Europei”. “Il mondo del vino sta affrontando grandi incognite - commenta, invece, Marilisa Allegrini - noi dobbiamo essere consapevoli di quella che è stata la nostra storia e di come affrontare il futuro. Non dobbiamo avere paura del cambiamento, ma trovare ogni opportunità in tutte le situazioni. In concreto, stiamo vivendo una fase di stabilizzazione delle vendite, ma con prospettive di miglioramento perché l’anno orribile secondo me è stato il 2023”. “Un po’ di ottimismo è d’obbligo - dice Luca Rigotti - ma la situazione è ancora difficile. È il costo del denaro che sta frenando l’economia, questo lo vediamo sia sul mercato domestico che all’export. In certe zone del mondo si mantengono meglio le posizioni, in altre si soffre di più, ma il vero problema è il costo del denaro, che erode il potere di acquisto del consumatore e frena lo sviluppo delle aziende. È un problema che se non trova una soluzione a breve fa rallentare tutta l’economia, e di conseguenza anche il vino”. “L’imprenditore - ribatte Marzia Varvaglione - ha il dovere di essere ottimista, il peggio probabilmente non è ancora passato, ma dobbiamo essere bravi ad adattarci al cambiamento, trasformare le difficoltà in opportunità, ed è quello che stiamo facendo, adattandoci al mercato e cercando altrove una nuova crescita”. “Io per natura cerco di essere ottimista, alcuni segnali positivi ci sono, ma anche tanti cambiamenti in atto. Veniamo da anni forse anche troppo positivi, poi un 2023 più difficile. È un mondo con continue novità, non tutte positive, e quindi si deve sempre stare sul pezzo e reagire al cambiamento”, sostiene Alessandro Marzotto.
Una visione abbastanza omogenea, dunque, mentre diverse sono le voci degli imprenditori, se si guarda all’andamento migliore tra Belpaese e mercati del mondo. “Io dico meglio l’Italia in questo momento, certo non si fanno le corse - sottolinea Raffaele Boscaini - ma c’è sicuramente un bel movimento anche di posizionamento, anche su più canali. Noto con piacere che nel periodo del Covid, quando davvero eravamo fermi con le vendite, si è rotto quel dogma della differenza di canale, e oggi siamo tutti multicanale”. “L’Italia è ancora in sofferenza nel canale tradizionale, quindi nella ristorazione e con i grossisti. Meglio l’estero, soprattutto per nuovi mercati che si stanno approcciando al vino italiano, dove ci sono molti investimenti da fare anche per educare il consumatore”, evidenzia, invece, Marianna Velenosi. “Alcuni mercati all’estero continuano a crescere - le fa eco Michele Bernetti - soprattutto su alcune fasce di prodotto, magari non sui vini più costosi, ma su livelli che garantiscono comunque una buona redditività. Il mercato italiano ha un po’ segnato il passo negli ultimi mesi, ma vediamo un andamento a strappi, mesi che danno segnali di grande ripresa, altri molto lenti”. “Difficile generalizzare - puntualizza Marilisa Allegrini - perché ci sono mercati esteri che vanno molto bene, e c’è un mercato italiano che sicuramente non è in crisi, ma c’è una fascia di consumatori, sui prodotti di prezzo elevato, che vede contrazioni importanti”. “In questo momento l’Italia soffre di un’economia che vive di grande incertezza, e in certe aree del mondo si fa più fatica, come in Usa, sempre per il tema del costo del denaro, anche se l’Italia sta mantenendo le posizioni, ma all’interno di un mercato che rallenta”, commenta, invece, Luca Rigotti. “L’Italia sicuramente è un “giocare in casa”, la conosciamo meglio e sappiamo più facilmente dove mettere i piedi. L’estero è un po’ più difficile, ma può dare grandi sorprese, che tutti ci aspettiamo, dalla ripresa in Usa così come nei mercati dell’Est”, dice Marzia Varvaglione. “In questo momento meglio l’estero, l’Italia adesso sta affrontando un po’ le conseguenze di quello che succede nel mondo, che un po’ ci ha impoverito. Negli Usa, più che una contrazione vera e propria, secondo me c’è un cambio di assetto nella distribuzione, quindi pensiamo in positivo. Mentre l’Europa è più in sofferenza”, sottolinea Alessandro Marzotto.
Ma se volumi e fatturati, ovviamente, sono importanti, un parametro vitale per ogni azienda, di ogni settore, è la redditività. E qualche difficoltà, anche su questo piano, c’è. “Un po’ di preoccupazione c’è, sicuramente qualche punto si è perso in questi anni”, dice Raffaele Boscaini. “Negli ultimi anni la redditività del vino è stata messa molto sotto pressione, anche con gli aumenti delle materie prime, che non sono mai tornate ai livelli pre-Covid, senza considerare l’inflazione. Ma in questo 2024 rivediamo dei segnali positivi in questo senso”, aggiunge Marianna Velenosi. “Qualche punto di redditività di certo è stato perso in questi anni, anche per il costo delle materie prime, ma diciamo che il processo inflazionistico ha consentito anche alle aziende di recuperare qualcosa sui prezzi. Se, dato alla mano, guardiamo al recente studio di Mediobanca, vediamo che c’è stata una leggera riduzione della marginalità del settore che comunque è restata buona, anche rispetto ad altri settori dell’agroalimentare che hanno subito di più”, puntualizza Michele Bernetti. Ad incidere di più sulla perdita di marginalità, secondo Marilisa Allegrini, è invece la burocrazia, “che ha fatto crescere tutti i costi di gestione dell’azienda. La redditività è sicuramente diminuita, anche di molto, se penso a quanto accadeva 10-15 anni fa, e molto è dovuto alla varie complessità delle gestione aziendale, che sono cresciute”. “In questo caso parlo da produttore di uva - commenta invece Luca Rigotti - e ritorniamo ancora una volta al costo del denaro, e all’aumento dei costi delle materie prima, tra guerra in Ucraina e Covid, che è un po’ rientrato, ma certamente non del tutto, e questo sta erodendo marginalità. E anche la remunerazione del prodotto primario che è l’uva, viene un pochettino compromessa. In più dobbiamo considerare che la vendemmia 2023 ha avuto una produzione molto contenuta. Guardiamo alla vendemmia 2024 e speriamo che il meteo ci aiuti e ci porti qualità, ma vediamo già che in certe zone per la siccità, in altre per il maltempo o per il freddo durante la fioritura, non sarà una vendemmia abbondantissima, per cui credo che il 2023/2024 sia uno dei periodi più difficili, da questo punto di vista, perché si mescolano riduzione di marginalità e minor produzione”. “La redditività è l’unica salvezza per le imprese italiane - aggiunge Marzia Varvaglione - e ricordiamoci che gli italiani sono quelli che hanno creato il lusso. Dobbiamo investire sulla qualità. Comunque, è vero che c’è l’inflazione, ma abbiamo aumentato i listini fino al 15%, e ci siamo riposizionati, e chi ce l’ha fatta riesce a contenere anche il problema del costo del denaro”. “A livello di sistema Italia il rischio di perdere redditività è molto grande - spiega ancora Alessandro Marzotto - l’aumento dei costi degli ultimi anni si è livellato, ma siamo molto lontani dal punto di partenza, e quindi dobbiamo andare alla ricerca del valore, sfruttando le nostre unicità”.
In questo contesto, il vino italiano, così come tutti gli altri, guarda con attenzione e aspettative anche alla nuova fase politica che si sta aprendo in Europa, dopo le elezioni che hanno rinnovato il Parlamento Ue. E la semplificazione burocratica e normativa è il primo pensiero di molti. “Tutti ci aspettiamo meno burocrazia, ma sappiamo che molte normative derivano da quelle Ue, anche se a volte in Italia poi facciamo normative ancora più stringenti. Dobbiamo avere una certa libertà di operare, entro regole e paletti, ma un’impresa sul mercato deve poter fare le sue mosse”, dice Raffaele Boscaini. “Io spero in una maggiore protezione del settore vinicolo, che in questi ultimi tempi ha subito molti attacchi, anche sul fronte del rapporto alcol e salute”, dice Marianna Velensoi. “Quello che ci aspettiamo è prima di tutto una semplificazione e una sburocratizzazione di tutta una serie di pratiche che non riguardano solo il vino - dice Michele Bernetti - ma tutto il mondo agricolo, e sappiamo bene quanto questo impatti sull’efficienza del riconoscimento dei contributi e della loro efficacia. E poi una riduzione o razionalizzazione di campagne che hanno messo in difficoltà il settore agricolo e vitivinicolo, come il “Green Deal” o quella sul tema “alcol e salute” che sono state affrontate in maniera forse troppo partigiana e poco equilibrata”. “Ci vorrebbe dialogo per capire quali sono le esigenze delle imprese e poi quello che viene deciso a livello politico. Affrontare le problematiche in modo congiunto, questo è il grande tema”, sottolinea Marilisa Allegrini. “In Ue negli ultimi anni il vino e l’agricoltura sono stati messi sotto la lente, il vino in particolare anche per il tema “alcol e salute”. La speranza è che inizi un nuovo percorso che sappia contemperare le esigenze di salubrità, le esigenze di minor impatto ambientale, che condividiamo, ma anche quelle del reddito del settore vitivinicolo, che è una delle economie più importanti d’Europa”, ricorda ancora Luca Rigotti. “Sul tavolo c’è il tema dei vini low e no alcol, e quello che il settore si aspetta è di avere regole per poterli produrre anche in Italia”, dice, invece, Marzia Varvaglione. “Vogliamo superare l’incertezza che c’è in tutti i periodi di elezioni, ed il 2024 è da record tra Europa e Stati Uniti. Speriamo di trovare un po’ di equilibrio, di superare l’esasperazione del conflitto, anche politico, per avere un ambiente dove è più facile creare fiducia e investimenti”, conclude Alessandro Marzotto.
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