Chi sostiene che i problemi del mercato del vino siano di una certa gravità, con anche l’export che inizia a soffrire, e chi, invece, dice che le cose (ancora) non vadano male e non si deve esagerare; chi, guardando ai soli numeri, dice che gli stock di cantina sono in linea con quelli di un anno fa (siamo sui 37 milioni di ettolitri), chi analizzandoli fa notare che, negli ultimi 2 anni, siano stati prodotti 18 milioni di ettolitri in meno sul biennio precedente; chi prende in seria considerazione l’idea di espiantare vigna in alcune zone per ridurre la produzione a fronte di un mercato che non tira, e chi la considera solo un’estrema ratio da evitare in ogni modo, e spinge di più per un blocco di un anno o due o, comunque, per una diversa gestione delle autorizzazioni per i nuovi impianti (al massimo di un 1% all’anno secondo la norma Ue); chi guarda di buon occhio alla riduzione delle rese per ettaro delle Dop per limitare la produzione, magari bloccando la possibilità di rivendicare le eccedenze ad Igp, e chi, invece, sostiene che questo blocco metterebbe ancor più in difficoltà le aziende che lavorano in quei territori in cui il valore del vino non è molto elevato; chi invoca un patto di filiera che spinga chi ha margini a fare qualche sacrificio, per esempio chiedendo alla ristorazione di rivedere a ribasso i ricarichi sul vino per vendere qualche bottiglia in più, e chi sottolinea che i costi si sono alzati e i margini compressi anche per i ristoranti, e che il campo di intervento è poco. Tante visioni diverse, e per certi versi contrastanti, quelle che arrivano da alcune delle voci che rappresentano la filiera del vino, e che riflettono la complessità reale di una situazione del settore che alcuni chiamano crisi e altri no, ma per uscire dalla quale è difficilissimo trovare delle contromisure. A mettere tutti d’accordo, in ogni caso, è la consapevolezza che ci si trovi in una fase di profondo cambiamento, dove il mercato va compreso e ascoltato come non mai, ma anche con la convinzione che il vino, che accompagna l’uomo da millenni e che ha superato tanti momenti difficili, anche peggiori di quello attuale, di certo non scomparirà dagli scaffali e dalle tavole del mondo. È il quadro emerso, nella presentazione delle stime sulla vendemmia 2025 di Assoenologi, Ismea e Unione Italiana Vini (Uiv), oggi a Roma, dalle parole, tra gli altri, del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, del presidente Ice, Matteo Zoppas, di quello di Unione Italiana Vini (Uiv) Lamberto Frescobaldi, di quello di Assoenologi, Riccardo Cotarella, del dg Ismea, Sergio Marchi, e del segretario generale Ceev, Ignacio Sanchez Recarte.
“Il vino italiano sta affrontando una fase complessa che vede una vendemmia positiva, ma con mercato saturo e dazi Usa penalizzanti, seppure alla tariffa base del 15%. Nonostante un calo del 4% nei volumi di export, nei primi 5 mesi 2025 il valore si mantiene stabile a 3,2 miliardi sullo stesso periodo dello scorso anno. Il mercato americano si conferma strategico e, anche se nel periodo gennaio-maggio di quest’anno appare una crescita del 5,79%, non bisogna pensare che questo trend possa durare, figlio di logiche di stoccaggio che sta vedendo un sell-out sul mercato che non dà per nulla conforto”, ha detto il presidente Ice, Matteo Zoppas, sottolineando che “i numeri ci stanno un po’ preoccupando. In questo contesto, Ice Agenzia rafforza il suo ruolo a supporto del made in Italy, sostenendo le imprese italiane con strategie diversificate. Tra queste l’organizzazione di Vinitaly.Usa, il 5 e il 6 ottobre a Chicago, e Simply Italia a Miami ed a Dallas; la promozione di alleanze con partner statunitensi (importatori, distributori, ristoratori) per iniziative congiunte di sensibilizzazione contro i dazi; e l’apertura di nuove traiettorie di internazionalizzazione accelerando la diversificazione verso nuovi mercati. Nel primo semestre 2025 abbiamo già realizzato 20 iniziative promozionali dedicate al vino, che hanno coinvolto oltre 240 aziende del settore e 440 operatori, e altre 35 sono in valutazione. La qualità del vino italiano e il nostro impegno nel percorso di “education & tasting” ci permetteranno di superare anche questa fase di mercato saturo, consolidando la leadership internazionale del settore”. E sui dazi Usa, ha aggiunto Zoppas, “speriamo ancora in novità dalle trattative tra Usa e Ue, che non si sono mai fermate”.
Eppure, “visto il passato, ma anche il presente, dobbiamo essere ottimisti. Le cose potrebbero peggiorare, ma non è detto che lo facciano - ha detto il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida - veniamo da un 2024 da record dell’export di vino con 8 miliardi di euro, abbiamo visto comunque una crescita, dobbiamo cercare di prevenire le problematiche ed intervenire con ricette organizzate. I francesi ci hanno insegnato per anni a dare valore aggiunto ai prodotti di qualità, oggi, e da qualche anno, non abbiamo più da imparare da nessuno, guardiamo alle nostre qualità senza emulare gli altri. Ci sono i dazi in Usa, certo, ma c’è anche l’elemento di svalutazione del dollaro che mi preoccupa ancora di più. In ogni caso stiamo lavorando perché il vino sia esentato dai dazi, insieme ad altri Paesi europei. Il crollo dei consumi è un altro problema, e in questo senso il cambio di rotta degli Usa sulle Linee Guida per la salute (oggi più orientate ad un consumo moderato di alcol che al “no safe level”) è un segnale importante. Dobbiamo investire di più nel supporto alla promozione. Abbiamo voluto il Tavolo Vino per capire come affrontare una situazione che, numeri alla mano, non si può chiamare crisi. Sugli estirpi non sono molto favorevole, semmai si può pensare a riconvertire, ma abbandonare il terreno spendendo anche risorse no, sarebbe anche contrario alla visione dell’agricoltore come custode del territorio. Cercheremo altre strade, altre visioni, trovando il più possibile ampio consenso dove l’unanimità non è sempre possibile. Ma serve una strategia di lungo periodo. Del vino non se ne farà a meno, vanno garantite la quantità e il valore del prodotto. A breve riuniremo le associazioni per capire quale elemento sia più efficace per la campagna sul consumo consapevole, tenendo contro del tema della salute, dei controlli e della salubrità del prodotto. Sulla promozione abbiamo implementato, tra gli altri, le sinergia con Vinitaly, non solo per avere una grande vetrina a Verona, ma anche in eventi come quello di Chicago, e non solo. E penso anche all’impegno sul vino di Bolognafiere (con Fivi-Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti e Slow Wine, ndr) che stiamo sostenendo”.
Insomma, è pur vero che “la forza del vino italiano non è in discussione, visto che l’Italia è Paese n. 1 per produzione, secondo per valore dell’export e terzo per consumi - ha detto il dg Ismea, Sergio Marchi - e in fondo anche le giacenze di cantina non sono così tante, visto che siamo sui livelli dello scorso anno”. I numeri lo dicono ma, ha sottolineato il presidente Unione Italiana Vini (Uiv) Lamberto Frescobaldi, insieme al segretario generale Paolo Castelletti, “è anche vero che veniamo da un biennio in cui abbiamo prodotto 18 milioni di ettolitri in meno rispetto a quello precedente altrimenti la situazione sarebbe ben diversa. Dobbiamo ascoltare il mercato, che oggi ci dice che l’ideale sarebbe arrivare a vendemmie da 40 milioni di ettolitri, non di più. Dobbiamo ridurre la produzione, ma, secondo me, la via degli estirpi dei vigneti non è la via maestra. Anche perché il vigneto porta ricchezza, basti pensare che, in media, richiede 220 ore per ettaro, contro una coltura come il mais, per esempio, che si ferma a 9 ore. Vigna vuol dire anche lavoro, e quindi presidio dei territori. Pensiamo a Montalcino per esempio, che 30-40 anni fa, senza la vigna diffusa come è ora, era tutto diverso. Secondo me - ha aggiunto Frescobaldi - la cosa più utile sarebbe ridurre le rese, e plaudo a quei consorzi che hanno tagliato anche del 20%, per mantenere i valori e la redditività. Certo è un sacrificio, ma si dovrebbe fare un passo ulteriore, rivedendo anche il Testo Unico del Vino, ovvero vietare che le eccedenze delle Dop possano ricadere nelle Igp, perché altrimenti c’è troppo vino lo stesso, e le stesse Igp non si capisce mai quale potenziale produttivo abbiano realmente. Insomma togliere vigna per chi produce vino è una ferita, né possiamo chiedere allo Stato, e quindi ai contribuenti, di finanziare gli estirpi dopo che per anni abbiamo finanziato i nuovi impianti. Semmai è da valutare se bloccare per 1 o 2 anni la possibilità di farne di nuovi, rivedendo il regime dell’1% annuo massimo previsto. Ma anche qui bisogna riflettere, perché non tutte le aziende o territori hanno le stesse necessità, e non si deve neanche limitare troppo la libertà di impresa. E teniamo conto anche che la liquidità dalle banche si ottiene anche in base al valore fondiario: meno vigneti o uve di minor valore complicherebbero anche questo aspetto”, ha detto ancora Frescobaldi. Secondo il quale “brindiamo ad un’annata qualitativamente eccellente, ma non per le quantità. Alle attuali condizioni di mercato, sarà difficile garantire la giusta remunerazione alla filiera con una vendemmia da 47,4 milioni di ettolitri a cui si aggiungeranno verosimilmente 37 milioni di ettolitri di vino in cantina. Ci troviamo a fare i conti con difficoltà che non riguardano solo l’Italia, ma tutti i Paesi produttori. La qualità del nostro vino è indiscussa, ma anche il buono, se è troppo, fa perdere valore al comparto. In questo momento storico proponiamo di rivedere gli schemi produttivi, a partire dall’impianto legislativo del Testo Unico, con l’obiettivo di attivare un sistema a fisarmonica del nostro potenziale, che sia in grado di aprirsi o comprimersi a seconda delle dinamiche di mercato. Proprio sul trade si gioca la partita decisiva, che auspichiamo possa passare da una campagna di promozione straordinaria, a regia pubblico-privata, negli Usa e sui mercati più promettenti”.
Ma non ci si deve, comunque, lasciare andare al pessimismo, ha ribadito il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella. “Sembra che stiamo ungendo il morto, ma non è così. Ci sono problemi importanti, alcuni ce li siamo creati, altri sono esterni, ma il vino ha superato di peggio. Nel 1986 (anno dello scandalo del metanolo) per mesi non abbiamo venduto una bottiglia di vino, ma poi il vino è risorto con la forza che abbiamo visto. Abbiamo problemi importanti, abbiamo tanta produzione, siamo l’unico Paese al mondo che, dal 2016 ad oggi, ha aumentato la superficie viticola. Un altro problema è la mancanza di imprenditorialità dei produttori: dobbiamo abbandonare il pressappochismo, il fare vino solo per passione senza programmazione, come fanno tanti, altrimenti non si spiegherebbe l’aumento di impianti dove c’è crisi di mercato. E il vigneto non è una coltura annuale che si cambia a seconda delle esigenze come fossero patate o pomodori. E se è vero che le giacenze non sono aumentate - ribadisce Cotarella - è vero che si viene dal 2023, la produzione più bassa da decenni, altrimenti il quadro sarebbe diverso. Ma non ci siamo mai posti il problema che il vino va visto dalla fine, ovvero da dove posizionarlo nel mercato. A volte si fanno vigneti senza un’idea di dove vendere, cosa vendere e a quanto vendere. Ridurre le produzioni è importante. Ma non basta il blocco degli impianti, anzi - ha detto Cotarella - qualche azienda potrebbe anche avere bisogno di aumentare il vigneto per le sue esigenze commerciali. E anche sul blocco delle ricadute sulle Igp per le eccedenze delle Dop stiamo attenti: in territori dove il vino vale molto può essere, in altri dove i valori sono più bassi questo potrebbe creare ulteriori problematiche di sostenibilità economica delle imprese. In ogni caso serve, però, un patto di solidarietà - ha aggiunto il presidente Assoenologi - lungo tutta la filiera, con qualche sacrificio soprattutto per chi ha più margine, perché va a beneficio di tutti. Per esempio, sarebbe utile se la ristorazione abbassasse un po’ i ricarichi per vendere qualche bottiglia in più. Non possiamo imporlo, ovviamente, ma possiamo chiederlo”.
Un punto questo, sui cui il presidente Uiv Lamberto Frescobaldi, però, è scettico: “sarebbe utile, ma faccio anche il mestiere di ristoratore (con i ristoranti del gruppo Frescobaldi, ndr), e anche lì i costi sono aumentati e i margini si sono ridotti, non c’è grande spazio di manovra”. In ogni caso, continua Cotarella, “dobbiamo anche fare uno sforzo di comunicazione. Abbiamo visto bottiglie di vino andare nello spazio, sulla luna e così via ... Ora dobbiamo riportare il prodotto vino alla sua identità, come prodotto che viene dalla terra e dal lavoro dell’uomo, con meno stravaganze. Riaffermare che il vino è un prodotto di normale consumo, accessibile a tutti, non un bene straordinario per pochi. Un vino, anche il più pregiato, non dovrebbe superare - ha detto provocatoriamente Cotarella - i 40 euro a bottiglia, mentre vediamo prezzi stellari, inarrivabili per i più. Insomma - ha concluso - dobbiamo fare squadra lungo tutta la filiera, anche guardando a chi verrà dopo di noi”. Anche perché la qualità è imprescindibile, ma per farla servono investimenti, come ha ricordato Frescobaldi: “è vero che siamo cresciuti molto, ma perché è cresciuto economicamente il settore negli ultimi decenni, e ci siamo potuti permettere tecnologie migliori, conoscenze migliori, agronomi ed enologi migliori”. E la riprova, ha detto Cotarella, insieme al dg Assoenologi Paolo Brogioni, viene proprio dalla vendemmia 2025: “fino ad una ventina di giorni fa la situazione appariva nel complesso equilibrata, con il Centro-Nord che registrava una progressione regolare della maturazione delle uve, favorita da un clima bilanciato tra sole e piovosità. Successivamente, però, le piogge eccessive hanno determinato criticità in diverse aree, mentre il Sud del Paese, comprese le Isole, ha dovuto fare i conti con la siccità e con una preoccupante carenza di precipitazioni. Da questa anteprima della vendemmia - ha sottolineato ancora il presidente Assoenologi Cotarella - emerge, tuttavia, un dato incoraggiante: la qualità delle uve si preannuncia molto buona, in alcune zone addirittura eccellente. È un aspetto fondamentale, perché in un momento complesso come quello che stiamo vivendo, la qualità dei vini diventa un elemento decisivo anche sui mercati e richiede un’attenzione ancora maggiore nella loro preparazione. In questo scenario contraddittorio e imprevedibile, ancora una volta il ruolo degli enologi si conferma centrale: la loro scienza, esperienza e conoscenza sono strumenti indispensabili per affrontare al meglio i cambiamenti climatici e per garantire una conduzione più lineare e sicura dei vigneti e delle cantine. È grazie al lavoro quotidiano degli enologi che il settore vitivinicolo può rispondere con competenza ad un clima sempre più incerto”.
Insomma, come detto, se la vigna conforta, è il mercato che preoccupa, non solo in Italia, come illustrato da Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), l’associazione che rappresenta le aziende vinicole europee nell’industria e nel commercio di vino (guidata dalla produttrice italiana Marzia Varvaglione, ndr): “a livello Ue, si prevede che la vendemmia 2025 sarà lievissimamente più abbondante rispetto al 2024. Mentre la Spagna si trova ad affrontare un raccolto più leggero a causa di eventi climatici, ciò sarà compensato dai raccolti in aumento in Italia ed in Francia, nonostante l’estirpazione in alcune regioni francesi. Quest’anno, tuttavia, le preoccupazioni non sono state guidate solo dalle previsioni meteorologiche. La politica commerciale, e in particolare le recenti notizie sulle tariffe statunitensi, è diventata una questione centrale per la sostenibilità a lungo termine del settore. Ci troviamo a guardare sia il cielo che le notizie Tv. Per dare un’idea, in Francia, la riduzione della produzione è dovuta non solo al clima, ma anche a scelte precise, come il taglio delle rese in Champagne, per esempio, al -25% rispetto al 2023, o all’estirpo di 20.000 ettari di vigna, di cui 8.000 a Bordeaux e 10.000 in Languedoc-Roussillon. Ed ancora, pensiamo agli Usa, dove al di là dei dazi, il consumo di vino è in calo, e quello di alcolici in generale è al punto più basso da 90 anni. Ed i dati che abbiamo ci dicono che nella vendemmia americana, soprattutto in California, saranno lasciate sulle piante 100.000 tonnellate di uva, per non inflazionare la produzione”.
Tante testimonianze, insomma, di una situazione complessa come non mai, quella della filiera del vino, italiana e mondiale. Per uscire dalla quale, trovare soluzioni che possano andare bene per tutti è un dovere di tutte le parti in causa, ma è anche un esercizio quanto mai difficile da compiere.
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