Addirittura il Novello è comparso nelle vetrine di Manhattan lo stesso giorno del debutto in Italia. I tartufi piemontesi sono sbarcati a New York e San Francisco scortati da bottiglie di Barolo e Barbaresco. Il Brunello di Montalcino del ‘97 è un regalo status symbol più apprezzato di un biglietto per una partita dell'Nba. L'America è diventata una gigantesca enoteca italiana e l'autunno/inverno 2002 porta con sè il trionfo dei profumi e dei sapori del Bel Paese, accompagnato da cifre di mercato che raccontano un sorpasso un tempo impensabile: nel periodo gennaio-luglio 2002, secondo i dati dell'Istituto per il Commercio Estero (Ice), l'importazione dall'Italia ha superato di gran lunga quella dalla Francia: 393 milioni di dollari di valore contro 326 milioni, con un incremento per i vini italiani pari al 24,43% sul 2001. Conosciuto solo dagli intenditori fino a venti anni fa, in pieno decollo dalla metà degli anni ‘90, il vino è ora una delle forze trainanti del “made in Italy” in terra statunitense. Campagne di marketing vincenti hanno portato i rossi e i bianchi d’Italia in tutte le grandi città sulle due coste del Paese ed è in piena evoluzione la campagna per la conquista delle tavole nei ricchi stati centrali degli Usa, dal Texas al Michigan.
“Il mercato può crescere ancora, molte parti del paese non sono state raggiunte in pieno”, spiega Robert A. Galasso, vicepresidente di Opici Import Company, uno dei maggiori importatori di vini italiani negli Usa. A rafforzare il mito provvedono le promozioni, che questo autunno si sono lasciate trasportare dalla creatività: il Novello della casa vinicola veneta Mionetto è arrivato in volo con un’anteprima di 1.000 casse, grazie ad un accordo con l’Alitalia, e per la prima volta è comparso nei negozi lo stesso giorno (6 novembre) della distribuzione in Italia. Il Piemonte ha mandato Barolo, Barbaresco e Asti ad innaffiare una spedizione di tartufi bianchi che ha vissuto momenti insoliti: addirittura, a San Francisco un cane da tartufi abituato a setacciare le Langhe e il Monferrato ha dato una dimostrazione delle sue capacità, dissotterrando preziosi tuberi seppelliti per l’occasione ai piedi del Ponte Golden Gate. “C’è grande orgoglio per i risultati che stanno ottenendo i vini italiani - spiega Roberto Luongo, direttore dell’Ice a New York - che vanno di pari passo con la promozione in tutti i campi dell’“Italian lifestyle”. La nostra prossima frontiera è allargare il giro dei consumatori. Abbiamo fatto indagini di mercato e notato che, tra chi acquista, i veri esperti sono un 10%, mentre il resto sta ancora muovendo i primi passi nel mondo dei vini italiani. Su di loro possiamo migliorare”.
La conferma arriva dalla ristorazione: “i nostri clienti americani seguono molto i trend e vanno sul sicuro con i vini toscani e piemontesi”, dice Orazio Gioiosi, che dirige nel cuore di Manhattan il ristorante “Salute!”. “ Chianti e Brunello di Montalcino i più richiesti”. La supremazia dell’Italia non è solo in termini di ettolitri di “oro rosso” importato, ma è riconosciuta soprattutto sul piano della qualità: la prestigiosa rivista “Wine Spectator” sta incoronando, anno dopo anno, gli migliori etichette italiane: Solaia, Ornellaia e Brunello di Montalcino (ben sette nei primi cento vini del mondo, terzo quello di Castello Banfi).
“Da ogni punto di vista, gli italiani sono il nostro prodotto di vendita numero uno”, ha detto alla rivista Don Zacharia, titolare di “Zachys”, una delle più famose enoteche di New York. Ma lo stesso Zacharia ha messo in guardia su un rischio: i vini italiani cominciano a costare un pò troppo e questo potrebbe interrompere la magia. Nei negozi di Manhattan i “red Tuscan” (in genere, Chianti Classico) vanno dai 7 ai 25 dollari a bottiglia, i piemontesi (Barbera, Dolcetto, Barolo) sono in vendita a prezzi tra i 10 e i 70 dollari e i “super Tuscans” (dal Brunello al Sassicaia) hanno prezzi compresi tra i 40 e i 165 dollari a bottiglia.
“I prezzi troppo alti sono sicuramente un pericolo, specialmente in questo momento dell'economia americana”, conferma Galasso della Opici. Ma per il momento il mercato degli Usa sembra ben lontano dall’ubriacatura da vini italiani. Nell’immediato futuro un nuovo ruolo potrebbe toccare ai prodotti del Sud: “ci sono grandi spazi di crescita per i vini del Mezzogiorno - spiega Luongo - Per le produzioni vinicole della Campania, della Sicilia o della Puglia ci sono notevoli potenzialità negli Usa. E' un settore su cui stiamo lavorando”.
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