Se il vino è il campione delle esportazioni italiane negli Usa, grazie a spedizioni per oltre 1 miliardo di dollari sui 2,5 totali dell’agroalimentare tricolore, che nei primi 6 mesi del 2018 ha visto una crescita complessiva del +13,8%, il Belpaese è leader di mercato in tanti altri prodotti che finiscono sulla tavola degli americani, dall’olio d’oliva ai formaggi, dalla pasta alle acque minerali. Emerge dai dati dello Us Department of Commerce analizzati dall’Ice, da cui emerge un’Italia primatista in diversi settori strategici, e sesto fornitore degli Stati Uniti nel complesso di prodotti agroalimentari. Con un paniere in cui, come detto, il vino è la voce più importante, e pesa per il 39,7%, e con li restante 60% fatto soprattutto da olio d’oliva (20%), pasta (12%), formaggi (11%), salse e altre preparazioni (9%), conserve vegetali e prodotti da forno (7%), e acque minerali (6%).
In particolare, spiega l’Ice a WineNews, l’Italia mantiene in modo decisivo il primato nelle importazioni di olio d’oliva sia in termini di valore nonostante una difficile annata olearia (2017) che ha riacceso i riflettori sui competitor dell’Italia sul mercato internazionale degli oli di oliva, principalmente la Spagna.
Il Belpaese, nonostante un -8,2% in volume sul 2017, nella prima metà del 2018 ha esportato olio per 275 milioni di dollari, con una crescita del 4% in valore, ed una quota di mercato dominante, con il 37,5% in valore ed il 33,6% dell’olio extravergine in Usa. E anche nei formaggi l’Italia primeggia, grazie ad un balzo in valore del 19,6%, per 154 milioni di dollari, ed una quota di mercato del 25,5% in valore, il doppio rispetto alla Francia, al secondo posto. Belpaese che doppia il primo competitor, il Canada, anche sul fronte della pasta, il cui export verso gli Usa è cresciuto del 18,1%, toccando quota 162,8 milioni di euro, ed una quota di mercato del 35,5% in valore. E anche nelle acque minerali il primato italiano è solido, con un valore di 95 milioni di euro, in crescita del 21,3%, ed una quota di mercato del 34,5%. Ma il Belpaese cresce a doppia cifra anche in altri settori, da quello delle salse (125 milioni di dollari, +26,9%) a quello delle conserve vegetali (97,5 milioni di dollari, +13,1%), dai prodotti da forno (80 milioni di dollari +28,7%) al caffè (50,8 milioni di euro, +5,1%). Una crescita organica, dunque, grazie al lavoro delle imprese, accompagnato dalla campagna di supporto firmata dall’Ice su impulso del Ministero dello Sviluppo Economico, in campo dal 2015, che punta sulla comunicazione diretta ai consumatori anche per combattere contraffazione ed “Italian Sounding”, accordi con retailers e promozioni in oltre 6.500 punti vendita, incoming di operatori alle principali fiere di settore del Belpaese (da Cibus a Tutto Food, dal Sana a Vinitaly), e la presenza alle più importanti manifestazioni in Usa, dal Winter e Summer Fancy Food (a San Francisco e New York) e Plma di Chicago dedicata al private label (già coinvolte oltre 1.000 aziende italiane e realizzati oltre 14.000 incontri B2b). In particolare, il claim della campagna 2018, mirata alla crescita della conoscenza del prodotto italiano autentico, punta sull’etichetta, e non a caso il claim è “The label says it all - Choose only genuine products from Italy” https://youtu.be/ym-owWukfYc, ed è rivolta ad un target importante nei consumi americani, ovvero le donne tra i 25 ed i 54, soprattutto di New York, California, Illinois, Texas e Florida, “foodies” e con un reddito annuo di oltre 75.000 dollari. Una campagna digital, ma anche sulle principali riviste di settore, che in soli tre mesi ha messo insieme oltre 348milioni di impressions -di cui oltre 321 milioni solo sui canali digital-e che si accompagna alle tante informazioni fornite dal portale www.italianmade.com e sui social media Italiancrafted.
Focus - Il made in Italy agroalimentare in Usa secondo Maurizio Forte, direttore dell’Ice di New York
“Nel settore agroalimentare si registra un trend positivo, con l’Italia che per gli Usa occupa il primo posto fra i fornitori esteri di diverse categorie (vini fermi, olio di oliva, pasta, formaggi e acqua minerale) e il sesto posto sull’import complessivo. Nei primi 6 mesi del 2018 e’ stata registrata una variazione positiva del 13,8 % in valore, che ha confermato l’interesse del consumatore americano verso i prodotti italiani. In particolare il vino, che costituisce la categoria principale, pari al 39 ,7 % dell’intero paniere agroalimentare e bevande esportato, seguito dall’olio d’oliva (11%) e pasta e formaggi (6% ciascuno). Nel 2017 le importazioni dall’Italia hanno sfiorato i 4,8 miliardi di dollari e da gennaio a giugno 2018 sono già stati raggiunti i 2.524 miliardi di dollari”. A sottolinearlo, a WineNews, il direttore dell’Ice di New York, Maurizio Forte.
Un successo legato anche al fatto che, come dice sempre la chef e star della tv americana Lidia Bastianich, quella italiana è la cucina “etnica” più amata negli Stati Uniti.
“In un recente studio più del 70% degli americani dichiara di preferire la cucina italiana - conferma Forte - a qualsiasi altro tipo di cucina. Pur essendo popolari anche la cucina messicana, giapponese e quella cinese, i cibi italiani hanno dalla loro la qualità riconosciuta in tutto il mondo, la varietà di sapori e una tradizione d’eccellenza. Il gusto, l’eleganza e l’autenticità del cibo italiano non hanno pari. La ristorazione italiana negli Usa si va sempre più elevando, nell’intento di comunicare al consumatore le proprietà degli ingredienti e il valore aggiunto insito nei prodotti autentici italiani. Gli chef italiani rivestono ormai un ruolo fondamentale nel preservare e trasmettere i valori della nostra cucina, del territorio e della ricerca continua di nuove ricette e abbinamenti, che possano coniugare la tradizione con l’innovazione”.
Un mercato grande, florido ma complesso, fatto di tante regole diverse, e di barriere, spesso, non commerciali. “Ma non ci sono elementi particolari da temere. Le aziende devono prepararsi adeguatamente ad affrontare questo mercato - spiega Forte - anche avvalendosi del supporto dell’Agenzia Ice, informandosi sulle normative relative all’etichettatura, al packaging, oltre che alle complesse richieste rispetto alla logistica. È un mercato nel quale dialogare con il consumatore attraverso i social media può fare la differenza, nel comunicare la qualità e le caratteristiche del proprio prodotto, oltre naturalmente all’autenticità”.
Comunicare il valore dell’autenticità e combattere l’Italian Sounding, non a caso, sono proprio gli obiettivi principali della campagna di comunicazione in corso, “focalizzata a sollecitare il consumatore a leggere l’etichetta per verificarne autenticità. I valori di questa campagna sono principalmente l’“awareness”, cioè aumentare la conoscenza dei prodotti “made in Italy” per contrastare il fenomeno dell’“italian sounding”, la “reputation”, per creare un alto valore percepito del prodotto made in Italy originale, abbinandolo anche a concetti come la salubrità del prodotto autentico italiano, oltre che molto sicuro grazie ad un rigoroso sistema di controlli, ed infine la “relevance”, cioè rendere il prodotto originale made in Italy e ad indicazione di origine un fattore critico di successo commerciale e una “reason to buy” determinante”.
E se sul vino il primo competitor è la Francia, sul food la situazione è più variegata. “Nel vino, formaggi e acque minerali il nostro principale competitor è la Francia, nell’olio di di oliva la Spagna è un concorrente molto agguerrito, mentre nella pasta, anche se a distanza, dopo l’Italia c’è il Canda”. Le prospettive, in ogni caso, sono positive: “la ricerca State of the Specialty Food Industry pubblicata pochi giorni fa dalla Specialty Food Association, evidenzia una crescita del segmento Specialty Food del 12,9% rispetto all’1,4% registrato dai prodotti alimentari ordinari. La dimensione della categoria Specialty ha ormai raggiunto un valore di 140 miliardi di dollari annui, con un incremento maggiore nel canale foodservice. Questo conferma che il consumatore americano e’ sempre più attratto da prodotti ad alto valore aggiunto e tale interesse viene registrato in tutte le generazioni, inclusa quella degli IGens (18-23 anni) che iniziano ora ad essere analizzati”. Una tendenza che, per l’eccellenza italiana, è decisamente favorevole.
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