Bagaglio aromatico fatto di note di cenere o sulfuree, progressione gustativa “rocciosa”, che rimanda al sale, alla pietra e all’energia. Queste, in sintesi, le caratteristiche più salienti dei vini ottenuti in zone dove un tempo (assai lontano, migliaia o centinaia di migliaia, se non milioni di anni) esistevano dei vulcani o dove esistono ancora e continuano ad essere in attività. Ma quali affinità e quali divergenze interessano questi vini? È questa la domanda a cui si è cercato di rispondere, oggi, a Soave, nel convegno-dibattito, di scena nella cittadina dove viene prodotto uno dei bianchi più significativi del panorama enologico italiano, a “Vulcania”, organizzata dal Consorzio di tutela del Soave (www.ilsoave.com), promossa per comprendere le intriganti qualità di questi prodotti.
Interrogativi affascinanti e suggestivi per una sorta di vera e propria tipologia a se stante di vini, a cui ha risposto un esperto del calibro di Attilio Scienza, cattedra di viticoltura all’Università di Milano: “più divergenze che affinità, per il semplice motivo che vanno considerate le condizioni climatiche in cui questi vini sono prodotti, i vitigni e tutta un’altra serie di varianti enorme. Il clima influenza molto di più delle caratteristiche dei suoli vulcanici. Ma evidentemente un suolo vulcanico e più ricco di microelementi e i vini naturalmente ne risentono e sono qualitativamente diversi, presentando soprattutto aromaticamente delle peculiarità, difficilmente misurabili però in modo sistematico”.
Vini “underground”, potremmo dire, nel senso che vengono ottenuti da viti, capaci di “impadronirsi” proprio di quei microelementi della terra in grado di restituire originalità e personalità nel bicchiere. Qualità che però solo i terreni di origine vulcanica e/o ancora effettivamente vulcanici riescono a trasformare in suggestioni speciali come, immediatamente, accade per i vini dell’Etna o del Vesuvio.
Un piccolo mondo popolato in Italia da zone di produzione significative come lo stesso Soave, l’Etna, i Campi Flegrei, il Vesuvio e Pitigliano. Ma un piccolo mondo in assoluto visto che “l’% di depositi vulcanici, nutre il 10% delle forme di vita del globo - spiega il dottor Diego Tommasi del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura Cra-Vit di Conegliano - di più, i suoli di origine vulcanica sono molto evoluti, profondi e ancora integri, ricchi di silicio e assolutamente ancora vivi dal punto di vista microbiologico”. Da preservare e valorizzare.
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