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Wine & Fashion: le affinità elettive tra vino e moda, punte di diamante del “made in Italy” nel mondo. Ecco gli elementi in comune tra i due settori … A Vinitaly (Verona, 3/7 aprile) si animano le passerelle dell’enologia

Sono le due punte di diamante dell’export made in Italy nel mondo: il vino e la moda del Belpaese continuano a mietere successi internazionali - solo negli Usa le vendite di vino italiano nel 2007 registrano un valore di 1,13 miliardi di euro, mentre la moda tocca quota 6,5 miliardi - contribuendo a risollevare l’immagine un po’ appannata dell’Italia. Archiviate le sfilate di moda di Milano, Parigi e New York, si animano le passerelle dell’enologia: a Vinitaly (3-7 aprile a Verona) sono protagoniste le etichette di casa nostra, pronte ad esibirsi in uno dei più importanti eventi internazionali dedicati al vino. La kermesse veronese, che ospita i migliori marchi dell’enologia italiana, offre la possibilità di una interessante comparazione tra il vino e la moda, svolta dal sito www.winenews.it: i due settori sono entrambi caratterizzati da un grandissimo valore aggiunto di immagine e da una schiera di fan - fashion victims da una parte ed enoappassionati dall’altra - che li seguono con attenzione maniacale. Qualche esempio di elementi in comune? L’haute couture, le grandi griffe che fanno sognare; i prodotti low cost, abiti e vini a basso prezzo; la “democratizzazione” del lusso, ovvero il trionfo delle seconde linee; gli investimenti in ristoranti e hotel di alto livello; gli stilisti che diventano vigneron e la tendenza vintage.

Haute couture, le griffe che fanno sognare
Nella moda la haute couture sta al pret-à-porter come i sogni alla vita: senza la capacità di immaginare, sperimentare ed andare al di là delle nostre possibilità il mondo sarebbe più grigio. La haute couture è anche un laboratorio in cui sperimentare nuove idee: certi abiti disegnati da John Galliano per Dior, da Nicolas Ghesquiere per Balenciaga o da Karl Lagerfeld per Chanel se li possono permettere pochissime donne al mondo, perché iper-costosi e talvolta al limite dell’importabile, eppure è da queste linee immaginarie che partono le tendenze per gli abiti che porteremo tutti tra dieci anni.
Anche nel mondo del vino può essere individuato un segmento top, rappresentato da quegli antichi blasoni che fanno della tradizione - talvolta secolare - della ricerca della qualità assoluta e delle nobili origini i propri punti di forza: sono grandi e famose maison i cui vini sono considerati dagli appassionati vere opere d’arte, fatti con l’intelletto e con il cuore, prodotti artigianali di alta gamma. Non sono alla portata di tutti, ma proprio quest’aura di mito conferisce loro un ulteriore valore intangibile.

La “democratizzazione” del lusso
Il mercato del lusso è in pieno boom in tutto il mondo, e le griffe made in Italy vanno forte soprattutto all’estero (in particolare nei mercati emergenti come ex Unione Sovietica, India e Cina, che vantano un numero crescente di “nuovi ricchi”). A fronte dell’inarrestabile avanzata dei grandi marchi fuori dai confini nazionali, il nostro Paese vive dall’altra parte il paradosso di una crisi economica che va a colpire sempre più famiglie. Ma i marchi di prestigio, intoccabili a causa del prezzo per la grande maggioranza della popolazione, vedono accrescere la loro desiderabilità. Le griffe della moda se ne sono accorte ed è per questo che sono nate le seconde e terze linee delle collezioni, a prezzi molto più abbordabili (per non parlare ovviamente del fiorentissimo settore degli accessori - occhiali, borse, cinture, orologi, ecc., che assicurano un immediato effetto cash alle aziende). Dolce & Gabbana firmano D&G, Roberto Cavalli propone Class, Versace ha inventato Versus, anche se il precursore di questa tendenza è stato Giorgio Armani con Emporio Armani. Lo stesso meccanismo vale anche per il vino: molte grandi griffe producono anche bottiglie che, pur godendo del prestigio di un brand arcinoto, hanno costi più contenuti, permettendo ad un più vasto numero di appassionati di bere “firmato”.

Lusso vs. low cost, nella moda e nel vino scompare il “ceto medio”
Nel terzo millennio la propensione all’acquisto si polarizza: lusso o low cost, non ci sono vie di mezzo. Tende a scomparire la categoria media di prezzo, e sia nel vino che nella moda i consumatori si dividono sempre più tra segmento top e segmento low budget, anche se non sono rari casi di nomadismo e “mix & match” tra l’una e l’altra sponda. Il settore lusso non risente della congiuntura sfavorevole, ed i ricchi planetari continuano ad acquistare gli abiti di Armani o di Prada, indipendentemente dal prezzo. Dall’altro lato non c’è capitale europea - da Parigi a Milano, da Londra a Madrid - in cui gli store di Zara, Mango ed H&M non siano presi d’assalto da folle di ragazze e signore pronte a tutto pur di accaparrarsi un capo dell’ultima collezione. Abiti chic venduti a prezzi accessibili a tutte le tasche. Soprattutto quelle dei più giovani, che non potrebbero permettersi le grandi firme ma amano comunque vestirsi trendy.
Anche nel mondo del vino stiamo assistendo negli ultimi anni ad un fenomeno analogo: per i top wines non si intravedono flessioni né sul mercato interno (sempre più selettivo), né sul mercato internazionale, in sostenuta espansione. Ma i clienti dei top wines italiani stanno appunto nel mondo, e assai meno in Italia. I consumatori del “ceto medio” del vino nel nostro Paese non ci sono più, e il mercato appare decisamente divaricato: la grande massa del consumo è nella fascia bassa. La maggioranza degli italiani hanno sempre meno soldi da spendere e si orientano su prodotti a basso prezzo, tendendo a tagliare i beni non strettamente necessari. E’ in questa fase che concorrenti come australiani (il 75% del loro vino viene venduto all’estero), cileni (l’80% del loro vino è esportato) e spagnoli cercano di inserirsi per conquistare le fasce basse del nostro mercato domestico, giudicato finora impermeabile visto che quasi 9 litri di vino su 10 consumati in Italia sono italiani. Ma il futuro potrebbe riservare brutte sorprese.

Hôtellerie e ristoranti, la nuova sfida dei grandi marchi
Negli ultimi anni sia le grandi maison della moda che quelle dell’enologia puntano alla diversificazione, investendo in settori apparentemente lontani dal proprio core business: lo sbocco più gettonato sembra essere quello del turismo di alto livello. La prima molti anni fa è stata Krizia con il suo K-Club, uno splendido resort nell’isola di Barbuda alle Antille: pensato come buen retiro per la stilista ed i propri amici, è diventato meta prediletta dai vacanzieri più chic. Renzo Rosso, patron di Diesel, ha aperto a Miami il Pelican Hotel, indirizzo esclusivo frequentato da celebrità della moda, della musica e del cinema. Versace ha inaugurato l’Hotel Palazzo Versace, faraonico hotel sulla Gold Coast australiana, al quale si aggiungerà presto un altro resort Versace a Dubai ed un terzo in India. Bulgari ha varato un albergo di lusso a Bali, dopo quello di Milano, mentre Dubai ha attratto anche Giorgio Armani, che sta progettando il primo Armani Hotel nel Burj Dubai, il grattacielo più alto del mondo. Intanto a Milano è ormai prossima l’apertura dell’hotel Moschino. Anche i ristoranti sono entrati nel mirino dei grandi del fashion: Dolce & Gabbana si sono lanciati nella nuova avventura con Gold, lussuosissimo locale milanese, mentre il Trussardi Alla Scala Ristorante è già una realtà consolidata. Armani nel 2000 ha aperto nel suo quartier generale di Milano un ristorante Nobu, e dopo l´Armani/Funf Höfe a Monaco e l´Armani/Chater House a Hong Kong è stato appena inaugurato l’Armani Ristorante di Tokio.
Molti anche gli imprenditori vitivinicoli italiani che si sono lasciati contagiare dalla “febbre” della ristorazione e dell’accoglienza. L’apripista fu l’Albereta Relais & Chateaux, locanda di lusso con spa immersa tra i vigneti della Franciacorta che ospita la cucina di Gualtiero Marchesi. Il proprietario è Vittorio Moretti, patron di Bellavista e Contadi Castaldi, nonché di Petra in Toscana: ancora lui ha varato in Maremma, insieme a Wiish, la holding fondata da Martino de Rosa, l’esclusivo albergo L’Andana all’interno della Tenuta La Badiola, che vede ai fornelli nientemeno che Alain Ducasse, “le roi” della cucina francese. In Toscana Castello Banfi, una delle più note cantine del Brunello di Montalcino, ha da poco inaugurato un lussuoso resort nella suggestiva location della fortezza medioevale. L’azienda possedeva già due ristoranti: il raffinato Ristorante Castello Banfi, una “stella” Michelin, e la Taverna Banfi. Antinori, griffe italiana tra le più famose al mondo, annovera l’Osteria di Passignano, le Cantinette Antinori, una vera e propria piccola “catena di ristorazione” presente a Firenze, Vienna, Zurigo, e recentemente con grande successo a Mosca, oltre al ristorante Peppoli a Pebble Beach in California. Ma gli Antinori possiedono anche il Grand Hotel Tombolo a Castagneto Carducci, raffinatissimo 5 stelle con annesso centro di talassoterapia. La Tenuta di Biserno a Bolgheri, di cui è proprietario Lodovico Antinori insieme al fratello Piero, vanta una piccola ma deliziosa foresteria di alto livello. C’è poi Marennà, il ristorante di Feudi di San Gregorio aperto nel 2004, che si trova proprio sul tetto della cantina e che offre un mirato e affascinante contrasto fra la ricerca gastronomica e la forza della tradizione della terra d’Irpinia. Sempre in Campania c’è l’agriturismo di lusso di Mastroberardino, griffe storica della regione. Nel Collio Venica & Venica ospita invece il Ristorante di Arnold Pucher, chef austriaco dell’Hotel Wulfenia di Nassfeld - località sciistica austriaca al confine con l’Italia - che ha guadagnato la “stella” Michelin.
Infine Ferragamo rappresenta il perfetto trait d’union tra i due mondi: è una griffe storica del mondo della moda, produce vino da molti anni nella sua Tenuta Il Borro, ed ha recentemente investito milioni di euro per un resort super-lusso a Castiglion del Bosco, vicino Montalcino.

Stilisti star ed enologi di grido
Ammirati, inseguiti, vezzeggiati dalle aziende e dalla stampa: sono loro, gli stilisti modello rockstar, novelli Re Mida che trasformano in oro tutto quello che firmano. Il loro nome è importante quanto i brand per i quali disegnano. Vi ricordano qualcuno? Negli ultimi anni anche gli enologi, italiani e stranieri, stanno godendo di un perverso culto della personalità. Gli esperti che valutano un vino sanno a perfezione gli enologi che si sono susseguiti nel produrlo, distinguendo tra i differenti stili, esattamente come fanno i fashion victims che conoscono vita, morte e miracoli degli stilisti che disegnano i brand più famosi. Ma vale più il marchio o il genio? Tra gli stilisti sono sempre più numerosi quelli che si trasformano in brand - vedi Tom Ford - ma anche gli enologi cominciano a cedere alla tentazione di creare un proprio marchio: come Riccardo Cotarella, che insieme all’altrettanto famoso fratello Renzo è diventato proprietario di un’azienda in Umbria.

Tendenza vintage
Sono sempre di più le signore fashion-addicts disposte a pagare cifre astronomiche per un tailleur originale di Chanel degli anni ’40, scovato dopo aver trascorso intere giornate rovistando ai mercatini delle pulci o nei negozi di terza mano, alla ricerca di abiti e accessori vecchi di cinquant’anni, purché griffati. Ma c’è anche da scommettere che certi mariti siano disposti a tutto pur di accaparrarsi una bottiglia di mitiche annate. E’ la tendenza vintage, trasversale al mondo della moda e a quello del vino. Per le vecchie etichette c’è chi ricorre alle enoteche specializzate e chi alle aste ufficiali - Christie’s e Sotheby’s i punti di riferimento a livello internazionale, mentre in Italia ci sono Pandolfini a Firenze e Wine Auction di Gelardini & Romani a Roma. Ma c’è anche chi scorazza su E-Bay a caccia di occasioni, e chi programma viaggi all’estero tutti dedicati allo shopping d’annata.

E lo stilista diventa vigneron
L’ultimo in ordine di tempo a cedere alla tentazione è stato Roberto Cavalli: insieme al figlio Tommaso ha firmato Cavalli Selection e Cavalli Collection, due bottiglie deluxe di vino toscano “vestite” nel suo inconfondibile stile.
Ma la lista degli stilisti che sono diventati produttori è davvero lunga. C’è la famiglia Ferragamo, che ha stabilito il suo quartier generale vitivinicolo al Borro. C’è Antonio Moretti, patron della toscana Tenuta Sette Ponti ed imprenditore del mondo della moda con i marchi Carshoe e Arfango (Moretti è anche socio di Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada). C’è Renzo Rosso, il vulcanico Mr. “Diesel”, che nella sua Diesel Farm di Marostica (Vicenza) produce il Bianco di Rosso, il Rosso di Rosso e il Nero di Rosso, brand molto ricercati a partire dalle bottiglie customizzate con stampigliatura diretta delle etichette sul vetro. C’è lo stilista triestino Ottavio Missoni, grande appassionato del buon bere, che possiede tenimenti nelle Langhe e in Sicilia.

Quotarsi in Borsa, la grande tentazione delle cantine italiane
Nel mondo della moda sono ormai numerose le griffe scese nell’arena della Borsa: da Burberry a Valentino Fashion Group (i Marzotto hanno recentemente ceduto il controllo di Valentino F.G. a Permira, un fondo di private equity), da Mariella Burani a Tod’s, da Hermès a Dior, passando per Gianfranco Ferrè (rilevata dall’IT Holding di Tonino Perna). Fendi e la maison fiorentina Pucci sono finite entrambe al gruppo francese Lvmh di Bernard Arnault, mentre Gucci e Bottega Veneta sono confluite in un altro colosso transalpino, Pinault Printemps Redoute di Francois Pinault - entrambe le conglomerate francesi sono ovviamente quotate. Stanno ancora invece meditando uno sbarco sui mercati finanziari Ferragamo, Prada, Versace e Aeffe (che controlla Alberta Ferretti e Moschino).
Per il mondo dell’enologia la quotazione in Borsa è una questione molto più complessa. E’ indubbio che quello del vino è ormai un mercato globale sottoposto a profondi cambiamenti, e le aziende che vi operano devono misurarsi con la crescente dimensione dei concorrenti. Uno scenario che pone aziende, nate come agricole e appartenenti a famiglie che per generazioni hanno coltivato vigneti e prodotto vino, nella condizione di trasformarsi in imprese capaci di raggiungere una massa critica sufficiente a trovare spazi significativi sui mercati e l’energia per comunicare i valori dei propri prodotti e del proprio marchio. Il tema è quello della possibilità di conciliare una economia “lenta”, ancorata ai ritmi delle stagioni e alle imprevedibilità del tempo, con le certezze e il dinamismo richiesto dai mercati finanziari. Stando agli esperti di finanza, ci sono giù una decina di società italiane con i numeri giusti, ma nessuna si è ancora decisa al grande passo.

Eleonora Ciolfi

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