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VINO ED ECONOMIA

Sassicaia e Antinori campioni di redditività: l’analisi sui bilanci delle cantine di Anna di Martino

Edizione 2019 della storica classifica (Riunite & Civ leader per fatturato), che conferma il dinamismo di tutte le anime del vino italiano
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Sassicaia e Antinori campioni di redditività: l’analisi di Anna Di Martino

Per un’azienda, la redditività è uno dei parametri più importanti in assoluto. Anche nel vino. Ed in questo senso, le cantine più brave d’Italia a far rendere il loro vino, sono, nell’ordine, la “culla” del mito Sassicaia, la Tenuta San Guido della famiglia Incisa della Rocchetta, che ha un rapporto tra ebitda e fatturato del 56,8%, davanti alla Marchesi Antinori, guidata dalla famiglia Antinori, con il 43,3% (ma con un giro d’affari decisamente più grande 36,5 milioni di euro vs 213,6, ndr), e dalle Cantine Pellegrino, storica cantina di Marsala, con il 39,2%. A completare la “top” 11 delle imprese vinicole (cooperative escluse) che hanno un rapporto superiore al 22,5%, seguono ancora la siciliana Cusumano (37,03%), la toscana Marchesi Frescobaldi (33,4%), il Gruppo Santa Margherita (29,8%), Donnafugata, ancora dalla Sicilia (27,4%), mentre sempre dal Granducato arriva Castellani (24,5%), poi dall’Umbria la Famiglia Cotarella (23,2%), la franciacortina Guido Berlucchi (22,8%) e, ancora dal continente enoico siciliano, Planeta (22,7%). È uno degli atout della tradizionale analisi sul vino italiano realizzata dalla giornalista Anna di Martino (www.annadimartino.it), e pubblicata oggi sul “CorrierEconomia”, il settimanale economico del “Corriere della Sera”, realizzata sui bilanci 2018 delle più grandi ed importanti realtà del vino italiano. 105 cantine, con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro, che insieme muovono un giro d’affari di 6,6 miliardi di euro (+6,3% sul 2017), di cui 3,8 all’export, e che contano tra le proprie fila 12.340 dipendenti.
Al vertice assoluto, per fatturato, si conferma, per distacco, il colosso Cantine Riunite & Civ, con 615,3 milioni di euro, in crescita del 3,5% sul 2017 (di cui 388 in capo al Gruppo Italiano Vini), davanti al Gruppo Caviro con 235 milioni di euro (+6,8%) e alla Fratelli Martini con 213 (+7,4%). Vertici di un ristretto, ma in crescita, “club” delle realtà che fatturano oltre 100 milioni di euro, fatto quest’anno da 21 cantine, con due “new entry” sull’edizione 2018 della classifica. Che vede alla posizione n. 4 la Marchesi Antinori con 213,6 milioni di euro di fatturato (+7,43%), Zonin1821 con 202 (+0,5%), Casa Vinicola Botter Carlo con 195 (+8,9%), Cavit con 190,5 (+4,3%), il Gruppo Mezzacorona con 188,2 milioni di euro (+1,8%), Enoitalia con 181,8 (+7,6%), il Gruppo Santa Margherita con 177,4 (+5,1%) a completare la “top 10”, e poi ancora Cantina di Soave (141 milioni di euro), La Marca Vini e Spumanti (140,2), Terre Cevico (131,2), Marchesi Frescobaldi (119,5), Collis Veneto (119), Ruffino (110,1), Mondodelvino (108,5), Schenk Italia (102,8), e poi i due nuovi ingressi, il Gruppo Vi.Vo. Cantine (101,9 milioni di euro), e il Gruppo Lunelli, proprietario della realtà leader del Trentodoc, Ferrari, e della griffe del Prosecco, Bisol, con 101,1 milioni di euro di fatturato 2018.
19, invece, le cantine con un fatturato compresso tra i 50 ed i 99 milioni di euro, che sono, nell’ordine, Contri Spumanti, Villa Sandi, Mionetto, Vignaioli Veneto Friulani, Farnese Group, Banfi, La Vis, Viticoltori Ponte, Masi, Piccini, Valdo, Terra Moretti, Bottega, Settesoli, Pasqua Vigneti e Cantine, Sartori, Astoria Vini, Caldirola e Castellani.
Tra i primati che emergono dall’analisi, quello decisamente importante sugli ettari di proprietà, con i vigneti che, soprattutto nei territori del vino più prestigiosi e di maggior successo, hanno raggiunto quotazioni da capogiro, diventando un asset patrimoniale di primissimo piano. In questo senso, al netto della cooperazione, la realtà leader, per distacco, è la Marchesi Antinori, con 2.834 ettari di proprietà, quasi 1.000 in più di Zonin1821, al secondo posto con 1.990, e di Marchesi Frescobaldi con 1.370, davanti a Banfi (1.050), Genagricola, la holding agricola del gruppo assicurativo Generali (900 ettari), al gruppo Terra Moretti con (870), a Cusumano (525), Gruppo Santa Margherita (516), Bertani Domains (460), Feudi di San Gregorio (427) e Tasca d’Almerita (413).
Tra i 300 ed i 400 ettari di vigneti di proprietà, invece, ci sono Planeta (380), Cecchi (370, in netta crescita sui 298 del 2017), e Masi Agricola con 329, mentre altre 11 cantine, sottolinea l’analisi, hanno proprietà oltre i 200 ettari, ovvero Fratelli Martini, Tenute Piccini, Castellani, Argiolas, Mastroberardino, Barone Ricasoli, San Felice, Donnafugata, Umani Ronchi, Gruppo Lunelli e Allegrini.
A livello di export, in un mercato mondiale sempre più importante e senza confini, le 10 cantine con la maggiore quota di fatturato realizzata all’estero, invece, sono Adria Vini (98,5%), Cantine Sgarzi Luigi (98,01%), Botter (95,3%), Farnese (94,8%), Ruffino (92,9%), Castellani e Fratelli Martini (90%), Pasqua Vigneti e Cantine (89,5%), Cantine Volpi (89,2%) e Carpineto (88,2%).
Per numero di bottiglie vendute, se al vertice assoluto ci sono le due cooperative che guidano la classifica dei fatturati, ma in ordine invertito, (n. 1 Caviro, con 244,2 milioni di bottiglie, n. 2 Cantine Riunite e Civ con 217,8, di cui 85,6 del Gruppo Italiano Vini), tra le singole imprese primeggia Enoitalia con 97,5 milioni di bottiglie, davanti a Botter con 88,5, Contri Spumanti con 71,3, Mondodelvino con 62,2, Italian Wine Brands con 60, e ancora Zonin1821 con 51 milioni di bottiglie, Schenk Italia con 49,9, Cielo e Terra con 31,7, Casa Vinicola Caldirola con 28,9, e Ruffino con 27,7.
Un’analisi che, al di là dei freddi numeri, racconta trend di lungo corso, ma anche di novità in atto nel mondo del vino italiano. Per esempio, guardando ai fatturati delle 105 cantine analizzate, emerge che l’export di queste realtà vale il 62,6% del totale Italia (+1% sui bilanci 2017), mentre sul mercato domestico la concentrazione è assai minore, con il campione che mette insieme il 34,3% del giro d’affari enoico “nazionale”. Eppure, nel 2018, per queste imprese del vino, complessivamente la crescita sul mercato interno (+8,6%) è stata quasi il doppio di quella all’export (+4,6%), segno, forse, di una ripresa dei consumi di vini in Italia, ma certamente anche di una maggior consapevolezza dell’importanza del mercato nazionale, che resta il primo per vino italiano, e che negli ultimi 2-3 anni ha visto i top player del settore tornare ad investirci in maniera convinta.
Ancora, emerge in questo senso una differenza di “peso” tra aziende private e cooperative: 62 le prime in classifica, 43 le seconde. Con le cooperative che se rappresentano il 43,8% del giro d’affari totali, valgono oltre la metà del mercato domestico (54,19%), ma molto meno all’export (36,2%), con i mercati stranieri che si confermano terra di conquista appannaggio, storicamente, degli imprenditori del vino italiano, sebbene da anni anche i più importanti e dinamici gruppi cooperativi del Belpaese abbiano intrapreso, e con successo, la via delle esportazioni.
“Di anno in anno si coglie che c’è una forte vivacità e dinamismo delle cooperative - commenta a WineNews Anna di Martino - settore che sembrava quello più arretrato, ed invece è molto dinamico, anche grazie a vertici del mondo cooperativo, come Ruenza Santandrea (a capo del settore vino di Confcooperative, ndr), capaci di dare stimoli giusti che vengono raccolti.
Anche nel privato si rilevano tanti cambiamenti, come il processo di rafforzamento di alcuni gruppi, soprattutto quelli che hanno spalle più grossi che realizzano poli sempre più interessanti, come Santa Margherita, per esempio, che investe sempre più anche in vigna, tutto questo senza perdere redditività peraltro. Cosa non semplice, perchè quando si spende tanto la redditività può anche soffrire. Oppure realtà come Antinori, che continua ad investire in vigna e punta dritta alla totale autonomia produttiva. Ma c’è anche la grande attenzione di tutti i gruppi a gestione familiare, dove si vede spesso l’ingresso in azienda con voglia di fare e di crescere tanti giovani, da nord a sud, e laddove i risultati sono migliori è dove i giovani si confrontano con una generazione più anziana aperta, e che accetta di non tenere ancora in mano tutte le redini dell’azienda”.
Altra cosa da notare, sottolinea Anna di Martino, “è la crescita sul mercato italiano, che per anni stata un freno. Quello interno resta indubbiamente un mercato difficilissimo, dove soprattutto chi lavora con la Gdo si confronta con tantissime referenze e con la potenza dei grandi gruppi di acquisto, ma nonostante questo ci sono tante aziende che sono andate molto bene sul mercato italiano, dove ci sono incrementi strepitosi come quelli di Farnese Group, di Rauscedo, di Piccini, di La Vis o di Cantina di Soave, superiori al 17%, per esempio. Ancora, è importante notare che le aziende continuano ad investire, da Ruffino a Frescobaldi, da Santa Margherita a Cantina di Soave, dalla stessa Antinori alla Cantina di Bolzano, per citarne solo alcune (nel complesso le 105 aziende in classifica hanno raggiunto in 450 milioni di euro di investimenti nel 2018, +6% sul 2017, ndr), che vuol dire che anche le realtà più consolidate guardano al futuro e non dormono sugli allori”.
Altro punto da sottolineare è la performance delle cantine top della Sicilia, sebbene le Regioni che più contribuiscono ai fatturati del vino italiano siano Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Trentino. “Un esempio su tutti, è Donnafugata, l’azienda che ha visto l’ebitda crescere di più in assoluto, dal 22% al 27,5%”.
Ma forse l’aspetto più positivo, nel complesso, è il dinamismo di tutte le tipologie di aziende, dalle cooperative ai privati, ai “gruppi più industriali e commerciali, come Mondodelvino, che sta investendo anche in vigna e in enoturismo, per esempio. E poi, chiaro che chi ha al suo arco la freccia degli spumanti ha una marcia in più, ha il vento in poppa”. Ma in generale, emerge un vino italiano che, almeno con i suoi big, mostra uno stato di salute davvero invidiabile.

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