02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)
NEL CALICE

Il “vino del domani”? Si possono seguire i trend e innovare pur restando legati al territorio

Le visioni di futuro dell’Iswa (Fontanafredda, Bellavista, Allegrini, Villa Sandi, Frescobaldi, Caprai, Masciarelli, Feudi San di Gregorio e Planeta)

Il vino rappresenta una delle più grandi e longeve tradizioni d’Italia, ma il suo futuro appartiene a chi ha il coraggio di innovare. E la masterclass “Il vino del domani: 9 visioni di eccellenza” guidata dall’esperta ed educatrice di vino Cristina Mercuri, a Vinitaly 2025 a Verona, ha esplorato la capacità di nove produttori della Italian Signature Wines Academy - Iswa di ridefinire l’identità dei loro vini - dando quindi anche una lettura nuova dei loro rispettivi territori - per gli anni a venire.

“Questi produttori non si sono solo rivelati custodi di qualità - li ha introdotti Cristina Mercuri - ma anche pionieri della trasformazione, un esempio positivo per una nuova era di eccellenza radicata nella sostenibilità, nella ricerca e nel posizionamento internazionale”. Ed è proprio perseguendo questi obiettivi che è nata l’Iswa nel 2014, quando alcuni dei testimoni più autorevoli delle denominazioni più importanti del vino italiano si sono uniti per far apprezzare al consumatore il vero significato della parola autenticità e qualità quando si parla di vino e di ospitalità italiana. Un’occasione strutturata per comunicare la cultura italiana del vino in modo più accurato, contribuendo alla sua crescita e al corretto posizionamento sui mercati mondiali dei suoi prodotti migliori. E per dimostrare che si possono seguire i trend e innovare pur restando legati al territorio. Oggi Iswa raccoglie nove eccellenze del vino italiano: Fontanafredda a Barolo in Piemonte, Bellavista in Franciacorta in Lombardia, Allegrini in Valpolicella e Villa Sandi a Valdobbiadene in Veneto, Frescobaldi in Toscana, Arnaldo Caprai a Montefalco in Umbria, Masciarelli in Abruzzo, Feudi di San Gregorio nell’Irpinia in Campania e Planeta in Sicilia. Cantine di pregio che detengono 50 aziende vinicole e rappresentano più di 60 brand; che contano oltre 5.000 ettari di vigneto e mettono insieme oltre 550 milioni di euro di fatturato, con una quota export del 60% nelle 35 milioni di bottiglie complessive prodotte.

Attraverso un approfondimento dei loro distintivi approcci, le etichette in degustazione, negli assaggi WineNews, hanno rivelato come ogni azienda stia traducendo la propria visione di innovazione in azione. Dai vini emblematici che riflettono filosofie audaci, ai fattori chiave del cambiamento come i vitigni autoctoni, le tecniche di invecchiamento avanzate e le pratiche orientate al clima: una masterclass che ha offerto uno sguardo stimolante su come viene concepito oggi il futuro del vino italiano. A partire da Villa Sandi, che col suo Valdobbiadene Prosecco Superiore Le Rivette ha prodotto il primo Cartizze in versione Brut, rendendolo più gastronomico della tradizionale versione Dry, ma anche più identitario. “Questione dirimente per il Prosecco - spiega Diva Moretti Polegato di Villa Sandi - per distinguerlo non solo dalla sua produzione più ampia, ma anche nella Docg Conegliano Valdobbiadene (che produce 100 milioni di bottiglie in media all’anno) e nel Cartizze stesso (1 milione di produzione media annua)”. Una scelta che parla di vocazione del territorio, che coinvolge, infatti, solamente le colline della denominazione, Patrimonio Unesco dal 2019. In degustazione la versione 2024, un vino citrino e dolce, grazie ai profumi di sambuco, glicine e vaniglia, ma anche balsamico, grazie alle note di salvia e santoreggia; al palato è sapido, leggermente ammandorlato e centrale nell’aderenza, che poi cede verso note dolci di pera matura e crema diplomatica.

Francesca Moretti, enologa di famiglia in Bellavista, ha portato, invece, in dote la nuova versione di Alma, l’Extra Brut Assemblage I, ideata insieme all’enologo francese Richard Geoffroy a partire dal suo arrivo in cantina dal 2021. Una piccola rivoluzione di stile in Franciacorta, che vuole portare i vini verso maggior linearità e compattezza; certamente con l’uso della più avanzata tecnologia (droni, macchinari e satelliti), ma anche tramite uno studio meticoloso del territorio e una dettagliata parcellizzazione delle vigne. Questo permette di diversificare la lavorazione delle parcelle in vigna, risaltandone le singole percezioni gustative e il conseguente assemblaggio. Alma Assemblage I Extra Brut è composto da Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco del 2021 che contribuiscono alla tensione e alla compattezza, mentre la parte di vin de reserve del 2014, 2019 e 2020 danno ampiezza e complessità: il risultato è un vino complesso e stratificato, che contiene note di vaniglia, agrumi e frutti gialli, pietra focaia, fiori bianchi, panettone, di tostature delicate e vegetali.

Per Antonio Capaldo, alla guida di Feudi di San Gregorio, prima azienda del vino italiana riconosciuta B-Corporate, non c’è assolutamente nulla di eticamente meritorio nell’essere sostenibile. “Oggi essere sostenibili, anche nelle relazioni, è imprescindibile, perché oramai sappiamo che le risorse del pianeta sono limitate ed è nostro compito lasciare il mondo in uno stato migliore di quello in cui lo abbiamo trovato”, ha detto ricordando che in Irpinia ci sono viti che hanno più di 200 anni (i cosiddetti “patriarchi della vite”), a riprova del fatto che la viticoltura di qualità ha sempre pensato al futuro di figli e nipoti. D’altronde nessun business serio potrebbe pensare di sopravvivere se compromette la materia prima con cui lavora: la terra e la vite, in questo caso. In assaggio il Greco di Tufo Cutizzi Riserva 2023, vinificato in acciaio: un vino intenso, ma con discrezione, dalle note identitarie di fieno, con citronella, arancia matura, pietra focaia e sensazioni piccanti, che al sorso unisce la linearità dell’acidità con la rotondità che dà la morbidezza.

Eruzione 1614, Catarratto in purezza che Planeta produce sul versante Nord dell’Etna, è stato un modo innovativo di parlare di territorio non a partire dai vigneti, ma a partire dalle eruzioni. Che sull’Etna sono avvenute per secoli, con composizioni e maturazioni diverse, e risultati quindi diversi nei grappoli. L’eruzione del 1614 in particolare fu mitica: durò 10 anni in un secolo purtroppo anche generoso di terremoti, come quello che distrusse la costa nel 1693. La storia di Planeta, che ha contribuito da protagonista alla creazione di una produzione di vino siciliano di qualità, ed al suo “rinascimento”, è partita da Menfi, una terra di confine tra la Sicilia orientale e quella occidentale. Da quel confine ha poi iniziato ad esplorare altri territori dell’isola, finendo sull’Etna negli Anni Novanta: qui sul vulcano ha iniziato piantando bianchi locali “perché la produzione di qualità dei produttori in loco al tempo - negli Anni Novanta, appunto - era bianca”, ha ricordato Alessio Planeta. Niente rossi, niente internazionali, ma ciò che meglio esprimeva quella terra, anche se al tempo poteva sembrare contro producente. La versione 2022 è sulfurea, citrina, balsamica e iodata: il sorso riesce ad esprimere tensione morbida e aderenza salata, verso un finale dolce-piccante.

Corteggiando i rosati che crescono a doppia cifra e che ormai si bevono tutto l’anno (non più solo d’estate), Frescobaldi - con i suoi 700 anni di storia - ha deciso di produrre la sua interpretazione di rosa, unendo un bianco, il Vermentino, con un rosso, il Syrah, provenienti dalla loro tenuta più contemporanea: la cantina Ammiraglia, costruita a metà Anni 2000 a Montiano, nella bassa Maremma Toscana. “Settecento anni di storia non bastano per distinguersi nel tempo e quando te ne rendi conto scatta l’innovazione. Con questo rosato siamo usciti dalla nostra produzione classica di rossi - ha raccontato Andrea Orsini Scataglini, direttore comunicazione Frescobaldi - e abbiamo iniziato a sperimentare coi vitigni che meglio esprimono le terre di Ammiraglia. Sempre seguendo il nostro principio guida: anziché seguire i trend di mercato, produrre vini talmente bene da piacere a tutti”. Aurea Grande Rosé è composto da una parte di Syrah dell’anno precedente, per dare ampiezza al vino e dargli anche tempo. La versione 2023 riesce a bilanciare bene freschezza e dolcezza, con profumi vegetali, pepati e di violetta; il sorso è tondo, sapido e caldo, dalla netta persistenza centrale che rilascia note di vaniglia, sambuco e more in caramella.

Il Cerasuolo d’Abruzzo è ovviamente trascinato da questo successo dei rosati, con una sua peculiare caratteristica: quella del colore, rosa acceso, intenso e brillante, che si distanzia nettamente dai rosati color buccia di cipolla provenzali. Masciarelli con Villa Gemma ha iniziato un percorso di ricerca di stile nel lontano 1981: un percorso in solitudine nell’Abruzzo di quel tempo, un percorso lanciato nel futuro, quindi. “Il Cerasuolo è il quarto colore del vino, è versatile, energico e perfetto anche ghiacciato”, ha sostienuto Marina Cvetic, alla guida della griffe e che crede fortemente nell’agricoltura rigenerativa e nella sua influenza sul vino che ne deriva e “che diventa più buono, più prezioso e quindi più costoso. Non c’è alternativa: i suoi benefici sono talmente evidenti, che presto questo tipo di agricoltura si diffonderà in tutti i settori e sarà imprescindibile”. La versione 2024 del Cerasuolo d’Abruzzo Superiore Villa Gemma ha un’acidità vibrante e una trama tannica levigata ma profonda: una stratificazione gustativa che lo rende gastronomico, senza togliere carnosità e scorrevolezza al sorso, e generosità di profumi floreali e fruttati.

Anche La Grola di Allegrini è un ottimo esempio di innovazione a partire dalla tradizione. Prodotto dalla cima di una collina di 400 metri di altezza posta all’estremità occidentale della Valpolicella - influenzata in modo decisivo, quindi, dal clima mite del Lago di Garda e dalle escursioni termiche del Monte Baldo - è sempre riuscito a togliersi dal paradigma di opulenza imposto per tanti anni dall’Amarone, di cui la griffe è simbolo. Ma il percorso di rinnovamento non si ferma: “Dalla vendemmia 2022 abbiamo deciso di togliere il Syrah dall’uvaggio - ha specificato Silvia Allegrini - tornando ai blend classico di Corvina, Corvinone e un tocco di Rondinella e quindi tornando dentro la Doc”. Innovazione e tradizione, quindi, si intrecciano di continuo, leggendo anche la contemporaneità in cui si vive. Il Valpolicella Classico Superiore Grola 2022 è un vino caldo e speziato, ricco di frutti neri e fiori appassiti; il sorso però guadagna in scorrevolezza, grazie ai tannini setosi e all’acidità fruttata, che tiene a bada l’apporto alcolico e sottolinea la parte fresca della speziatura.

“Nel nuovo c’è poco di nuovo ma tanto di riscoperto - ha detto Andrea Farinetti, alla guida di Fontanafredda - perché non puoi davvero dedicarti al futuro senza girarti al passato e capire in che direzione andare”. Ed è con questa filosofia che Fontanafredda ha intrapreso un percorso di riscoperta delle vigne storiche del Barolo che l’azienda già vinificava separatamente agli inizi del Novecento. Nel 2019, quindi, esce la prima annata in purezza di Vigna La Delizia posta nella Mga di Lazzarito (tra le più antiche della denominazione) per arrivare nel 2021 alla vinificazione separata di tutte le 11 vigne in possesso di Fontanafredda. Un vino serio e profumato di fiori appassiti, fico secco e macchia mediterranea, il Barolo Lazzarito Vigna La Delizia 2019, dai tannini densi, ma succosi, estremamente fresco e pepato, che chiude su note agrumate e balsamiche. E a proposito di trend e evoluzione del gusto, “se avessimo organizzato questa masterclass 10 anni fa - ha aggiunto Andrea Farinetti - di certo la struttura dei vini sarebbe stata più importante, ma soprattutto i rossi sarebbero decisamente stati in maggioranza nel panel”.

A chiudere la degustazione, il Montefalco Sagrantino 25 anni di Arnaldo Caprai, un vino, un vitigno e un territorio che hanno dimostrato come si possa stravolgere la percezione del mercato a partire dalla visione di un’azienda e delle persone che ci lavorano. “Secondo me le sfide da sempre sono tre - ha concluso Marco Caprai, artefice della rinascita del rosso umbro e del suo territorio - e sono: fare vini identitari, fare vini comprensibili e fare vini apprezzati. Prima o poi ci sono passati tutti, ma il percorso è iniziato dopo lo scandalo del metanolo di 40 anni fa, quando abbiamo capito che è la qualità che cambia il mondo”. Marco Caprai ha fatto analizzare il Sagrantino scoprendone l’enorme dotazione in termini di polifenoli e tannini, ed ha deciso che non andavano gestiti, ma valorizzati. Così ha fatto scoprire il Sagrantino al mondo e poi l’ha fatto anche apprezzare. La versione 2020 del 25 anni è cupa, decisa, fitta e profonda, dove sentori di goudron, more, sottobosco e chiodi di garofano si diffondono in un sorso levigato, ma deciso, dolce e sapido, caldo e intenso.

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025