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“4 SCODELLE DI PORCELLANA BIANCA” DI LORENZO FRANCHINI, “GIULIA” DI SIMONETTA PIGNOTTI E “SOLO PER ME” DI FREDIANO TAVANO: ECCO I RACCONTI PREMIATI DAL PREMIO ENO-LETTERARIO “ESPLORATORI DEL GUSTO” BY SANTA MARGHERITA E FELTRINELLI

Italia
Ecco i racconti in bottiglia by Santa Margherita

La crescita del gruppo Santa Margherita passa anche attraverso il mondo della cultura, grazie ad iniziative al di fuori degli schemi tradizionali, con un linguaggio coinvolgente ed attuale, alla portata di tutti: è nato così, 8 anni fa, il “Premio Eno - Letterario Esploratori del Gusto”, concorso di narrativa per racconti inediti, che abbiano come tema il vino, che, nella sua ultima edizione ha premiato “4 scodelle di porcellana bianca” di Lorenzo Franchini, al primo posto, “Giulia”, di Simonetta Pignotti, al secondo posto, e “Solo per me”, di Frediano Tavano, sul gradino più basso del podio. Le loro storie, selezionate da una giuria di altissimo livello, presieduta da Inge Feltrinelli, affiancata da personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, come Monica Guerritore, Francesca Topi, Neri Marcorè ed Ettore Nicoletto (ad Santa Margherita), verranno adesso pubblicate sulle retro etichette di una selezione di bottiglie Santa Margherita.
Partner del gruppo vinicolo, a dare lustro al premio, una delle case editrici più importanti del Belpaese, Feltrinelli, che sottolinea come “il livello medio dei racconti pervenuti si è dimostrato decisamente alto: lo dimostrano i tre vincitori finali, quelli che da domani vedranno il loro racconto far bella mostra di sé come controetichetta dei vini Santa Margherita”.
Ogni anno, però, oltre ai premiati, Santa Margherita coinvolge tre “autori Doc”, firme prestigiose della letteratura contemporanea che hanno portato la loro autorevole testimonianza con nuovi intrecci letterari tra cultura del vino, creatività personale e fantasia, con racconti fuori concorso: dopo Giovanni Montanaro, Eva Cantarella, Benedetta Cibrario, Simonetta Agnello Hornby, Michele Serra, Enrico Ruggeri, Gad Lerner e tanti altri, questa è stata la volta di Adua Villa, volto noto della televisione italiana e sommelier “Master Class”, che vanta la partecipazione per nove anni consecutivi alla trasmissione “La Prova del Cuoco” in onda su Rai 1, Paolo Di Paolo che, tra i tanti riconoscimenti, si è aggiudicato il terzo posto all’edizione 2013 del Premio Strega con il romanzo “Mandami tanta vita”, e Marco Mancassola, giornalista e scrittore che vanta collaborazioni con Vogue Italia, Il Manifesto, Wired, Libération e tanti altri giornali.

Focus - I tre racconti premiati dal Premio eno-letterario “Esploratori del gusto”
“Quattro scodelle di porcellana bianca” di Lorenzo Franchini
C’è il pane, c’è il prosciutto, c’è il vino e c’è pure un bel mazzo di fiori. Ci sono anche le quattro scodelle di porcellana bianca, e tutto è apparecchiato alla buona su una tovaglia a quadri, stesa a terra. Delle pietre agli angoli del tessuto impediscono al vento di portarsela via. Sul far della sera l’aria calda sale dalla costa e scala la montagna, da est come da ovest, e quando le correnti si scontrano si alza un vento sgarbato e dispettoso. Arrivare quassù in Vespa è puro divertimento, su questo eravamo sempre stati tutti d’accordo. Ci conosciamo da anni proprio grazie alla comune passione per la Vespa. Siamo tutti della zona ma di paesi diversi, ciascuno col suo lavoro e per tutti noi, altra cosa in comune, più di una professione di cui vivere il lavoro è una passione che da senso alla vita.
Aldo - guai a chiamarlo salumaio! - si definisce un’artista del prosciutto: lo taglia a mano, sottile sottile. Dei veli di miele che si sciolgono sul pane che Mario, fornaio, lavora nel suo forno. Lo stesso dove prima di lui aveva impastato e cotto suo padre e prima ancora suo nonno. Ivan coltiva e trasforma il frutto nobile della terra: le uve della sua vigna, una volta pigiate, entrano in cantina per uscirne imbottigliate a nuova vita come lambrusco scuro. Ne’ amabile ne’ secco, scuro, a tappo raso “che il lambrusco da gabbietta glielo lasciamo a quelli dell’ipercoop!” dice Ivan sornione.
La nostra amicizia cominciò quassù, nel paese disperso sui monti dove c’è la mia officina di meccanico nostalgico che non si rassegna al nuovo che avanza, ostinato nel mantenere in strada veicoli che han già dato tanto e che tanto altro possono ancora dare. E cosa, meglio di una vecchia Vespa, risponde a queste caratteristiche? Aldo, Mario e Ivan con le loro Vespa stagionate oltre il ragionevole non mi hanno mai fatto mancare l’occasione di sporcarmi di morchia!
Il tragitto che dalla pianura porta ai monti va goduto tutto, chilometro dopo chilometro. A loro, gente della bassa, le strade di montagna mettono soggezione, con quelle curve che si susseguono contorte e non sai mai cosa puoi trovarci dietro. Ben diverse dai loro drittoni di pianura, spaccati dal sole in estate e fagocitati dalla nebbia in inverno.
“Aria, sole e nebbia!” Aldo lo dice tutte le volte “Sta tutto in questi tre ingredienti il segreto del prosciutto! Te puoi prendere il maiale più bello, tirarlo su a caviale e champagne e massaggiargli le chiappe col rosolio, ma se non sei di qua, se non hai da farlo stagionare con l’aria calda di questo sole e umida di queste nebbie a ghè gnent da fer!”.
E, al solito, Mario ribatte:
“E la nostra acqua? Guarda che l’acqua è mica tutta uguale sai? Ci son quelli che diventan matti perché la pagnotta non gli vien su bene e dan la colpa alla farina, ma è mica vero sapete? É l’acqua!”.
A dirla tutta io non l’ho mai trovato così meraviglioso ‘sto clima dei miracoli, che in officina finiva per farmi trafficare con un caldo porco in estate e un freddo da castigo in inverno.
“Va là, va là!, che l’acqua fa la ruggine!” scherza Ivan “‘scoltate me ... a l’è mei el lambrusc!” e mentre versa il vino precisa “da bere rigorosamente nella scodella bianca, che se non fa la riga sulla porcellana a l’è mia bòn!”.
Mario lo guarda e sorride: “Non fiori ma opere di bene! Ivan, sposta i crisantemi quando hai finito col vino, che mi serve spazio per tagliare il pane”.
“Petta n’attimo! Prima di mangiare facciamo un bel brindisi al nostro meccanico!” Le scodelle si alzano al cielo e Aldo prende la parola:
“Alla tua amico mio!” e gli altri di rimando: “Alla tua!”, “Alla tua!” poi in una sorsata vuotano le scodelle.
La mia scodella è rimasta sulla tovaglia. Aldo scuote il capo e la prende tra le mani. Lentamente, con gesto solenne, ne vuota il contenuto al suolo e la terra, smossa da poco, lo assorbe subito.
“E adesso? Chi ce le ripara le nostre Vespa adesso? Ci hai fatto proprio un bello scherzo... che la terra ti sia lieve amico mio!”.
Autore - Lorenzo Franchini
E’ sposato con Elena e papà di Giacomo e di Giulio. Vive e lavora a Induno Olona (Varese). Nel suo laboratorio artigianale realizza decorazioni pubblicitarie. La sua passione - oltre alla scrittura - è viaggiare in sella alla sua Vespa, sempre la stessa dal 1981. L’esperienza di viaggio più significativa nel 2005, con la traversata dell’Argentina, da Buenos Aires attraverso la Pampa e la Patagonia fino a Ushuaia all’estremo sud della Terra del Fuoco, in Vespa, insieme ad altri amici. Nel 2009 il suo racconto di questo viaggio è stato pubblicato in un libro dal titolo “Hasta la Fin del Mundo... in Vespa!”. I libri di viaggio sono le sue letture preferite, in particolare quelli che trattano di viaggi in Vespa, tanto da aver ideato e realizzato “Chilometri di parole in Vespa”, (
www.paroleinvespa.tk) una rassegna virtuale dedicata alla “letteratura vespistica”. Collabora con il mensile Mototurismo.

“Giulia” di Simonetta Pignotti
Giulia. A otto anni Giulia decide di chiudere la porta al mondo per segnare il confine tra lei, di qua, e tutto il resto di là. Si rifugia in un isolamento voluto, protetto dal velo di un sonno apparente e dalla linea invalicabile di un silenzio ostinato. Ora è assopita sul cuscino, il respiro regolare, sprofondata in un sonno cosciente che le fa da scudo. La coperta con gli orsetti le riscalda il corpo esile. La camera è in penombra, le voci le arrivano da lontano.
Li sente bisbigliare. Li immagina vicini, stretti nel dolore. Fino a ieri, invece, solo urla minacciose tra loro, solo gesti violenti. Le accuse reciproche, il disprezzo di entrambi, l’amore finito. Quando litigano la mamma diventa una strega cattiva, con i suoi capelli rossi e ribelli, lunghi come le fiamme di un drago. Il papà si trasforma in un orco spietato, che alza le mani e spalanca le fauci. Quando si azzannano, Giulia scappa a rifugiarsi nella sua camera e aspetta che tutto sia finito. Poco dopo sente l’orco andare via, sbattendo la porta, e la strega ritirarsi nella stanza da letto, buia e fredda. Né l’una né l’altro pensano a lei, si preoccupano per lei. Giulia è un niente, è nessuno, è invisibile. Dopo, quando avrà placato la sua ira, l’orco tornerà a casa e quando la strega avrà asciugato le sue lacrime di vetro saranno pronti per sedersi a tavola.
Giulia li raggiungerà in silenzio e siederà tra loro, come un angelo triste e solo, senza ali. E non mangerà.
C’è una terza voce nella stanza, di un uomo. Ascolta: “Il battito è regolare però se non si sveglia entro stasera dovete portarla necessariamente in ospedale”. Ora il dolore ha trasformato la strega in un’affettuosa fatina e l’orco in un cavaliere buono. Soffrono per la loro bambina. “Amore... - le dice la mamma - sono io, svegliati, ti prego”. Ma Giulia non riesce a parlare, non vuole parlare. Ha paura e non vuole tornare nel mondo. Il sonno di cui è prigioniera è dolce e la rende felice come non le accadeva da tempo. Anche l’orco si avvicina: “Svegliati, Giulia” la implora. Ancora un’altra voce, ovattata, di una donna. La riconosce. E’ la nonna che vive lontana da lei, in una terra odorosa e colorata, dal mare trasparente e smeraldo. Giulia riconosce il profumo alla rosa. “Amore mio, sono io”. La nonna la accarezza e le scalda le braccia. “Lasciatemi sola con lei” ordina con voce irritata alla figlia e al genero.
I due obbediscono ed escono dalla stanza senza replicare, con le spalle ricurve, sconfitti. “Sono qui, Giulia, per te. Sono tornata. Svegliati, amore e ti prometto che faremo delle cose bellissime, insieme. Passeggeremo sulla spiaggia e raccoglieremo fiori e bacche, cureremo il mio giardino e ti insegnerò a cucinare! A proposito, avrai fame. Sono due giorni che non mangi. Aspettami, amore.” Giulia sente le sue labbra sottili, calde d’amore darle un bacio lieve per poi allontanarsi e chiudere la porta dietro di sé. La nonna le vuole bene. Il suo, per lei, è un affetto costante, forte come il maestrale che soffia per tre giorni in Sardegna e limpido come il mare smeraldo di Bosa dove Giulia, ogni estate, la raggiunge lasciando i genitori a Milano, soli con i loro rancori, a Milano. La nonna è l’amore. Giulia ora è qualcuno. La sente rientrare. Le si avvicina, apre il pugno rugoso stretto e le mostra uno spicchio d’aglio sbucciato, grosso, sodo e bianco, come una ruvida gemma. Glielo avvicina al naso. Le sue narici da bambina hanno un fremito. Giulia reagisce. Apre lentamente gli occhi e trova il sorriso caldo della nonna ad aspettarla. “Hai fame, vero? La dispensa è vuota. Mi sono dovuta arrangiare. Sono riuscita a prepararti gli gnocchi al basilico. Per fortuna ho portato dalla Sardegna le seadas vanigliate e il liquore di mirto. Un sorso ti farà bene!”
Gli gnocchi sono soffici come palline di pongo fresco, il mirto le solletica la gola e le seadas le addolciscono le labbra.
Fuori, dalla stanza la dolce fatina e il cavaliere buono stanno aspettando, inquieti.
Autore: Simonetta Pignotti
Sposata con due figlie, vive a Roma. Dopo la maturità classica si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Si occupa di normativa e contenzioso presso la Direzione del Personale dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Appassionata di lettura, ultimamente predilige la letteratura contemporanea spagnola. Ha fatto parte del Gar - Gruppo Archeologico Romano. Le piace scrivere e ama andare a correre la domenica mattina.

“Solo per me” di Frediano Tavano
Il ristorante più esclusivo del mondo ha un solo coperto. Ho prenotato sei mesi fa, compilando un lungo formulario e una dettagliata lettera di motivazioni. Il menù è strettamente personalizzato, così come l’entità del conto. Il cliente stesso decide quanto pagare la sua cena. C’è chi ha lasciato pochi spiccioli e chi una vera fortuna.
Entro in questa piccola stanza dalle pareti color caffè, morbidamente illuminata da una grande lampada a stelo, piegata sopra un tavolino quadrato con una sola sedia. Una tenda rossa chiude la parete opposta all’ingresso. Un sottofondo musicale jazz avvolge l’ambiente.
Sulla semplice tovaglia di immacolato cotone di Fiandra, un solo coperto apparecchiato con piatti e posate di pregio, oltre a una serie di bicchieri di cristallo, perfettamente disposti. Mi accomodo sulla sedia di pesante legno massiccio.
In quel preciso istante, la tenda sul fondo viene scostata con un gesto secco e un cameriere alto e asciutto, vestito completamente di nero, a parte i guanti bianchissimi, raggiunge il tavolo con movimenti esatti. Poi resta immobile, guardando il vuoto davanti a sé. “Benvenuto al Petit Restaurant, signore,” dice il cameriere, con voce profonda.
Poi scompare dietro la tenda. Riappare poco dopo con una caraffa di cristallo e mi versa un bicchiere di acqua fresca e leggera. Altro viaggio nel retro e arriva un grosso calice di bianco fermo e fruttato, perfetto per l’antipasto. Il cameriere si muove rapido ed efficiente, ma senza una parola. Ecco arrivare un ricco piatto di antipasti assortiti. Lo guardo ammirato e stupefatto.
Ci sono piccoli sogni e grandi aspirazioni. Riconosco il miraggio infantile di fare l’astronauta, le confuse ambizioni successive di campare di letteratura, perfino la voglia di trasferirmi a Parigi. Poi altri pensieri antichi e recenti, rimescolati e serviti con eleganza. Mi gusto il tutto lentamente, sorseggiando il bianco profumato. Ho appena finito di masticare la croccante voglia di rivedere Barcellona, quando riappare il cameriere.
Questa volta mi versa un generoso calice di rosso ben strutturato, con retrogusto di nocciola. Poi lo vedo sparire dietro la tenda, già pregustando il primo piatto, che infatti non delude le mie attese. Un’abbondante porzione di errori passati, vicini e lontani. Li vedo lì tutti aggrovigliati come fossero pasta lunga cotta a puntino, insaporiti dalla giusta dose di rabbia e rassegnazione.
Li muovo un po’ con la forchetta ed ecco emergere l’università iniziata e mollata senza passione, quella ragazza che forse meritava di più, quell’arido lavoro portato avanti troppo a lungo. Divoro tutto a grosse forchettate, annegando qualche sapore dissonante nel deciso aroma del vino.
Quando lo finisco, torna il cameriere con un bicchiere pulito e mi versa di nuovo del rosso, ma ancora più corposo. Ecco arrivare il secondo, che anche questa volta mi sorprende. Si tratta dei desideri più accesi e riposti, quelli che credevo di conoscere solo io.
Eccomi dunque mordere il desiderio di una insaziabile ragazza esotica, addentare il sogno di diventare un’eminenza grigia della cultura mondiale, spolpare la voglia di una vita libera e cosmopolita. Mi godo ogni boccone, innaffiato da questo rosso acceso. Alla fine sono completamente sazio ed appagato.
Il cameriere si fa attendere un po’ di più. Ma poi eccolo arrivare con un bicchierino di celestiale bianco liquoroso da dessert, in vista dell’ultimo piatto. Si tratta di una morbidissima crema di fresche speranze, appena scottata da una fiammata di pericolo che la rende davvero irresistibile.
Chiudo gli occhi e gusto tutta la squisita dolcezza del mio futuro.
Autore: Frediano Tavano
Nato a Biella e cresciuto ad Arona, sul lago Maggiore, vive a Milano da 15 anni. Ha frequentato il liceo classico e ha sempre amato scrivere. Dopo aver lavorato come copywriter in una grande agenzia di pubblicità, è ora freelance a tutto campo. Ha pubblicato qualche racconto breve in occasioni sparse. Cucina solo pietanze semplici, ma si vanta di non aver mai ceduto ai piatti pronti.

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