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GIACOMO TACHIS: "SANGIOVESE ? MEGLIO SE ACCOMPAGNATO, PERCHE' ESPRIME DOLCEZZA, FRESCHEZZA CHE MANCA AD ALTRI VITIGNI""

Ero andato alla Rassegna internazionale del Sangiovese ad Imola un po’ prevenuto a causa della discutibile scelta degli organizzatori di lasciare fuori i grandi vini della Toscana che hanno nel Sangiovese la loro spina dorsale. Insomma l’esclusione era di quelle pesanti se a farne le spese erano vini come Chianti, Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano, Morellino di Scansano e Carmignano, tanto per fare citare i più noti. Ma gli organizzatori erano stati inamovibili: a Imola solo i Sangiovese doc o igt o senza denominazione, con indicazione di vitigno in etichetta o con un nome di fantasia ma prodotto in purezza o con una presenza minima di un 70% di Sangiovese certificata dal produttore.
Si è trattata di una scelta difficile da accettare se si considera che ha lasciato fuori quei vini che proprio nel Sangiovese hanno trovato una componente fondamentale del loro successo. Ma anche il Sangiovese deve molto a questi vini. Molta della sua notorietà all’estero, infatti, il Sangiovese la deve a vini come il Brunello e il Chianti e quindi mi sembrava difficile poter parlare di questo vitigno e delle sue potenzialità senza testimoni di tale prestigio.
Per fortuna, l’Enoteca regionale dell’Emilia-Romagna ha organizzato un talk show dall’accattivante titolo “Sangiovese vitigno italiano, vino internazionale: quali strategie”, durante il quale i vini esclusi dalla Rassegna sono entrati dalle finestre del bel teatro comunale di Imola, aperte, nell’occasione da due grandi maestri dell’arte del vino, Giacomo Tachis e Vittorio Fiore.
E Giacomo Tachis ha subito fatto capire che i “toscani” non dovevano proprio rimanere fuori sottolineando come “Il Sangiovese, non se ne abbiano a male gli emiliani, è etrusco”. “Da qui il Sangiovese si è poi diffuso alle altre regioni italiane prima di iniziare a varcare i confini della nostra Penisola arrivando prima in Corsica nel 1600 grazie a dei pisani ed arrivare infine oggi in quasi tutti i nuovi continenti”.
Ma chi si aspettava da Tachis un elogio senza riserve al Sangiovese è rimasto sicuramente deluso. “Non si può negare – ha sottolineato Tachis – che oggi è molto difficile trovare bottiglie di Sangiovese in purezza che abbiano una grande personalità e capacità di durata nel tempo”. “Non dobbiamo aver paura di dire – ha proseguito Tachis – che il Sangiovese fa fatica a stare da solo e dà il meglio di sé quando ha un supporto”. Proprio in assemblaggio con altri vitigni il Sangiovese riesce ad esprimere al meglio quella dolcezza, freschezza che ad altri vitigni, anche più diffusi, manca. Come pure il noto enologo ha sottolineato come il Sangiovese in purezza poco si sposa alla barrique mentre meglio sta in botte o vasca di cemento.
D’accordo con Tachis anche Vittorio Fiore che ha evidenziato come il Sangiovese cede meno polifenoli rispetto al Cabernet ed ha una grande sensibilità al clima. “Sono convinto che il Sangiovese abbia bisogno di sostegni soprattutto nelle annate più deboli e quindi non mi scandalizzo assolutamente se nelle vigne Sangiovese vi sono anche altri vitigni. Un 15% di altri vitigni in aiuto al Sangiovese è più che sufficiente per esaltare al meglio le caratteristiche di questo vitigno”.
Difensore d’ufficio del Sangiovese è intervenuto Luigi Cecchi, della Casa vinicola Cecchi di Castellina in Chianti: “Avrà anche bisogno di aiuto – ha evidenziato il noto produttore toscano – ma la classe, la gradevolezza del Sangiovese un Cabernet se la può solo sognare”. Ed il Sangiovese può parlare straniero? Su questo aspetto il professor Mario Fregoni ha le idee chiare: “Io all’estero raramente sono riuscito a bere dei buoni Sangiovese. I californiani, ad esempio, sono alquanto mediocri, qualcosina di meglio in Cile, ma niente che si avvicini alla finezza dei Sangiovese toscani”. Per Fregoni, quindi, l’influenza del terroir nel Sangiovese è fortissima. “Anche nella stessa Italia, dove sono investiti oltre 100.000 ettari a Sangiovese – ha spiegato Fregoni – solo in pochi areali dà grandi risultati”. Sulla stessa linea di Fregoni anche il giornalista statunitense Daniel Thomases per il quale il Sangiovese al di fuori dell’Italia centrale è deludente a parte pochissime eccezioni. “E questo – ha spiegato Thomases – per tre principali ragioni: negli altri Paesi vi è scarso e spesso scadente materiale genetico; vi è scarsa passione per questo vitigno all’estero, che viene adottato solo per motivazioni commerciali e arrivare quindi alla ristorazione italiana che ormai oggi rappresenta il 25-30% della ristorazione mondiale; il Sangiovese all’estero, soprattutto in presenza di produzioni spinte, non dà risultati eccelsi. A parità di resa rimangono migliori Cabernet o altri vitigni”. “Per fare qualità con il Sangiovese – ha concluso Thomases - occorrono sacrifici. Il grande Sangiovese, infatti, lo si può fare con grandi sforzi in vigna. Nascono solo così grandi Sangiovese che avranno grande successo anche all’estero”. E che la qualità dei Sangiovese del nostro Paese sia in crescita lo dimostrano i riconoscimenti che stanno ottenendo un numerose guide. “Anche in Emilia-Romagna – ha sottolineato Giacomo Mojoli, vicepresidente di Slow Food – negli ultimi cinque/sei anni la qualità dei Sangiovese è decisamente cresciuta soprattutto grazie al coraggio e all’impegno di pochi produttori. La strada da fare è ancora molta, ma quella che appariva una sfida impossibile oggi, anche per i vini dell’Emilia-Romagna, è qualcosa di proponibile”.

Fabio Piccoli

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