02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2025 (175x100)

ZONIN SALE A SETTE E FA LEZIONI DI QUALITA’ AI VITICOLTORI VENETI

Italia
Gianni Zonin

Zonin si sta dimostrando in questi anni uno dei gruppi vitivinicoli più dinamici, non solo a livello italiano. E tra i gruppi italiani del settore è sicuramente quello che da tempo manifesta il più stretto rapporto con la terra e la vite. Non a caso sono circa 3.000 gli ettari investiti a vigneto in Italia dalla Zonin ai quali vanno aggiunti altri 500 negli Usa (a Barbousville in Virginia). Fino a ieri la Zonin era presente in Italia in 6 regioni: Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia, Toscana e Sicilia. Ma proprio in questi giorni è arrivata voce che la Zonin si è fatta in 7. Si stanno infatti definendo i dettagli dell’acquisizione di una nuova azienda di circa 300 ettari in Puglia, nel Salento, nel regno del Primitivo di Manduria.

Una nuova acquisizione che aumenterà i numeri del gruppo di Gambellara (Vicenza) che già oggi conta un fatturato di circa 130 miliardi di lire, frutto della vendita di oltre 30 milioni di bottiglie (63% in Italia e 37% all’estero). La Zonin, infatti, esporta in 64 Paesi (dagli Usa al Giappone, dal Brasile all’Australia ai paesi dell’Estremo Oriente).

Ma la crescita commerciale della Zonin è sempre stata accompagna da un grande sforzo sulla vigna grazie ad un dispiegamento di tecnici viticoli in tutte le aziende proprie e dei diversi conferitori. Un esempio eccellente di questo sforzo ogni anno emerge dall’incontro tecnico che la Zonin organizza nella sede di Gambellara dove invita i viticoltori della zona per un aggiornamento sulle più recenti tecniche viticole. Quelle tecniche che possono consentire quel fondamentale salto qualitativo oggi richiesto dal mercato. E parlare di qualità in certe aree del Veneto, bisogna riconoscerlo, non è sempre stato facile. Anni e anni vissuti sempre con quel giudizio che spesso non lasciava repliche:”Quella veneta è una viticoltura di quantità e raramente di qualità”. Spesso, bisogna sottolinearlo, si trattava di un giudizio superficiale, non dettato da reali conoscenze del patrimonio vitivinicolo veneto. In moltissimi casi il pregiudizio prevalicava l’analisi corretta, frutto di approfondimenti, e questo ha arrecato non poco danno all’immagine del vino veneto. Va anche però detto come vi siano stati dei ritardi nel settore vitivinicolo veneto nel recepire l’importanza di dare una svolta sostanziale alla propria produzione e di connotarla maggiormente sul versante della qualità.

Finalmente oggi, non c’è produttore nel Veneto che non sia cosciente che solo attraverso un maggiore sforzo sul piano qualitativo si possa consentire al vino di questa regione di rimanere competitivo anche nel futuro. Ma, si sa, la qualità ha un prezzo, e allora provvidenziale arriva in questa fase di trasformazione della viticoltura veneta l’intervento dell’Unione Europea che ha stanziato importanti risorse finanziarie per il rinnovo degli impianti viticoli.

Al Veneto spetterà una cifra di circa 18 miliardi di lire. La Regione Veneto proprio in questi giorni sta definendo i dettagli per la ripartizione dei contributi ma le prime indicazioni parlano di circa 14 milioni ad ettaro. Non è una cifra enorme, considerando i costi di impianto attuali per un vigneto, ma pur sempre un eccellente viatico per spingere i viticoltori veneti al rinnovamento. “Ma deve essere un rinnovamento dettato dall’obiettivo di conseguire una maggiore qualità”. E’ questo quanto hanno affermato sia Massimo Bertamini, dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige e Carlo De Biasi, responsabile viticolo del Gruppo Zonin, in un recente incontro tecnico organizzato dalla Zonin spa, nella sede storica di Gambellara. Un incontro che ha avuto l’obiettivo di sensibilizzare i produttori di questa nota area viticola veneta verso produzioni di maggiore qualità. E per fare qualità servono impianti viticoli idonei. Ormai, infatti, finalmente, tutti concordano che la qualità del vino nasca in vigna. E’ finita, quindi, quella triste epoca durante la quale si è pensato che le alchimie di cantina potessero essere una scorciatoia ideale per il conseguimento della qualità. E a tracciare le caratteristiche principali di questo “vigneto ideale” ci hanno pensato Bertamini e De Biasi, oggi sicuramente tra i maggiori esperti viticoli italiani. Secondo Bertamini le linee direttrici che guideranno la viticoltura di qualità nell’immediato futuro saranno caratterizzate da una drastica diminuzione della produttività delle viti, raggiunta eliminando i sistemi di impianto espansi e, quindi, paradossalmente, mediante un aumento del numero di ceppi ad ettaro. “Bisogna garantire – ha sottolineato Bertamini – un ottimale sviluppo vegetativo tale da consentire quel rapporto ideale quantificabile in 1 m2 di superficie fogliare per 1 kg di uva. Gli impianti, quindi, devono essere strutturati in modo tale che le foglie abbiano l’esposizione massima per captare nel modo migliore la luce. Una maggiore disponibilità di luce, infatti, induce una produzione maggiore di zuccheri e una minore acidità”. Se Bertamini si è soffermato maggiormente sugli aspetti fisiologici della vite, De Biasi ha fornito alcune interessanti indicazioni pratiche soprattutto per i viticoltori della zona di Gambellara. “I viticoltori – ha premesso De Biasi – devono oggi essere sempre più coscienti di fare parte di una filiera dove la qualità è ormai un requisito fondamentale. Capire le tendenze di mercato, quindi, è diventato un obbligo anche per il viticoltore. L’obiettivo fondamentale da tener sempre presente è di arrivare sul mercato con il vino giusto. La scelta dell’impianto diventa quindi fondamentale anche perché vincola per almeno trent’anni. Ma si tratta di scelte che devono essere guidate dagli obiettivi di mercato e non più solo dalla tradizione”. “Fin dalla scelta del materiale vegetale, quindi – ha proseguito De Biasi – si deve tener presente l’obiettivo finale. Nel caso di Gambellara, quindi, a questo riguardo, va bene la Garganega ma bisogna però vedere quale clone e quale portainnesto”. De Biasi ha quindi presentato quello che secondo la Zonin è il modello viticolo ideale da adottare per il conseguimento della qualità nella zona di Gambellara. “Per produrre qualità – ha spiegato De Biasi – il sistema di coltivazione che noi riteniamo più adatto è quello a spalliera a media-elevata densità di impianto (5.000-5.500 ceppi/ha)”. Fine della pergola, quindi? “La pergola – ha proseguito De Biasi – soprattutto nelle versioni studiate per aumentare la produzione, non può dare risultati soddisfacenti neanche tenendo a freno la produttività. Solo la pergola trentina, con energiche potature, fornisce qualche garanzia in più in termini di qualità”. “L’obiettivo da raggiungere, però – ha proseguito De Biasi – è una produzione molto contenuta che va calcolata non ad ettaro ma a ceppo: soltanto i sistemi a spalliera con sesti di impianto molto stretti consentono di raggiungere ottimi livelli qualitativi senza penalizzare i risultati economici”. “Inutile nascondercelo – ha sottolineato ancora De Biasi – è difficile pensare di conseguire produzioni di qualità se non si rimane entro una produzione ad ettaro di circa 100 quintali”. Esperienze anche recenti ci hanno portato a considerare una produzione ideale quella di 8 grappoli per pianta”. Si sta già oggi assistendo ad un cambiamento in questa direzione, infatti, dal ’98 ad oggi sono circa 300 gli ettari già convertiti a spalliera dalla Zonin nella zona di Gambellara. “A me non spaventano i 100 quintali ad ettaro – ha detto Silvano Zonin, responsabile amministrativo della società di Gambellara – perché io guardo a quanto me la pagheranno quell’uva”. La sensazione è che i viticoltori di Gambellara siano usciti dall’incontro con qualche consapevolezza in più e qualche timore in meno, staremo a vedere.

Fabio Piccoli

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025

Altri articoli