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CONVEGNO DEL CHIANTI, SUL FUTURO DEL VINO TRA TERROIR E GLOBALIZZAZIONE. GAJA: “LE DOC REGIONALI POSSONO TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG PER LA VALORIZZAZIONE DEI TERROIR”. LE TESTIMONIANZE ESTERE

Italia
Vigneti in Chianti

“La globalizzazione del vino di scarso livello esisteva anche negli anni Sessanta; il futuro é solo nei prodotti di grande prestigio che influenzeranno tutto il commercio enologico mondiale; le doc regionali possono trasformarsi in un boomerang sulla strada della valorizzazione dei singoli territori ed aprire di fatto ad una cultura più vicina a quello del nuovo mondo che a quella europea”. Le parole sono di Angelo Gaja, vera e propria star, a Siena, nel convegno organizzato dal Chianti Classico. Anche se i riflettori erano tutti puntati sull’evento del famoso vino toscano, il vignaiolo piemontese ha “rubato la scena” al Chianti, rappresentando con chiarezza e logica, che lo contraddistinguono, la grave confusione che regna nel sistema vitivinicolo italiano: “il futuro del vino - ha continuato Angelo Gaja - è nelle mani di coloro che sapranno essere imprenditori veri, capaci di unire un’accurata conoscenza dei loro territori alla consapevolezza del mercato e alla capacità di operare scelte strategiche, nonché di tutelare e conservare il patrimonio esistente”. Globalizzazione del gusto? “Esisteva già negli anni Sessanta, quando gli italiani spedivano vini bianchi in bottiglioni da due litri in quantità massicce sui mercati di tutto il mondo, avvalorando presso il consumatore internazionale l’idea che l’Italia, terra da vino, potesse solamente produrre vini a buon mercato, o così semplici da essere solo banali. Quei vini derivavano da rese elevate, subivano trattamenti rozzi di demetallizzazione, superfiltrazioni e pastorizzazioni. Anche se provenivano da differenti varietà di uve e da regioni diverse, avevano tutti lo stesso gusto. Ma anche allora un certo numero di produttori italiani illuminati, quasi sempre con produzioni di piccole dimensioni, aprirono ed aiutarono a crescere nicchie di mercato destinate a vini diversi, a vini di carattere e personalità; nicchie che hanno accolto numeri crescenti di produttori altrettanto motivati e determinati a mettere in evidenza la qualità”. Quindi l’affondo del “re del Barolo e Barbaresco” sul “sistema vino” italiano, che ha nel suo straordinario patrimonio umano una grande risorsa: “nonostante la confusione, nel nostro Paese, non si è ingabbiata la creatività. Creatività, ovvero il patrimonio dell’Italia, che oggi è rappresentata dai vini da tavola. E la Toscana, con i supertuscans, è arrivata per prima a capirlo. Oggi, invece, vogliono applicare la doc Toscana: il Piemonte l’ha fatta da tempo, ed è stata un fiasco completo. Sono da sempre contrario alla doc Toscana, perché cancellerà l’Igt, ridicolizzerà le doc e docg, che invece sono aree limitate, con uniformità di clima e territorio. Io sono con i piccoli viticoltori contro la grande doc Toscana”.

Da parte sua, il presidente del Consorzio del Gallo Nero, Emanuela Stucchi Prinetti, chiamata a “dissertare” sull’ormai tanto dibattuto argomento “Vecchio Mondo - Nuovo Mondo: il futuro del vino tra terroir e globalizzazione”, avverte che “la sempre maggiore apertura delle frontiere e degli scambi ha enfatizzato il confronto fra due dottrine che da tempo si fronteggiano nel mondo del vino: da un lato l’enologia europea impostata sul terroir, dall’altra quella del prodotto legato più alle tecniche agricolturali e di cantina che reca in etichetta il nome del vitigno, tipico dei paesi nuovi produttori (USA, Australia, Sud Africa …)”. La Stucchi Prinetti vede, nei prossimi anni, un’aspra competizione anche nel settore enologico ed il vecchio mondo “non potrà competere sul fronte dei costi ma dovrà puntare sul valore aggiunto a partire, appunto, dal territorio, dalla cultura, dall' identità che compongono un prodotto di qualità. E’ necessario che i produttori del Vecchio Mondo identifichino delle strategie che permettano di trasformare la globalizzazione da rischio in opportunità, valorizzando quelle risorse “immateriali” che costituiscono il patrimonio più grande della nostra vitivinicoltura: il territorio innanzitutto, ma anche la pluralità di culture e di identità che esso rappresenta. Ma valorizzare il territorio, l’identità e la storia non implica affatto il rifiuto dell’innovazione: al contrario, significa non smettere mai di ricercare il miglioramento dei prodotti, di adattare ciò che si produce all’inevitabilità del cambiamento pur preservandone i suoi tratti più densi di significati storici e culturali”. E che la valorizzazione del territorio sia l’elemento cruciale per il futuro delle produzioni del Vecchio Mondo, anche nelle parole di Riccardo Ricci Curbastro, presidente della Federdoc: “la millenaria storia italiana della viticoltura ha prodotto una ricchezza straordinaria di vitigni (siamo possessori della banca genetica della vite più grande del mondo, ndr) che, per essere salvaguardati dalla globalizzazione, devono rimanere strettamente collegati al proprio territorio di produzione sfruttando anche il riconoscimento delle denominazioni di origine. Il fatto che alcune nazioni del Nuovo Mondo stiano cominciando a pensare ad una legislazione tipo quella delle denominazioni indica che, una volta che il mercato ha riconosciuto ad un vino caratteristiche proprie ed inconfondibili, il legame con il terroir diventa una strada obbligata per la sua ulteriore valorizzazione e caratterizzazione. In Italia, però, occorre impegnarsi maggiormente per rivedere il sistema delle doc (23 docg, 330 doc e più di 1.000 diversi tipi di vino coperti da tali denominazioni): andrebbe sfoltito, limitato a quei vini che hanno dimostrato di avere un carattere riconosciuto dal mercato e quindi capacità di attraversare indenni le bufere dello stesso. Per questi vini, codici di produzione restrittivi non rappresentano una limitazione, ma piuttosto una garanzia di integrità e qualità costanti. Alle Igt andrebbero invece affidati i compiti di inseguire le mode di mercato (con i vini varietali) o di funzionare da laboratori di innovazione (supertuscans docet)”.

Francesco Mazzei, giovane manager e anima di Castello di Fonterutoli, di proprietà di una delle famiglie più importanti e storiche del Chianti e di Toscana, a margine dell’evento internazionale del Chianti Classico, ha lanciato anche l’idea di far diventare questo appuntamento convegnistico una sorta “di osservatorio sul mercato e sulle tendenze, ogni anno con un argomento importante al centro della scena: trade, comunicazione, tecnica viticola … Un’opportunità, insomma, che permetta a tutti gli esplorare le diverse anime del mondo del vino”.

Le testimonianze estere: Australia, California, Inghilterra

James Halliday, una delle figure principali del mondo vinicolo australiano, pur ricordando come “i principali paesi produttori del Nuovo Mondo stiano “togliendo” quote di mercato sempre maggiori a quelli europei, ha ribadito che “la filosofia che sta alla base di questo successo è comunque da ricercarsi nell’affermazione della qualità. La tecnologia ha svolto e continuerà a svolgere un ruolo legittimo ed importante ma non a detrimento del terroir. L’Australia, già 10 anni fa, ha preparato un documento strategico che pianifica l’aggressione commerciale nel settore del vino per il prossimo trentennio”.

Paul Draper, famoso produttore californiano, ha sottolineato “come in California la valorizzazione del terroir abbia acquistato negli ultimi anni un ruolo sempre più importante. La globalizzazione in California è controversa ed ha portato ad un costante consolidamento della produzione sotto imprese multinazionali e grandi produttori americani, ma vi è stata anche una costante controtendenza di piccoli produttori che hanno puntato soprattutto sull’alta qualità. Il grande pericolo della globalizzazione è costituito dall’effetto di livellamento che la produzione vinicola industriale ed il marketing di massa hanno sul vino di qualità: un rischio contro cui anche i produttori del Nuovo Mondo dovrebbero tutelarsi molto di più”.

Sebastian Payne, Master of Wine della Wine Society, ha invece detto: “il terroir ? Se ce l’avete valorizzatelo, anche il nuovo Mondo lo sta scoprendo. Globalizzazione? È solo per i grandi che per forza di cose devono rinunciare a parte della loro individualità. L’interesse di tutti ? Puntare alla qualità. E le potenzialità in un vigneto grande come l’Italia sono enormi …”.

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