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L’INTERVENTO - MARIO CONSORTE, PRESIDENTE DI ASSOENOLOGI, A WINENEWS: “IL SETTORE SI DEVE RIMETTERE IN DISCUSSIONE ELIMINANDO PERSONALISMI E BUROCRAZIA E STABILENDO STRATEGIE CON UN UNICO PROTAGONISTA: IL VINO”

Italia
Mario Consorte

Gli ultimi dieci anni sono trascorsi all’insegna di una generale euforia che ha catalizzato una crescita di iniziative e di successi di cui ancora oggi godiamo ma, per la loro tenuta nel tempo cominciamo a provare un senso di profonda inquietudine. Eventi non più dominabili dalla nostra volontà o capacità di intraprendere si sono inseriti in un quadro retrospettivo connotato da un aumento continuo del valore delle nostre produzioni nel mercato interno e da una favorevole espansione delle nostre esportazioni.

Ricordiamo con quanto orgoglio il mondo del vino italiano, ricevuto al Quirinale dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi nel Novembre del 2004, ha potuto evidenziare le positive performance di un settore importante della nostra economia e celebrare una posizione di leadership assoluta nella classifica nazionale dell’export agroalimentare. A distanza di poco più di un anno, la chiusura dell’ultimo esercizio economico delle nostre attività ha registrato segnali e sofferenze di un sistema che, abituato ad una continua crescita, ha dimostrato il suo limite nella incapacità di una pronta ed efficace reattività nel momento del cambio di tendenza.

Se poco possiamo incidere sulle cause esterne, congiunturali, non dobbiamo sottrarci ad una serie di considerazioni volte ad individuare gli altri elementi correlati all’attuale malessere della nostra filiera vitivinicola. Nelle frequenti analisi delle criticità vengono alternativamente individuate tra le concause dell’affaticamento del settore e della ridotta competitività, due elementi, la cronica posizione eccedentaria della produzione complessiva nazionale e la mancanza di una adeguata massa critica a sostegno dei grandi volumi di esportazione.

L’apparente contrasto di queste due opposte posizioni trova una composizione nell’attribuzione al nostro sistema produttivo di un carattere ancora scarsamente integrato, esageratamente frazionato e poco orientato ad una programmazione complessiva. Da una parte una moltitudine di imprese private impegnate in una attività produttiva di evidenziazione di valori peculiari ed individuali raramente condivisi con altri produttori e che l’esasperata frammentazione delle nostre denominazioni ha inconsapevolmente ma colpevolmente favorito. Dall’altra, la massiccia presenza dell’apparato cooperativistico che possiede sicuramente i grandi volumi per non soffrire di un problema dimensionale, ma che per la sua natura governa ancora con difficoltà le scelte produttive della progettualità viticola, pur riconoscendo alcuni meritevoli sforzi intrapresi recentemente in questa direzione.

Reiterare il concetto di una necessità che il quotidiano esercizio del produrre sia sempre indirizzato ad una sana e certa consapevolezza del poter vendere, prima ancora che essere ovvio, è necessario.

Oggi, con le prime anticipazioni della imminente riforma dell’Ocm, diventa un fatto improcrastinabile riordinare le idee e ripensare alle scelte strutturali, tecnologiche e commerciali delle nostre aziende.

É velleitario pensare che si possano facilmente coniugare produzioni di alto prezzo con elevati volumi, soprattutto nell’attuale affollato ed affaticato mercato nazionale o avviare altrettanto importanti quantità degli stessi vini di grande individualità, o altri di scarsa notorietà, verso i mercati d’esportazione.

Ineludibile sarà quindi, da una parte la riformulazione di certi prezzi riducendo o i margini o i costi, dall’altra raggiungere un migliore equilibrio della produzione con il mercato attraverso il contenimento del potenziale vitivinicolo nazionale in allineamento con gli orientamenti dell’Unione Europea sempre meno disposta a sostenerne le strutturali eccedenze.

In questa seconda ipotesi, grave sarebbe la tentazione di una facile regimazione delle produzioni attraverso strumenti di un generale abbattimento delle attuali rese di campo o di cantina che finirebbero con l’incidere negativamente sui risultati economici e su una ancora maggiore sofferenza della competitività di tutto il settore. Il necessario riposizionamento della nostra viticoltura con l’abbandono di alcune superfici ci offre l’opportunità di una riconsiderazione di una diversa natura, a più alto contenuto professionale, di questa attività attraverso la rielaborazione del concetto di imprenditore e di impresa viticola che introduca una discriminazione tra chi esercita attività economica, e chi opera a livello di redditività marginale od hobbistico. Un salto di qualità dell’apparato produttivo cooperativistico, ad esempio, potrebbe aversi quando la base associativa fosse composta da soggetti economici caratterizzati da omogeneità attitudinale e comportamentale, capaci di meglio recepire ed attuare le direttive dell’azienda in una visione evolutiva della cooperazione da un coacervo eterogeneo di persone ad un associazionismo di imprese capaci di pensare anche a future forme di gestione collettiva delle attività agricole.

Rimettersi in discussione costituirà l’impegno degli anni a venire. Ci deve essere una più che legittima aspirazione a poter impegnare il futuro delle nostre attività, in difesa dei valori e dei risultati che l’impegno profuso negli anni passati ci ha consentito di guadagnare e che l’incertezza dei tempi presenti rischia di offuscare.

L’anno 2005, aldilà dell’unica nota positiva delle nostre esportazioni verso gli Usa, peraltro in recupero di una precedente flessione, ci ha segnato pesantemente e le molte preoccupazioni delineate si sono materializzate in un contesto di difficoltà avvertite nel comune, quotidiano operare.

Mentre restiamo impegnati nel consolidamento dei volumi, dei prezzi e dell’immagine, non dobbiamo comunque abbandonare la tensione verso un risultato di crescita che nell’attuale competizione diventa necessario per evitare l’emarginazione. L’operare in questo non facile contesto comporta il possesso di quella determinazione che scaturisce dalla lucida interpretazione dei fatti e la capacità di non assecondare facili decisioni, irrazionali perché supportati da stati confusionali od emozionali.

Non si è data dignità al vino. É nell’avvertire la reale possibilità di un tale pericolo che riporto alla ribalta la necessità che nella prevedibile situazione di difficoltà di mercato fosse importante “non far perdere dignità al vino”. Credo di poter dire che tale speranza è stata ed è tuttora, ampiamente disattesa. Non si è data dignità al vino nell’esibire sugli scaffali della Grande Distribuzione una moltitudine di bottiglie ampiamente rappresentative di molte Doc ed anche Docg italiane a prezzi al consumo tanto miserevoli da poter affermare che, dedotta l’imposizione dell’Iva, la minima ricarica dell’operatore commerciale, il trasporto ed i nudi costi dei materiali di produzione, il residuo valore afferente al contenuto era la rappresentazione della mortificazione del lavoro del viticoltore e la disperazione dell’imbottigliatore. Una tale politica di prezzi, lungi dal far conseguire i volumi sperati, ha sicuramente alimentato nel consumatore attonito, più che entusiasmo, perplessità se non diffidenza.

Penso anche quanta coerenza ci possa essere in queste scelte scellerate con l’intento della valorizzazione economica e di immagine riposto nelle denominazioni e con che animo quei produttori possano oggi affrontare l’ulteriore onere dei Consorzi e dei controlli, vissuto, nel citato contesto, come una tassa sulla miseria.

Non è ancora dignitoso per il vino ritrovarsi ad essere l’unica bevanda che può venire somministrata al consumo in maniera anonima, disattendendo ad irrinunciabili informazioni di caratteristiche e di origine. E tutto questo mentre discutiamo con grande zelo i problemi della tracciabilità.

Sottrae dignità al vino anche l’elusione per i Doc, avviati sfusi all’espor-tazione, del divieto di confezionamento in contenitori non di adeguata rispondenza all’immagine ed alle caratteristiche del prodotto, permettendo che questo avvenga senza le dovute garanzie di controllo.

Mi piacerebbe che il tema della dignità non fosse ricordato come una delle tante geremiadi lasciate al vento, ma che una convinta e condivisa reiterazione portasse ad aprire un vero fronte di discussione, nella convinzione che la dignità di immagine, associata alla dignità qualitativa già ampiamente posseduta dalle nostre produzioni, possa costituire un irrinunciabile punto di forza da far valere in opposizione ad alcuni gap economici, di natura strutturale, che ci vedono in affanno nel difficile raffronto con i competitors nel mercato globale.

Mentre plaudiamo all’attività della precedente legislatura per l’interesse dimostrato ai problemi del comparto e per la considerazione manifestata nei confronti dell’Assoenologi con il voluto coinvolgimento all’interno del tavolo della filiera vitivinicola (in ordine ad alcune importanti riforme portate a compimento, di cui citiamo la legge 82 in sostituzione del Dpr 162/65) è viva la speranza con questo Governo e Parlamento di vedere attuate, oltre alle altre avviate riforme, quelle auspicate misure di snellimento burocratico che potranno liberare importanti risorse aziendali da impiegare in azioni dirette a sviluppare una più forte concorrenzialità.

Da parte nostra non mancheremo di dare il nostro apporto in un confronto collaborativo sui grandi temi che le categorie e l’esecutivo affronteranno per dare corpo ai principi della nuova riforma dell’Ocm. Sulla base di questi intenti, ricordo le nostre posizioni, ampiamente dibattute in tanti precedenti congressi, sui seguenti fondamentali punti:

Schedario vitivinicolo. L’Assoenologi ritiene assurdo che il nostro Paese non conosca la consistenza totale e ripartita del “ suo vigneto “ e di conseguenza della “ sua cantina “. Inoltre trova inammissibile che per avere i dati di produzione dei Vqprd occorrano oltre tre anni. Se per conoscere i riferimenti del 30% della produzione ci vogliono 36 mesi, quanto dobbiamo aspettare per avere riscontri certi del rimanente 70%? Come si può programmare, stabilire strategie, studiare riforme, impostare razionali controlli, senza avere il supporto di questi dati?

Contributi. Riteniamo che i contributi a pioggia costituiscano un freno e non un incentivo al miglioramento qualitativo del settore e servano solo ad illudere chi non produce per il mercato danneggiando chi produce per vendere. Siamo convinti che eliminando alcuni contributi si ridurrebbero automaticamente alcuni aspetti di inutile burocrazia ed una fonte non trascurabile di illeciti.

Distillazioni. Conseguentemente l’Assoenologi è contraria alle distillazioni nella convinzione che bisogna produrre per vendere e non per distruggere. Riteniamo invece utile un calibrato innalzamento, per tutte le tipologie di vini, delle prestazioni viniche, per gli evidenti benefici qualitativi nonché di sottrazione al mercato di alcuni volumi.

Pratiche enologiche. L’Assoenologi ha sempre sostenuto che la forza del comparto sta nel vigneto e che il vino deve provenire solo ed esclusivamente dall’uva e che pertanto debbano essere eliminatele pratiche che non mirano a questo risultato. Siamo quindi fermamente impegnati per salvaguardare la storia, la cultura e la tradizione dei nostri prodotti intimamente legati al territorio. Con questo però non vogliamo mantenere il settore ancorato al passato, ma attribuire alla tradizione un giusto concetto dinamico.

Blocco degli impianti. Riteniamo utile mantenerlo in attesa di una concreta armonizzazione tra produzione e consumi, consentendo però, contemporaneamente, la libera circolazione dei diritti in tutti i Paesi dell’Unione Europea.

Riforma della Ocm. La nostra organizzazione di categoria condivide, fatti salvi alcuni approfondimenti, le linee generali su cui la Commissaria Mariann Fischer Boel intenderebbe avviare la riforma della Ocm vino con l’estirpo in 5 anni di 400.000 ettari, con l’azzeramento delle distillazioni e con l’abolizione degli aiuti all’arricchimento che ci auguriamo possa trascinare lo smantellamento del pesante apparato burocratico dedicato a questa pratica.


Mario Consorte

Presidente Associazione Enologi Italiani

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