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VINITALY 2008 (VERONA, 3/7 APRILE) - CONVEGNO: “LA TENDENZA DEL FUTURO? SARANNO I VINI BIANCHI, A CAUSA DI UN CLIMA SEMPRE PIÚ CALDO”. PAROLA DI HUGH JOHNSON, GURU DELL’ENOLOGIA MONDIALE E TESTIMONE PER CONFAGRICOLTURA SUI NUOVI SCENARI DEL VINO

Italia
Hugh Johnson con il direttore di WineNews Alessandro Regoli

La tendenza emergente nei bicchieri degli enoappassionati di tutto il mondo? I vini bianchi, sempre più importanti in un futuro caratterizzato da temperature in aumento e da un modo di bere “casual”. Parola di Hugh Johnson, guru dell’enologia mondiale e autore della guida dei vini più importante e più venduta al mondo. E’ lui a tenere a battesimo il convegno “Il vino nel mercato globale”, promosso da Confagricoltura a Vinitaly (Verona, 3/7 aprile).

Hugh Johnson, che dal 1977 ad oggi ha venduto oltre 20 milioni di libri, ha fatto il punto su un mondo, quello dell’enologia, che mai come adesso sta allargando geograficamente i propri orizzonti, costringendo i produttori a rimettersi in gioco ed a confrontarsi con queste nuove realtà. Hugh Johnson ha affermato che se nello sviluppo di varietà di bianco del centro e del sud Italia si concentrasse tanto sforzo quanto per i vini rossi, il mondo ci guadagnerebbe qualcosa di cui ha bisogno: “Quante interessanti uve bianche ha la Francia? Forse sei. Quante ne può mettere assieme l’Italia? Forse due volte tanto. Importare incessantemente Sauvignon Blanc dall’emisfero Sud del mondo sembra davvero una cosa senza senso”. Ma il critico inglese ha posto l’accento anche sull’importanza dei vitigni autoctoni made in Italy, dal Nero d’Avola al Fiano, dalla Falanghina al Vermentino, che grazie a recenti studi e sperimentazioni hanno dimostrato qualità inimmaginabili. Si tratta di novità destinate a colpire positivamente i consumatori, perché sono vere ed autentiche, e riescono a collegare passato e futuro. Johnson è intervenuto inoltre nel dibattito sul tappo a vite, esprimendo una posizione ben precisa: “Io spero che il 90% dei vini bianchi siano imbottigliati presto in questo modo, e magari il 90% dei vini rossi”.

“L'anno scorso - ha affermato Johnson, il cui intervento al convegno si intitolava “Come cambia la mappa del vino mondiale: è questa la novità che interessa chi beve vino?” - io e la mia collega Jancis Robinson stavamo completando la 6a edizione del “World Atlas of Wine” (6 edizioni in 36 anni complessivamente). Ciò dovrebbe consentirmi di dirvi come sta cambiando la “mappa del vino” mondiale. Potrei descrivervi in dettaglio quali nuove mappe abbiamo creato per questa edizione. Quali parti del Nuovo Mondo hanno necessitato di una mappatura più dettagliata di quella fatta sinora. E’ un elenco impressionante. Ma è solo metà della storia. Sono piuttosto i dettagli di come evolvono le mappe del Vecchio Mondo che potrebbero consentire di rispondere alla domanda del titolo del mio intervento. Sinteticamente, potrei affermare, tutti convergono in un unico trend mondiale: verso la definizione e la raffinatezza. I vini di successo necessitano oggi di identità più marcate rispetto a quando la maggior parte dei consumatori vedevano il vino come una semplice merce. Possiamo pensare che siano matti, ma evidentemente i bevitori di oggi come i loro vini sono divenuti più complicati. Storicamente, i vini migliori (e più complessi) provenivano dalle regioni più fresche e più a nord. Il rischio e le maggiori spese derivanti dal produrre vino in condizioni più difficili dovevano essere compensati da prezzi più elevati. Erano vini speciali per definizione. La progressiva perdita, nel ventesimo secolo, del grande mercato popolare del vino come bevanda giornaliera può essere attribuita a diversi fattori. Ritengo che l'automobile sia uno dei più forti deterrenti rispetto alle abitudini dei nostri antenati di iniziare con il vino la prima colazione e continuare così sino all’ora di andare a dormire. Voi avrete naturalmente bevuto vino locale - ma la gente di città ha bevuto vino sfuso delle regioni calde, dove le uve sono prodotte con più facilità”.

“Quando quel mercato si è contratto - ha continuato Johnson - i produttori più ambiziosi delle regioni calde hanno iniziato ad imitare i vini delle regioni più fresche. Il primo passaggio essenziale è stato quello del ricorso alla refrigerazione. Sorprenderà, ma essa è stata utilizzata per la prima volta in Algeria più di 100 anni fa. Con la fermentazione a freddo i produttori hanno potuto assaporare il sapore della frutta nei loro vini, selezionare le loro migliori varietà di viti e ricercare una maggiore definizione. E’ a questo punto che sono cominciati a divenire più chiari i vantaggi e gli svantaggi relativi alle diverse zone climatiche. Naturalmente non si trattava solo di una questione di clima. Il relativo benessere del nord e la sua vicinanza ai mercati più ricchi concesse ulteriori vantaggi. Uno di questi è stato anche la necessità (e la possibilità) di distinguere il suo “terroir” migliore. Nel sud le uve maturano più o meno nello stesso modo dappertutto. Nel nord una pendenza verso sud o un miglior drenaggio possono fare la differenza tra la qualità e l’insuccesso. Questa 6a edizione del “World Atlas of Wine” è molto più dettagliata, rispetto alle precedenti edizioni, per quanto riguarda l’identità specifica del vino. Per la 7a edizione sarà necessario “mappare” nuovamente l'Italia, o gran parte di essa. Ma quali saranno le nuove priorità nei prossimi cinque anni? Questo mi riporta alla domanda del titolo del mio intervento: quanta novità vogliono davvero i consumatori? E’ questo il principale motivo di interesse dei produttori. Alcune case vitivinicole consolidate da lungo tempo non possono né vogliono introdurre novità. Come si può modificare una Romanée Conti o un Cru di Barolo? Ciononostante, la maggior parte sta gradualmente ridefinendo la propria identità storica, con l'aggiunta di Cabernet nel blend per esempio, o concentrandosi su un vitigno autoctono. In ogni innovazione ci sono rischi. Su quali novità si può puntare? Ogni annata presenta delle novità. E' un bene ed un male al tempo stesso, per i produttori, che ci sia un risultato diverso ogni annata, un prodotto diverso e una storia diversa da raccontare. Tuttavia voi non vorreste che accadesse diversamente, non è vero? Non è solo uno stimolo ed una sfida continui. E’ qualcosa cui potresti non avere pensato: qualcosa che anche lega il consumatore alla complessa equazione. Qualsiasi consumatore intelligente è consapevole del fatto che le annate sono irregolari, ma questo piuttosto che turbarlo, gli suscita emozioni: egli sente grande gioia dopo una buona annata e partecipazione (almeno a un certo livello), dopo una difficile. Soprattutto rende per lui il vino una cosa reale: lo collega al genere di frustrazione o soddisfazione che prova un agricoltore o un produttore che coltiva i suoi ortaggi. Distingue dal mero vino fatto in fabbrica i prodotti di marca”.

“Chi beve vino - ha proseguito Johnson - è consapevole del fatto di essere parte integrante di un processo naturale, influenzato dalla stagionalità, e naturalmente soggetto agli effetti del tempo. Il vino in una lattina, o surgelato (se fosse possibile) sarebbe inerte come i piselli in scatola. L'età di una bottiglia è fondamentale - e l’età è un concetto che tutti hanno ben presente. Nel business della moda la novità è l’elemento principale. Il vino ha molto in comune con la moda, in particolare quando è oggetto di promozione nella fascia dei beni di lusso. Dire, ad esempio, che la Maremma o la Sicilia sono di moda significa che sommelier e intenditori ne parlano. Tra un paio di anni magari parleranno di qualche altro territorio - ma questo è il tipo di novità che interessa i consumatori. Le varietà di uve costituiscono i principali strumenti per apportare nuove idee e stili. Aggiungere Cabernet al Chianti (ed eliminare le uve bianche), ha costituito un’innovazione di enorme portata. Essa ha dato ai consumatori una rinnovata fiducia nei confronti di una categoria tradizionale. È migliorata senza veri cambiamenti. Questo è l'obiettivo cui dovrebbero puntare i produttori vitivinicoli. Il cambiamento continuo è inquietante, ma quello evolutivo può funzionare in maniera mirabile e sorprendentemente rapida. La migliore novità dall’Italia è lo studio delle uve locali che ha consentito di scoprire qualità che noi non immaginavamo esse avessero. Nero d'Avola, Fiano, Falanghina, Negroamaro, Vermentino, Catarratto … . La lista emoziona positivamente. Il consumatore farà resistenza o accetterà queste proposte? Tutti gli elementi di prova dimostrano che questo tipo di novità è esattamente ciò che egli vuole. Perché? Perché è vera e autentica, e racconta una bella storia che collega passato e futuro. I mercati possono anche essere nuovi. Quando russi, cinesi e indiani si sono interessati al vino hanno iniziato ad imitare i consumatori occidentali. Ma presto saranno essi stessi a decidere cosa è più adatto a loro - e potrà essere un ben diverso prenderci gusto, dando ai nuovi produttori nuove idee. I libretti degli assegni cinesi hanno già avuto l'effetto di spingere in alto i prezzi dei vini di lusso. Stiamo tutti constatando questa polarizzazione verso i vini di lusso da un lato e vini da pronta beva”.

“Si sta tentando in tutti i modi - ha spiegato Johnson - di far credere (o di affermare) che il proprio vino appartiene alla categoria del lusso. Un modo banale è metterlo in una pesante bottiglia di vetro scuro. Il mio personale punto di vista è che si non si riesce a dimostrare nulla in questo modo tranne il fatto che si ha poca considerazione per l’ambiente del pianeta. Io cerco anzi di boicottare le bottiglie che pesano tanto, da vuote, quanto dovrebbero pesare quando sono piene. A proposito di imballaggi, sarei reticente se non menzionassi il dibattito sul tappo a vite; forse la novità più scontata nel vino di oggi. Usando un tappo a vite si fa un’affermazione chiara. Si sta affermando il mio vino è moderno, non mi aspetto che lei lo conservi a lungo. Io ritengo (e spero davvero), che il 90% dei vini bianchi siano presto imbottigliati in questo modo. Che percentuale dei Rossi? Forse l’80%. Quindi, a mio avviso, quali novità sarebbero benvenute in Italia? Vorrei concentrarmi su vini bianchi, la categoria trascurata dalla storia, ma probabilmente più importante in un caldo futuro caratterizzato da un modo di bere “casual”. Se nello sviluppo di varietà di bianco del centro e del sud Italia si concentrasse tanto sforzo quanto per i vini rossi, il mondo ci guadagnerebbe qualcosa di cui ha bisogno. Quante interessanti uve bianche ha la Francia? Forse sei. Quante ne può mettere assieme l’Italia? Forse due volte tanto. Importare incessantemente Sauvignon Blanc dall’emisfero Sud del mondo sembra davvero una cosa senza senso. Ho iniziato affermando che il percorso seguito storicamente per migliorare i vini è stato quello rivolto ad una più precisa identità. Individuare i luoghi migliori per produrre le migliori uve è stato sempre il primo fattore essenziale. Vorrei concludere richiamando una cautela. Gli italiani sono così entusiasti e creativi che moltiplicano senza fine le loro ispirazioni. Ho ricevuto una scatola di 12 diversi vini con etichette del tutto diverse da una cantina entusiasta. Non ci si può aspettare che il mondo accetti, o anche che sia semplicemente annoiato, da ciò che sembra una fonte inesauribile ed indistinguibile di novità. Se il vecchio sistema delle denominazioni francesi e delle Doc italiane era troppo limitante, una nuova situazione in cui qualsiasi cosa va bene è assolutamente confusionaria. Qual’è dunque l’approccio migliore? Un’eventuale intesa regionale - ha concluso Johnson - su quali uve e quali metodi di produzione possono tirar fuori il meglio seguendo le tradizioni locali. In qualunque forma essa prenda forma, deve esserci comunque una storia coerente, perché, alla fine, sono le storie che i consumatori acquistano”.

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