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EZIO RIVELLA, ENOLOGO E GRANDE CONOSCITORE DEI PROBLEMI DI MONTALCINO, SPIEGA: “PENSARE CHE IL VINO VENGA BUONO SOLO PERCHÈ SI È PRODOTTO RISPETTANDO IL DISCIPLINARE … È UN ERRORE FONDAMENTALE!” E PROPONE “CAMBIO DELLE REGOLE PER IL BRUNELLO”

Italia
Ezio Rivella

Abbiamo dato spazio, nei giorni scorsi, ad un chiaro intervento e presa di posizione di Angelo Gaja, uno dei miti della produzione vitivinicola italiana, sulla opportunità di procedere con sollecitudine alla modifica del disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino. Così su questo tema è arrivata un’altra disponibilità a parlare di un’altro grande esperto di vini, di mercati, di denominazioni ed anche dei problemi di Montalcino, Ezio Rivella, l’enologo-manager che qui ha speso molti anni della sua attività professionale …
Rivella, cosa pensa dell’opinione di Angelo Gaja?
L’intervento di Angelo Gaja è quanto mai opportuno, perchè viene da una persona autorevole, che conosce come pochi i vini ed i mercati internazionali, ed è maestro sia di produzione che di marketing. Di fronte alla sua opinione, gli equilibrismi autocelebrativi di qualche personaggio di Montalcino, che producono 10.000 bottiglie (e non riescono a venderle), mostrano tutto il loro aspetto ridicolo!
Quindi è per la modifica del disciplinare?
Decisamente si. Un intervento tempestivo in questo senso avrebbe evitato questa catastrofe: sono i produttori che stabiliscono il disciplinare di produzione. Gli esperti internazionali sorridono quando sentono i motivi veri delle operazioni giudiziarie che hanno messo a terra qualificate aziende, ed azzerato la reputazione del vino “numero uno” della produzione italiana. Un po’ di preveggenza e di saggezza ci avrebbe messo al riparo da questo danno gravissimo. Siamo tutti colpevoli ...
Ma, si dice, che anche qualche produttore questa “opera moralizzatrice” l’abbia voluta …
Se l’ha voluta oggi, sarà soddisfatto del risultato ottenuto. Saranno paralizzati gli odiati dominatori del mercato, ma il Brunello vino ha perso tutto il suo fascino: è scomparso dall’attenzione dei media (se non per le disquisizioni scandalistiche); ed il consumatore, che ha sentito parlare di “Brunello Taroccato”, come pensate che spenderà i suoi soldi? Vendere Brunello sarà sempre più difficile, ed hanno poco da stare allegri quelli che ostentano “ma il mio è prodotto puro”. Il Brunello aveva saputo costruire, con il lavoro di anni, una grande immagine, ed ora è stata distrutta. Perso il valore immaginario, bisogna presentare quello qualitativo, perchè chi acquista userà la lente d’ingrandimento. Pensare che il vino venga buono solo perchè si è prodotto rispettando il disciplinare, è un errore fondamentale! Come ha sentenziato Hugh Johnson: “i vini non possono diventare buoni per decreto!”.
Allora cosa bisognava fare?
Quello che bisognava fare, non lo si è fatto. Le cose andavano molto bene, tutti dicevano una cosa e ne facevano un’altra: furbizia italiana, per trarre in inganno l’avversario. Ho studiato lungamente la materia delle denominazioni di origine: occorrono disciplinari elastici, che consentano ai produttori di cimentarsi sulla via dell’impegno qualitativo e personalizzare il più possibile il proprio vino, in modo che il cliente-consumatore lo riconosca, e si fidelizzi. Se il produttore si rende conto che la strada è sbagliata, può sempre orientarsi meglio. Chi insiste a qualificarsi con il 100% di Sangiovese, ha ragione di farlo (se riesce a venderlo), altrimenti cambia. Fondamentale, per la denominazione di origine, deve restare il territorio, inteso come fattore terreno-esposizione-clima-ambiente e persone. I fattori umani non sono secondi agli altri e se non si riesce ad innescare una spirale virtuosa di competizione e ricerca della qualità fra i produttori, non si arriva al risultato. La ricerca della qualità comporta un impegno costante in vigneto ed in cantina, cercando di migliorare in continuazione, e non il rispetto di schemi prestabiliti. Il Brunello che ha conquistato il mondo, non è quello succintamente (e ridicolmente) descritto dal disciplinare. E’ l’altro, quello sapientemente migliorato. Numeri, bottiglie, riconoscimenti, affermazioni sui mercati lo stanno a dimostrare.
Quale, secondo lei, è la modifica da introdurre?
Evitando tutti i perfezionismi, che sarebbero anche necessari (un chiarimento sulla irrigazione di soccorso si impone), la modifica da operare è semplicissima: “Il vino Brunello di Montalcino si produce utilizzando almeno l’85% di uve del vitigno Sangiovese. Complementari le altre varietà a bacca rossa coltivate a Montalcino. Lo stesso vale per il “Rosso di Montalcino”. Questa percentuale (85%) è conforme anche alla prassi internazionale ed alle norme Usa, che considerano questa percentuale idonea a considerare il vino “di uva Sangiovese”. Un vino così concepito non si può dire che non mantenga il carattere, l’impronta del territorio. Chi poi pensa di fare di più utilizzando il 100%, avrà successo se riesce a convincere i propri clienti. C’è spazio per tutti, e l’impegno qualitativo farà la differenza. Questo è il pregio del Disciplinare elastico. Non perderebbero neanche la faccia, i produttori di Montalcino, e gli sforzi passati a magnificare (eccessivamente) i pregi del Sangiovese, non vanno perduti.
E’ stato suggerito di creare una categoria “super” “Brunello, 100% Sangiovese”.
E’ una proposta che assolutamente non condivido. In primo luogo, c’è un aspetto normativo, che non è facilmente solubile. In secondo luogo, porterebbe una confusione sul mercato, difficile da spiegare al consumatore. Ma soprattutto creerebbe una categoria ghettizzata di prodotto e siccome bisogna schierare le bottiglie e non le chiacchiere, se fra i consumatori si diffonde l’opinione che non sono questi i Brunelli migliori, siamo fritti. La superiorità non si può stabilire per decreto!
Ma questo Sangiovese, ha veramente una marcia in più?
Assolutamente no! A Montalcino viene certamente prodotto uno dei migliori Sangiovesi di Toscana, ed i progressi in tema di coltivazione e di vinificazione sono stati notevoli negli ultimi vent’anni. I difetti di famiglia però restano. Il Sangiovese è un vitigno difficilissimo, che ha grossi problemi di maturazione, specialmente sotto l’aspetto degli aromi e del complesso tannini-coloranti; se fa freddo, ma anche se fa troppo caldo. La produzione va molto contenuta, altrimenti il risultato è scadente: questo richiede cure ed interventi manuali, come il diradamento dei grappoli. Nonostante tutto questo, il risultato può considerarsi particolarmente riuscito una vendemmia su venti. Un cavallo che vince così raramente, non è da considerarsi eccezionale. In altre aree del pianeta fanno vini eccelsi tre anni su cinque!
I problemi sono sempre gli stessi: eccessiva magrezza, acidità, tannini ruvidi e sgraziati, difficoltà di estrazione del colore ed eccessiva perdita dopo la vinificazione. Ciò non di meno questo prodotto può essere paragonato ad un’ottima intelaiatura, che assicura al vino una certa longevità. Con gli anni, i difetti si smorzano, e se il telaio è stato sapientemente rivestito, il risultato può divenire eccezionale. Questo è stato il senso del miracolo Montalcino, ma il merito va attribuito al territorio ed ai produttori, non al Sangiovese.
Qualcuno vuole paragonare il Sangiovese al Pinot nero!
L’accostamento è del tutto privo di senso: la Borgogna non sta al Pinot Nero come Montalcino al Sangiovese. In Borgogna, il Pinot nero acquista sfumature organolettiche uniche e caratteristiche differenti anche cambiando leggermente di terreno e di esposizione. A Montalcino non esistono “cru” particolari dove un Sangiovese distacchi nettamente tutti gli altri: i risultati cambiano sostanzialmente da una vendemmia all’altra, e l’età delle viti magari è più importante dell’esposizione. L’abilità del produttore è più importante del concetto di “cru”.
Il Sangiovese affascina chi non lo conosce, chi si è solo nutrito dalla abbondante mistica scritta sull’argomento, da gente che non si è mai cimentata sul campo.
Quelli che lo conoscono, sanno che è vitigno difficile. In quarant’anni di vinificazione in Toscana, posso raccontare le problematiche e le delusioni di una vendemmia dopo l’altra, prima in Chianti Classico e poi a Montalcino, le continue sperimentazioni per ricercare il risultato migliore, le centinaia di degustazioni comparative, organizzate scientificamente con la partecipazione di esperti locali ed internazionali (proverbiali le “lezioni “del mio amico professor Pascal Riberau-Gayon dell’Università di Bordeaux). Il risultato poneva sempre la maggioranza dei Sangiovesi sulla coda della classifica. I limiti ci sono, e sono stati accertati ovunque. In un mercato sempre più globalizzato, che schiera produttori sempre più qualificati, che presentano vini stilisticamente ineccepibili e di qualità eccelsa, dall’Australia al Cile, dalla “regina” Francia, alla California, i produttori di Montalcino farebbero bene a considerare con maggior modestia, la propria devastata posizione. La Spagna, ad esesempio, è destinata a divenire uno dei maggiori operatori del settore vinicolo: gli investimenti, che sono il preludio alla produzione dei vini di qualità, solo nella regione della Rioja, negli ultimi vent’anni sono superiori a quelli fatti in tutta Italia, nello stesso periodo. Ora questi vini vorranno venderli … La competizione sul top di gamma si farà sempre più ardua, e occorrerà schierare le bottiglie, non le chiacchiere sulla tipicità e tradizione, che interessano a pochi.
Mi diceva un ristoratore americano che lui non era per nulla preoccupato dello scandalo Brunello: i vini che aveva comprato erano molto buoni, ed a lui non importava nulla se era, o meno, Sangiovese 100%.
Allora come lo spiega il fenomeno Biondi Santi?
Sono amico da sempre di Franco Biondi Santi e suo estimatore. Apprezzo quello che fa per mantenere la sua linea, ma non è giusto che lui voglia imporre agli altri produttori i suoi metodi per fare vini tutti eguali. Biondi Santi ha beneficiato della sua posizione di leader e bandiera, cosa che nessuno ha mai messo in discussione, di una produzione altamente prestigiosa, come quella di Montalcino. Essere considerato il numero uno, è cosa non da poco. Gli sarà più difficile il compito ora, che l’immagine della zona è caduta! Se vogliamo considerare le cifre in termini di bottiglie e prezzi, il suo vantaggio negli ultimi quarant’anni, si è consolidato, ma non di molto. I critici allo stile dei suoi vini, considerato troppo datato, non mancano e non sono mai mancati quelli che vi hanno sempre letto tutti i difetti del Sangiovese (ed anche i pregi, per qualche millesimo). “Opus One”, un vino creato vent’anni fa, vende 300.000 bottiglie a 300 dollari cadauna. I prezzi degli “Chateaux” bordolesi sono ben maggiori. Anche in Italia ci sono stati “exploit” più marcati: Sassicaia, Solaia, Tignanello, Ornellaia, Masseto … (per restare in Toscana). Tutto è relativo.
Chi dovrebbe presentare questa modifica del disciplinare?
Il Consorzio del Brunello di Montalcino è il più qualificato e rappresenta i produttori. Forse può promuoverlo anche il triumvirato di esperti nominato dal Ministro delle Politiche Agricole, con la presidenza di Riccardo Ricci Curbastro. Ma sono i produttori che devono essere convinti che hanno tutto da guadagnare e niente da perdere con la correzione di rotta. Bisogna promuovere un adeguato chiarimento ed un ampio dibattito. I produttori devono avere uno scatto di reni e prendere in mano la situazione, altrimenti Montalcino sta su un piano inclinato e può rotolare soltanto in basso. Finora qualcuno ha pensato di fare bene dicendo: “il Disciplinare non si tocca”. In realtà questo disciplinare è tutt’altro che un patrimonio da difendere ed i fatti hanno dimostrato che nasconde un grande malinteso.
C’è anche chi soffia sul fuoco!
C’è chi soffia sul fuoco, solo per mettersi in evidenza: tanto loro non rischiano niente! Ma la loro competenza dove arriva? Anche l’indagine giudiziaria è durata anche troppo, con grave danno del Brunello e delle aziende inquisite. Se ci sono prove si deve passare ai processi. Prima si chiude questa vicenda e meglio è, nell’interesse dell’economia di tutta una produzione.
Molti pensano che esiste già la doc S.Antimo, fuori dal Sangiovese.
Sono due cose diverse. Il S.Antimo (che è una mia creatura) sta facendo la sua strada, e progredisce molto bene, in quantità ed in qualità. Ma il grosso capitale di immagine accumulato è sul Brunello di Montalcino, ed è li che bisogna vincere la guerra. Un vino che ha l’85% di contenuto Sangiovese, sarà ben sempre Brunello, Sangiovese e Montalcino. Non è proprio il caso di parlare di perdita della personalità, di cedimento alla uniformizzazione dei gusti, globalizzazione dei sapori, ed altre amenità. Il risultato primo di una Denominazione che vuol essere di punta, deve essere un vino di qualità ineccepibile, solido, elegante, tendente alla perfezione, come lo sono i vini veramente riconosciuti di gran pregio. Si somigliano tutti? Assolutamente no! Quello che da l’impronta è il complesso sistema del territorio di origine, la Denominazione, appunto! A questo proposito va rilevato che la prima stesura del 1965, della Doc Brunello di Montalcino, prevedeva l’utilizzo del 10% di vini provenienti da altre zone (Chianti 30%). Il che la dice lunga sulla competenza in materia di Origine di Garoglio & compagni. Hanno sempre confuso e mischiato la tipicità con l’origine. Nessuno ha titoli per interpretare il Vangelo!
Ma perchè Rivella fa questa battaglia?
La faccio nell’interesse esclusivo di Montalcino e dei suoi produttori, dai quali mi aspetto un colpo di reni, un impegno per riprendere in mano il loro destino futuro, senza abbandonarsi alla fatalità del declino.
Ezio Rivella

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