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L’ICI, “SFRATTATA” DALLE PRIME CASE, SI PREPARA AD “EMIGRARE” IN CAMPAGNA? SECONDO LA CASSAZIONE ED UNA CIRCOLARE DELL’ANCI EMILIA ROMAGNA, ANCHE GLI EDIFICI RURALI DEVONO PAGARE L’IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI. ALLARME DEGLI AGRICOLTORI

L’Ici, ormai “sfrattata” dalle prime case degli italiani, potrebbe “migrare” in campagna e arrivare a coinvolgere stalle, capanni e abitazioni degli agricoltori. Novità epocale? No, semplice rilettura della legge che, nel 1993, ha riformato il catasto, e che imponeva di accatastare tutti gli edifici, compresi quelli rurali, facendoli passare dal catasto terreni al catasto fabbricati. Imposizione che poi nel 1998, è stata “addolcita” con il decreto ministeriale 28/1998, scegliendo la via della “migrazione graduale”, che prevedeva il cambiamento di status per gli edifici che avessero perso il carattere di ruralità (diventando ville e case di campagna) o che avessero cambiato proprietario.

A scatenare il caso è stata, in prima battuta, la Corte di Cassazione, che, con la sentenza 23596 del 15 settembre 2008, ha affermato che a non pagare l’Ici sono soltanto i fabbricati rurali privi di una rendita catastale, cioè quelli ancora iscritti al catasto terreni. Motivazione della sentenza, il fatto che i fabbricati rurali non rientrano tra gli immobili esenti dall’Ici secondo la legge 504/92 che istituiva l’imposta comunale sugli immobili. In seconda battuta una circolare dell’Anci Emilia Romagna, che ha affermato che devono versare l’Ici tutti i fabbricati rurali, compresi quelli che sono ancora nel catasto terreni, proprio in virtù di quanto affermato dalla legge del 1993.

Secondo le stime de “Il Sole 24 Ore”, se al 31 dicembre 1995 erano 5.400.000 gli immobili strumentali che dovevano essere accatastati come fabbricati, e questo, al 31 dicembre 2006, era avvenuto per 1.400.000 di essi, sommando le 600.000 case “ex rurali” identificate nel 2007 dall’Agenzia del Territorio, rimarrebbero circa 3.500.000 edifici che dovrebbero iniziare a pagare l’Imposta Comunale sugli immobili.

La sentenza della Cassazione e la circolare dell’Anci Emilia Romagna hanno subito messo in allarme le associazioni di categoria, in primis la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, secondo la quale questo “sarebbe un colpo pesantissimo per le aziende agricole, che già sono alle prese con costi sempre più elevati e con prezzi in discesa”.

“Occorre - avverte la Cia - che il Governo intervenga in maniera tempestiva per scongiurare una tassazione del genere che interessa più di tre milioni e mezzo di fabbricati rurali, finora esenti. Serve chiarire in modo inequivocabile il senso della norma che già assoggetta i fabbricati rurali al pagamento dell’imposta mediante la tassazione dei terreni agricoli, il cui valore tiene conto del valore stesso dei fabbricati”.

Francesco Preziosi, responsabile dell’ufficio tributario di Coldiretti, secondo quando riportato dal quotidiano di Confindustria, invoca una norma interpretativa: “oltre alla prassi delle Entrate, ci sono sentenze della Cassazione che dicono cose diverse da quest’ultima pronuncia. Di certo, comunque, non possiamo arrivare ad avere migliaia di contenziosi tributari contro gli accertamenti dei Comuni. Occorre una norma che faccia chiarezza”.

Dello stesso avviso Confagricoltura, con il presidente Federico Vecchioni che stima in 3 miliardi di euro il costo che questa interpretazione avrebbe sulle aziende, “una situazione che il sistema agricolo non è in grado di reggere”, e chiede maggiore e tempestiva chiarezza al Governo sulla vicenda.

I punti di maggiore contrasto, sarebbero il sommarsi dell’Ici alle imposte sul reddito dominicale da un lato, e la disparità di trattamento tra gli immobili rurali accatastati tra i fabbricati in virtù di norme specifiche e quelli ancora inseriti nel catasto terreni dall’altro.

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