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È L’ERA DELL’AGRICOLTURA “2.0”: PAROLA DI CARLIN PETRINI, PRESIDENTE E FONDATORE DI SLOW FOOD, NELL’APERTURA DEL “SALONE DEL GUSTO” 2010: UNA RETE MONDIALE DI CONTADINI, PORTATORI DEL VALORE CULTURALE DEL CIBO, CON IL DIALOGO TRA SCIENZA E TRADIZIONE

Italia
Carlin Petrini

Un’agricoltura nuova, diversa. Un’agricoltura 2.0 nel mondo. Lo ha detto Carlo Petrini, presidente di Slow Food Internazionale, al LingottoFiere di Torino, in apertura del “Salone del Gusto” 2010.
Come il web 2.0 rappresenta il rinnovamento di internet, ha spiegato, così l'agricoltura 2.0 deve essere figlia di un rinnovamento culturale, dove il cibo non sia più semplice merce, dove in “cabina di regia” non ci sia la distribuzione che impone i prezzi e non remunera i contadini a sufficienza. Un’agricoltura fatta da una rete mondiale di produttori, anziché da una rete di distributori. Basta con la mercificazione, che punta alla convenienza per il consumatore-cliente tramite la politica dei prezzi stracciati, che fa perdere di vista il valore che sta dietro al cibo. Un valore fatto di lavoro dei contadini, dei loro sacrifici, dei loro investimenti.
Il cibo visto come merce a basso prezzo finale non solo impedisce la giusta remunerazione di chi “fa” il prodotto, ma, complice una distribuzione vorace - che si mangia la fetta più grande della torta - implementa il regime di spreco di risorse (4.000 tonnellate di cibo buttato ogni giorno, in Italia). Per trasformare il cibo da merce-prezzo a valore-cultura servono allora tre elementi: un processo educativo e informativo, che aiuti i giovani a conoscere il valore della produzione alimentare e a capire che serve meno quantità e più qualità, a partire dall’educazione nelle scuole, perché i giovanissimi non sono informati di quanta fatica ci voglia per lavorare la terra e soprattutto da dove arrivino i prodotti che mangiano. Poi una progettazione che riporti i giovani alla terra (oggi in Italia il 44% degli addetti al primario è over 65, solo il 7% ha meno di 35 anni).
È necessario che l’agricoltura non sia più percepita come degradante, bisogna far sì che la tradizione, base necessaria per la qualità, non sia più “reazione” alle nuove tecnologie, ma al contrario bisogna unire scienza e saperi antichi. Per questo servono investimenti, meno burocrazia e più fiducia, cioè un accesso più facile al credito, perché la terra non sia più appannaggio della vecchia speculazione edilizia o di quella nuova del fotovoltaico, che toglie i terreni all’agricoltura. Sta qui l’incapacità della politica a capire quanti posti di lavoro può creare l’attività agricola. Il futuro è, allora, il dialogo tra scienza e saperi tradizionali, è l’economia e l’agricoltura locale, è la difesa degli ecosistemi e del paesaggio, è l’accorciamento della filiera. Non si tratta, spiega Petrini, di produzioni “di nicchia”, per un’élite ricca. Si tratta di abbattere i muri che, oggi, costringono chi ha minor reddito ad accontentarsi di cibi industriali di bassa qualità, di merci da scaffale.

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