Da ultimo la Corte dei Conti Europea, che, proprio in questi giorni, ha osservato come la Commissione Europea non abbia valutato approfonditamente l’impatto delle conseguenze della liberalizzazione dei diritti d’impianto. È un’altra importante istituzione dell’Unione Europea che si aggiunge al Parlamento Europeo ed a 15 Stati membri, contro la liberalizzazione dei diritti d’impianto. Che, dunque, sembrerebbe una misura decisamente rivedibile, e che, peraltro, la stessa Commissione europea all’agricoltura, ha iniziato a rivedere attraverso la costituzione di “un gruppo di alto livello” (riunitosi, per la prima volta, il 19 aprile 2012), voluto dallo stesso Commissario Dacian Ciolos. Con esiti però, sostanzialmente, inconcludenti, perché, contrariamente a quanto è avvenuto per il settore latte (con un analogo gruppo di riflessione), nessun mandato concreto è stato assegnato al gruppo che si sta occupando dei diritti d’impianto dei vigneti. La Commissione ha voluto semplicemente arricchire le sue conoscenze sulla questione e si aspetta quindi di ricevere dal “gruppo di alto livello” soltanto “raccomandazioni” da qui alla fine dell’anno 2012, e non certo una proposta legislativa come, invece, è avvenuto per il latte.
La liberalizzazione dei diritti d’impianto resta, dunque, ancora un problema aperto, la cui soluzione nonostante tutto e tutti, sembra di là dall’essere risolta, pur rimanendo, sul piano delle dichiarazioni d’intenti, una misura che non piace a nessuno o a quasi nessuno. È per l’appunto l’assenza totale di quel “quasi nessuno” dal dibattito in corso, a lasciare aperta la possibilità ad un esito diverso da quello perseguito dai contrari al provvedimento contenuto nell’Ocm vino. Un silenzio “molto rumoroso” dei favorevoli alla “deregulation” dei vigneti, che potrebbe valere più di molte parole.
Parla e ha parlato, invece, per esempio a Vinitaly 2012, il Commissario Ciolos che considera “semplicistiche e politiche” le iniziative sinora tenute dalla filiera vitivinicola sul problema. Una posizione quella del commissario europeo che non contribuisce altro che ad alimentare dubbi sulla “vexata quaestio”. Che si fa, a ben vedere, sempre più spinosa.
Per ora l’incertezza regna sovrana ed è alimentata ulteriormente dalla poca decisionalità che si ritrova già a partire dall’unico provvedimento preso dalla Commissione (aprile 2011) nel merito: “i diritti di impianto non spariranno da un giorno all’altro nel 2015, perché ogni Paese ha la possibilità di prorogarli fino al 2018, se ritiene che una soppressione immediata possa rappresentare un rischio troppo elevato per alcuni vigneti”. Ovvero una deroga che rimanda il problema. Ma un altro elemento non propriamente rassicurante viene dal fatto stesso che la liberalizzazione dei diritti d’impianto è una precisa misura contenuta in un regolamento comunitario (il n. 479/2008), che, difficilmente, potrà essere sconfessato in uno dei suoi provvedimenti più incisivi e nuovi, dopo essere stato approvato già a seguito di una lunga mediazione dell’allora Commissario Fisher Boel (dicembre 2007) che fissava la liberalizzazione dei diritti di reimpianto fino al 2013, con possibilità da parte dei Paesi membri di estendere a specifiche regioni a partire dal 2015.
Certo l’attuale Ocm vino è una sorta di “grande contenitore” dove trova spazio un po’ di tutto, dove molte delle sue misure sono figlie di mediazioni tra stati e/o tra lobby, ed è, per giunta, frutto di un’analisi del comparto vitivinicolo precedente alla crisi globale e che considerava l’Australia come modello di organizzazione produttiva. E le contraddizioni possono essere molto numerose. Quella tra il piano di estirpazione e quello di liberalizzazione per gli impianti del vigneto è forse la più lampante. Sarebbe del tutto auspicabile, quindi, cercare una soluzione razionale a questo problema. Ma, lo sappiamo, e purtroppo attraverso gli effetti di provvedimenti che incidono direttamente sull’esistenza di ogni cittadino dell’Unione Europea e non solo sui produttori di vino, l’Unione europea non è proprio l’istituzione dove regna la più solida e operativa razionalità. Aspettiamoci dunque ancora una lunga “Odissea nel vigneto”.
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