La politica italiana regala ogni giorno qualche spunto su cui riflettere. L’ultimo arriva da un parere della Commissione Agricoltura della Camera su alcune misure contenute nel “decreto legge 104/2013: Misure urgenti in materia di istruzione”, e in particolare sull’aumento delle accise per le bevande alcoliche (il vino, diciamolo subito, non ne è toccato perché non è soggetto ad accisa, ndr), il cui gettito servirebbe a trovare le coperture finanziarie. Nel parere in questione, la Commissione auspica che la birra sia esclusa dall’aumento delle accise, perché “si intravede sul territorio italiano lo sviluppo di un promettente settore legato alla produzione e al consumo di birre artigianali di qualità, da cui possono derivare tra l'altro occupazione e indotto turistico-gastronomico; si propone pertanto che gli aumenti previsti per le accise della birra siano soppressi”. Di tutto il resto, ovvero i “prodotti alcolici intermedi e l’alcole etilico (dal Marsala al limoncello, per esempio), la Commissione sembra non curarsi, e non si sa per un orientamento preciso o per una semplice dimenticanza. Insomma, ci si preoccupa, giustamente, della birra, ma si dimenticano settori comunque importanti e storici del beverage italiano, come le grappe, gli amari, i vermouth e i vini liquorosi. Nella relazione, in ogni caso, si parla anche di cifre, o meglio di stime sulle “entrate da accise pari a 11,7 milioni per i mesi residui del 2013, a 130,5 milioni per il 2014 e a 215,9 milioni a decorrere dal 2015, unitamente a maggiori entrate da Iva per 1,6 milioni nel 2013, a 18,9 milioni nel 2014 e a 31,3 milioni a decorrere dal 2015. Contestualmente, vengono indicate minori entrate negli anni 2014-2016, sia in termini di Ires/Irpef (rispettivamente -1,4 milioni, -15 milioni e -19,1 milioni), che in termini di Irap (rispettivamente -0,3 milioni, -2,9 milioni e -3,6 milioni)”.
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