Kurniawan continua a far parlare di sé. Non che ci siano state evoluzioni o novità, ma la vicenda del geniale truffatore di origine indonesiana, dopo aver incuriosito ed indignato il mondo del vino, ha finito per portare anche a qualche riflessione e critica, anche scomoda, nella sua linearità. Come quella che fa Aubert de Villaine, condirettore di Domaine de la Romanée-Conti, che punta l’indice contro la casa d’aste Acker Merrall & Condit, e sul ruolo che ha avuto in tutta la vicenda. “Acker - racconta de Villaine a The Drinks Business - ha organizzato, nel 2006, due intere vendite dei vini di Kurniawan, che le hanno fruttato un totale di 35 milioni di dollari, ed io credo che nel loro lavoro abbiano pensato esclusivamente all’aspetto economico, del resto, chi ha venduto i vini di Kurniawan con tanta semplicità e superficialità, è ugualmente colpevole”.
Del resto, i primi segnali che qualcosa non andasse proprio per il verso giusto, arrivarono già nel 2008, quando Laurent Ponsot, a capo di Domaine de la Romanée-Conti, fece ritirare da un’asta newyorkese dedicata ai gran cru, ben 97 bottiglie dell’azienda di Borgogna. Il motivo? Tra i lotti c’erano bottiglie mai prodotte, come il Ponsot Clos de la Roche 1929, un falso storico, visto che la produzione di quest’etichetta è partita solo nel 1934. Proprio come il Ponsot Clos Saint-Denis 1945, mentre la prima annata “originale” è stata addirittura la 1982. De Villaine è stato già sentito dai giudici, in quel processo forse troppo spettacolare, andato in scena negli Usa, ma su Kurniawan, pur essendo parte lesa, si dimostra molto più magnanimo dei giudici americani: “quella della contraffazione è una problematica seria e grave, ma i 30 che rischia Kurniawan sembrano francamente troppi, 10 è una pena equa ...”.
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