Un “primo trimestre” 2014 positivo per 30 tra le realtà enologiche più importanti d’Italia per storia, immagine e per volume d’affari (1,8 miliardi di euro, il 15% del fatturato complessivo del vino italiano), sondate da Winenews per Vinitaly: per l’88% delle cantine, vendite su del 7,5%, con il 73% che dichiara un “sentiment” abbastanza positivo e il restante 27% che, senza esitazioni, “sente” positivo il resto dell’anno. È il dato saliente dell’inchiesta Winenews per Vinitaly, tema senz’altro al centro del dibattito di Vinitaly 2014, la rassegna internazionale di riferimento del settore, di scena a Verona, dal 6 al 9 aprile (www.vinitaly.com). E se l’esportazione delle etichette tricolore continua “a tirare” anche in questo primo scorcio di 2014, con le aziende campione che indicano nel 77% dei casi una crescita a +9% sullo stesso periodo del 2013, confermando la tendenza generale rilevata nel bilancio finale del 2013 (con la “conquista” della cifra simbolo dei 5 miliardi di euro di export, +7,5% sul 2012) anche per merito di un prezzo medio al litro in aumento (3 euro per l’imbottigliato, 3,5 per gli spumanti e 0,85 per lo sfuso) e con un trend di crescita tra il 6% e l’8% che dura dal 2005 (unica eccezione il 2009, secondo i dati Istat), torna a sorridere anche il mercato interno, da più parti forse troppo frettolosamente liquidato come ormai stagnante. Il 77% delle 30 aziende del vino più importanti d’Italia (per storia, immagine e per volume d’affari) ritrova una crescita delle vendite proprio entro i confini nazionali, che si attesta su un confortante +7% sul 2013, grazie soprattutto ad un ritrovato vigore delle transazioni nel canale “horeca”. Il mercato italiano, infatti, con tutte le sue debolezze, in termini soprattutto di consumi in discesa (siamo ormai vicini ai 37 litri pro capite, erano 55 nel 1997), resta uno sbocco commerciale importante non solo numericamente (sono oltre 20 i milioni gli ettolitri che restano, comunque, in Italia) ma anche per il suo ruolo di “specchio”, proprio quando l’obbiettivo strategico principale sono i mercati internazionali. È il mercato domestico che garantisce quella visibilità dell’immagine aziendale, necessaria all’“assalto” delle piazze internazionali più importanti.
Se la “trimestrale di cassa”, nel suo complesso, conferma la salute del comparto vitivinicolo, capace di rappresentare una eccezione importante nel panorama generale dell’economia nazionale, resta, però, evidente che il peso della crisi si faccia ancora sentire: se pur con percentuali non così rilevanti, infatti, il sondaggio fotografa anche qualche segnale in controtendenza: sul dato “aggregato” delle vendite, c’è un 6% di aziende che segnala una stabilità sul 2013 del proprio andamento commerciale e un 6% che, invece, denuncia una flessione, quantificabile in un -6%. Sul fronte dell’export, il 23% delle cantine sondate indica una sostanziale stabilità con le transazioni ferme sui livelli dello scorso anno. Nel mercato domestico, invece, è il 18% che “mantiene le posizioni”, mentre un 5% segnala una riduzione delle vendite del 3%, specialmente a causa di un indebolimento della spinta propulsiva fornita dalla gdo.
Il successo tendenziale sul piano delle vendite ha, naturalmente, anche motivazioni aziendali ben precise. Le cantine sondate dimostrano di investire risorse finanziarie e umane in modo sempre più strategico, orientandosi soprattutto sui mercati più “sicuri” e su quelli che maggiormente possono garantire un valore aggiunto ulteriormente spendibile. Le cantine italiane, nella maggior parte dei casi, hanno “diversificato” le proprie vendite su un portafoglio di mercati, a volte, molto esteso e, probabilmente, sta proprio nella capacità di modulare i propri sforzi molto del successo del recente passato. Ci sono mercati nei quali spendersi con maggior vigore per situazioni contingenti e altri perché garantiscono visibilità, altri ancora perché potenzialmente in crescita futura. Ecco che allora gli imprenditori del vino del Bel Paese nell’88% dei sondati da Winenews per Vinitaly hanno concentrato i propri sforzi sul mercato statunitense e canadese (in calo), nel 66% su quello italiano, nel 61% su quello europeo, con particolare attenzione verso Gran Bretagna, Germania e Russia (in recupero), e, nel 50% sui mercati orientali, dove diminuita di qualche grado la “febbre cinese”, dove il vino italiano perde in volume il 33%, solo parzialmente compensato da un +2,7% in valore, si guarda con rinnovato interesse a Giappone e Indocina.
Gli imprenditori del vino italiano, sondati da www.winenews.it per Vinitaly, evidentemente, non perdono il contatto con la realtà e guardano al futuro nel medio-lungo periodo, individuando le possibili criticità che il loro business può incontrare. Il problema più complesso resta, per il 50% del campione, quello della debolezza dei consumi; seguito, al 38%, dalle incognite economiche che, pur in un clima di rinnovata fiducia, restano ben presenti. Per il 27% delle aziende rimangono, ancora, irrisolte le conseguenze di un possibile mancato assorbimento della crisi globale ancora in atto. Emerge anche la preoccupazione dell’aumento dei costi di gestione aziendale per il 24% delle cantine sondate, che, soprattutto per realtà produttive molto impegnate con le vendite internazionali come sono in maggioranza quelle del Bel Paese, potrebbe incidere non in misura trascurabile. A questo si unisce poi la preoccupazione causata dal cambio non favorevole (22%). Infine, rimane vivo, per il 20%, il timore di una perdita di forza della competitività sul piano internazionale. E basta guardare ancora una volta ai numeri per condividere questo campanello d’allarme. A dare forte impulso all’export tricolore 2013, sono stati in larga parte gli spumanti, la tipologia con i maggiori tassi di crescita (oltre 2 milioni di ettolitri in quantità e quasi 740 milioni di euro in valore, rispettivamente +13% e +18% sul 2012). Ma è possibile che continui così? I mercati di riferimento Gran Bretagna, con confortante continuità, e Russia, con qualche alto e basso più marcato, assorbono la quasi totalità degli spumanti Dop “made in Italy”. La produzione basterà a soddisfare una tale domanda? E la concorrenza come risponderà? Sono alcuni degli interrogativi che la filiera delle “bollicine” italiane dovrà, comunque, porsi perché il 2014 performi come il 2013.
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