All’Expo una “strana coppia” farà incontrare l’arte ed il vino: Vittorio Sgarbi e Oscar Farinetti. Con il patron di Eataly che, spiega Sgarbi a WineNews, “nel suo grande padiglione ospiterà le Regioni con i loro prodotti, a partire dal vino, ad esprimerne le peculiarità, accanto ai quali, per ogni Regione, ci saranno gli artisti, antichi, moderni, contemporanei, ed i fotografi, che le hanno caratterizzate: 4-5 per le piccole, 10 per le grandi, come, per esempio, l’Emilia Romagna, per cui ci saranno dal Correggio al Parmigianino, da Morandi a Ligabue ed un grande fotografo come Ghirri. Ed io - dice Sgarbi - farò per Eataly, tutta la parte che unisce ai prodotti enogastronomici i prodotti della civiltà artistica italiana per Regioni”. Un modo, sottolinea il critico d’arte, “per innalzare ciò che hanno fatto, in un settore importantissimo come l’agricoltura, l’“intellettuale” Petrini ed il “pragmatico” Farinetti (riuscito a rendere concrete le teorie del fondatore di Slow Food, dimostrando che i valori estetici della produzione gastronomica possono diventare “utili”) facendo vedere agricoltura e cultura sotto una sola luce”.
“Sono molto amico di Farinetti - racconta Sgarbi - e penso che abbia fatto di più per la civiltà e la politica italiana di Berlusconi, a partire dal fatto di aver affermato il suo uomo che è Renzi. C’è una parte di sinistra antagonista che lo guarda con dispetto, ma in generale ha un vasto consenso perché è riuscito a rendere concreto quello che era teorico in Petrini, il più importante intellettuale italiano dopo Pasolini: l’ideazione di Slow Food è una risposta alla globalizzazione di cui parlava Pasolini. Petrini sta a Celentano, come Farinetti sta a Claudia Mori - secondo il critico - Petrini è un teorico, Farinetti il pragmatico. Come si fa a far fruttare i musei? Ci manca “un Farinetti dei musei”. Farinetti ha dimostrato che i valori estetici della produzione gastronomica possono diventare utili nel mondo. Occorre replicare Eataly per l’Italia”.
E Sgarbi non “sveste” i panni di critico, nemmeno quando parla del vino italiano, che “rispetto ad ogni altro prodotto, è il maggiore traino del successo dell’agroalimentare nel mondo - sottolinea a WineNews - e mentre la cultura italiana e tutto quello che riguarda la produzione poetica, letteraria, teatrale è degradato, il vino, da quello del contadino che era molto meno sofisticato e molto meno buono dei vini di oggi, ha avuto una riqualificazione ed un potenziamento culturale, che hanno determinato lo sviluppo di tanti vitigni che prima non c’erano e l’aumento qualitativo della sua produzione. E questo ha portato all’affermazione nel mondo di una qualità italiana che, insieme a quella dell’arte, dell’arredamento, della moda, è segnata proprio dal vino”.
Dal mondo dell’arte a quello del vino, racconta Sgarbi, il suo rapporto con quest’ultimo “è come quello con le opere d’arte degli artisti locali: se vai a Camerino, c’è la scuola di Camerino, se vai a Ferrara, quella di Ferrara, a Napoli, la scuola di Napoli, ed è come se questi artisti avessero l’“accento” di quei luoghi, come se “parlassero” marchigiano, ferrarese, napoletano. Anche il vino ha un “accento”: per esempio un vino marchigiano è diverso da un toscano o un piemontese, non lo bevo ma lo “sento, come sento parlare il napoletano o il fiorentino. Non sono un bevitore di vino - dice il critico - mio padre lo era, e soprattutto di vini piemontesi, che per la tradizione enoica sono stati come l’arte fiorentina per l’arte. Oggi ci sono vini di ogni località e qualità, e io li seguo, come seguo le scuole della pittura, ma, per gusto mio, bevo con piacere e soddisfazione, forse perché è emiliano come me, solo il Lambrusco. E non solo per il suo sapore, perché è frizzante, allegro, poco alcolico, ma perché è l’unico vino rosso che non ha la “mitologia” della temperatura, del “culto” dell’ambiente, e si può bere gelido come la Coca Cola. La “mia Coca Cola”, che odio, peraltro, è il Lambrusco”.
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